In ricordo di Raffaele Jannucci

Provo tanta pace oggi nel rintracciare, fra i cimeli dei ricordi, quelli riconducibili alla mia infanzia portata via dalla guerra. Provo tranquillità perfino riascoltando con la mente, il deflagrare sinistro delle cannonate provenienti da Monte Cece, e dirette a Costa del Riccio, dove erano appostate truppe tedesche in ritirata verso Castelmauro. Trovo serenità ripassando a memoria lo sfollamento dal paese, la fuga della mia famiglia in contrada Camarda, ed il “soggiorno” trascorso con altre 40 persone atterrite, dentro il perimetro irrisorio d’un fienile affollato di ratti.

Quanta tranquillità di cuore avverto adesso nel rispolverare anche il mio tempo vissuto a Casacalenda quando vi dimoravo nel cenozoico 1947, per frequentare la 1^ media. Ero un marmocchio ravvolto di mestizia, perché staccato dalla mamma per la prima volta e dal mio paese, così vicino (18 km.) ma inverosimilmente tanto lontano; irraggiungibile, dislocato quasi nell’aldilà, in un mondo troncato in due dalla furia bellica. Tutti i ponti sulla Provinciale 73 saltati in aria, sbriciolati simultaneamente alle 8 del 10 ottobre 1943 in un trionfo di tritolo germanico. Fuori servizio, perciò, autobus, carri, carretti, birocci. Soltanto a dorso di muli e di asini si poteva tentare il valico del Biferno, allora stragonfio di acque, e poter tornare a Guardialfiera.

In questo stato di cose a Casacalenda ero quasi uno straniero. Dalla Montagnola, inoltre, discendeva giù, di tanto in tanto, un drappello di giovinastri, ingordi di aggredire la quiete dei deboli. Qualcuno del mazzo, notando la mia fragilità, volle farsene motivo di beffa. E lui un mattino, stravaccato sul poderoso passamano di ferro sottostante lo “Scipione Di Blasio” (del cui Istituto ero alunno) e sogguardandomi sprezzante, fiatò: “me tu de doòvè sié, tu vié de llà ddé hiume?” (= di dove sei, vieni dal di là del fiume?). Dire “dall’altra sponda”, era allora più o meno sinonimo d’arretratezza. Sicché costuisi sente autorizzato là ad umiliarmi in piazza e a srotolare il catalogo di tutte le eccellenze presenti a Casacalenda ma assenti “de llà da hiume”. <Che ci stà ‘u trene ne Guadje?  Qui c’è anche la Pretura, l’Ufficio del Registro, delle Imposte; c’è la Strada Statale (così detta Nazionale). C’è il Cinema. Qui abbiamo anche il Carcere!>.

Mi sento bastonato; mi riconosco bambino di creta, impotente, affamato di latte e di carezze. Qualche minuto dopo però, in classe, Rosetta, la bolognesina – la dolce insegnante di lettere – mi penetra e  intuisce. S’avvicina cospargendomi d’un sorriso materno che sembra mutare d’improvviso il mio deserto, in giardino rigoglioso. Mi affida a suo cognato, a Raffaele Jannucci!. Ed eccolo, dunque, studente liceale e maestro di gentilezza, l’inatteso che mi rimette per strada e che – quasi alla maniera d’un amministratore di sostegno – diventerà il mio cherubino, ansioso di farmi ripartire verso le meraviglie! Da allora, come fossimo fratelli per contratto, egli non cessa di  lanciarmi sguardi che non sono di sfuggita, e a tendermi gesti che suonano musica di cielo. Mi lancia insomma verso orizzonti luminosi di bellezze e di normalità “straordinaria”.

Per tanta insolita operazione di salvataggio, Raffaele recupera tutte le strategie idonee a mettermi fuori pericolo. E, per potenziare la raggiunta aggregazione fra tutti i compagni di classe, escogita una furbizia mai sognata a Casacalenda: la “Mac-P 100”: i 100 giorni cioè degradanti verso la chiusura dell’anno scolastico. Una festa di giochi, canti, di leccornie  e lieti stuzzichini degustati nel salone della nostra professoressa.. A mio scudo, irrompono in maniera affettuosa e imprevedibile anche Maria e Marghirita sorelle di Raffaele e gerenti d’un signorile negozio  in via Marconi, la cui monumentale insegna, aggraziata dal tocco decorativo e dai maestosi caratteri, ne garantivano eleganza e  rilevanza.

Ci distacchiamo a conclusione del mio ciclo scolastico kalentino. A distanza d’un buon lasso di tempo, Raffaele mi riappare a Guardialfiera il 26 dicembre 1990, quand’io avevo appena cominciato ad imprimere vivacità al Centro Studi. E’ venuto a salutare e godere della presenza in Molise di Boris Cristov, il basso allora più acclamato del mondo, e a deliziarsi del Concerto di Natale in Cattedrale vibrato dalla Orchestra Filarmonica di Plovdiv e dal Coro “Voci del Danubio: i protagonisti, l’anno prima, del Concerto i Capodanno, teletrasmesso da Vienna in mondovisione. Egli, accostandosi, mi bisbiglia: <Vincé, se è questo “u de llà ddè hiume”!>.  
Laureato in giurisprudenza, Raffaele apre le ali verso cieli tersi. E, avendo ripreso dal nonno farmacista, il dono della creatività e l’amore per la natura, a Milano diventa autore e redattore estroso di motti pubblicitari. Si sposa con Luciana, donna di grande cultura, la quale già a 19 anni, scriveva racconti su quotidiani.

Dal “Corriere della Sera” Raffaele  riceve l’incarico di modificare la testata “del Gruppo” indirizzandola a nuovi potenziali lettori. E ci riesce. Crea per Guglielmo Zucconi  il  “Club del Corriere dei Piccoli “ in competizione con quello di “Topolino”, e lega il suo nome ai più fortunati slogan promozionali, anche a quelli televisivi.

Nel 1970 reclina l’incarico, e diventa lui stesso il numero uno dell’editoria camperistica. Massimo esperto di turismo, ispiratore geniale e innovatore, crea la rivista “PleinAir”, tra la più note in Italia per campeggiatori e per coloro che amano  “vacanze in libertà”. E’ stata una risorsa notevole anche per la valorizzazione e lo sviluppo sostenibile di tanti nostri territori.  

Estimatore di Papa Francesco e entusiasta delle sue esortazioni apostoliche contenute nell’Enciclica “Laudato si”, con la complicità dell’Arcivescovo Rino Fisichella, nel 2016 è accolto in udienza privata dal Papa. Si scambiano risolini eloquenti, finché il Pontefice non dà il via libera alla istituzione del primo Giubileo  delle riviste di ispirazione ecologica.

Ci scambiamo da alcuni anni “i pensieri dell’alba”. Nella posta elettronica s’affollano temi, ricordi, riflessioni deposte come un chicco di grano, sul terreno delle ore e delle opere dell’uomo che vive, lavora e spera in questa nostra piccola cara patria comune. Il 5 ottobre 2022 mi arriva da lui una favola, incomincia così: “Viveva in un villaggio della Magna Grecia, corrispondente più o meno al nostro Mezzogiorno, il giovane del quale vogliamo raccontare la storia. Lo chiamavano Calenda. Un termine preso in prestito dall’originario Kalè, che nella lingua greca indicava bellezza. Aveva tanta fantasia, tanta voglia di conoscere. Ma il piccolo villaggio, un po’ alla volta, diventava per lui un recinto. Guardava l’orizzonte e sognava. Sognava scenari che nascondevano monti, colline, boschi, fiumi. La fantasia diventava giorno dopo giorno, spirito di scoperta con una intensità che lo rendeva ansioso. Che fare?”.Dopo tre paginette scritte con  caratteri di stampa corpo 10, la favoletta autobiografica  termina così:. “Quante generazioni di bambini hanno cantata la filastrocca di coccole pensando al proprio paesello che era ancor più bello marcondino marcondà. Che appassionamentoed efficace comunicatore tu, che, come i Ricchi e Poveri, poni sul trono d’una collina, quel bel paese tuo, fonte del primo ardore. L’amore per le radici, duella e sconfigge sempre l’indifferenza e il torpore di ogni tempo. Ma io intono, e sciogliero con la lingua, a voce alta,  l’inno all’amore per te, o eterna K”.

Si è spento, dunque, 30 giorni fa Raffaele Jannucci, il kalendino di classe libero, luminoso, gradevole; uomo di spessore e di straordinaria delicatezza umana. Un sovrano della penna che ha saputo comunicare, anche al di là dei vocaboli. E’ venuto meno un alacre studioso dall’intelligenza acuta e operativa.

(Vincenzo di Sabato) 

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