
Non manca occasione per gli italiani di ripetere il ritornello del “popolo sovrano” come se si trattasse di uno scongiuro da esercitare per convincersi che vi è ancora un lumicino di speranza in questa nostra democrazia ridotta a brandelli.
Certo, se noi immaginiamo un sovrano, come i politici lo trattano, c’è poco da stare allegri. È senza poteri pur dandoli.
È senza libertà, pur offrendola, è deprivata dei suoi diritti per essere soffocata dai doveri e in balia di una giustizia condannata all’impotenza. Cosa vogliamo di più per dichiarare forfait e ritirarci scornati sull’Aventino?
Così fanno i milioni di italiani che rinunciano al voto e guardano disgustati i maneggi della politica che sistematicamente li ignora e si diverte ad imbastire perverse trame di palazzo. Ma sbagliano. E ancora sbagliano quanti credono che la sovranità sia per censo e non in seguito ad un duro e tenace impegno collettivo.
Dobbiamo, innanzitutto, saper distinguere i soliti imbonitori di turno da chi è saggio ed è giusto non per profitto personale ma per vocazione. Possiamo anche sbagliarci ma non dobbiamo perseverare nell’errore.
Emendiamoci per tempo dalle nostre iniziali improvvide valutazioni. L’arma con la pallotta in canna ce la offre la stessa democrazia che significa “governo del popolo” e che si esprime con il voto, ma che si adultera se predica bene e razzola male. Ed è bene rammentare che la gramigna se è non estirpata in tempo potrebbe soffocare la spiga e inaridirla. Ed è questo il vero spirito che anima il popolo sovrano per sentirsi tale di nome e di fatto.
(Riccardo Alfonso, giornalista molisano a Roma)