La campana di Vittorio Feltri per Guardialfiera

La nuova campana di Guardialfiera

E’ uscito sul quotidiano “Libero” dell”11 settembre un bel pezzo di Carla Ferrante che racconta della campana donata da Vittorio Feltri alla “sua” Guardialfiera, paese molisano dove il giornalista ha trascorso diverse estati durante la sua infanzia.

“Non c’è racconto o poema che non faccia riferimento al rintocco più o meno disteso di una campana, che dall’alto di una Chiesa detta il passo alle giornate”. Inizia così il bel pezzo della Ferrante. “Sono le campane le vere protagoniste della vita di ogni individuo. Scandiscono le gioie e i dolori con rigore e ossequiosità; segnano l’ora ai contadini, che ancora si apprestano a lavorare nelle campagne limitrofe di antichi paesi; dissuadono i temporali, che si allontano silenziosamente quasi a volersi scusare per aver squarciato il cielo con saette fulminee. Le campane sono l’anima di una città, dei piccoli centri, dove ancora oggi vengono fatte suonare da mani rugose, esperte, che muovono il batacchio come fosse un passo a due di un’antica danza”.

Ed ancora: “Ogni popolo affida alla campana la sua intimità e non c’è razza che vive il proprio territorio senza il rintocco della campana che risuona in ogni angolo, allungando le proprie vibrazioni tra le campagne e le periferie anche quelle più urbanizzate. Ma è nel Sud dell’Italia, nel cuore di quel Mezzogiorno, che vive di tradizioni sacre e consacrate alla fedeltà del rinnovo, che la campana diventa simbolo di unità, di passato e di futuro, di presagio e di speranza. La campana è però qualcosa di più. La sua forma, che ricorda il ventre, sprigiona l’energia femminile. Guai a non assecondare la sua musicalità, guai a far toccare le sue forme, i suoi fregi forgiati nei roventi forni, da inesperti musicanti, guai a non rispettare i suoi tempi. Una campana però non vive per sempre, se non nei ricordi di ognuno di noi. Nasce e muore sotto i rintocchi maturi di anni, e solo quando la vetustà apre crepe difficili da riparare, il popolo pretende, per fede e devozione, una nuova campana”.

Quindi l’autrice si sofferma sul paese molisano. “Così è stato a Guardialfiera, un piccolo centro dell’entroterra molisano, dove la campana più antica al mondo, che da secoli risuonava nella Cattedrale di Santa Maria Assunta, ha subìto un forte danneggiamento. Per la campana di San Giuseppe, forgiata ad Agnone in un lontano 1558 è arrivato il momento del riposo eterno. Occorre una nuova campana, subito, il prima possibile. Parte il tamtam tra i Guardiesi (gli abitanti di Guardialfiera), ma la raccolta fondi non è sufficiente. Servono più contributi ed è allora che Vincenzo di Sabato, amico d’infanzia del fondatore di queste colonne, Vittorio Feltri, ha un’idea geniale: chiedere aiuto proprio a lui al suo amico Vittorio, che da bambino correva per le viuzze di Guardialfiera sotto il sole cocente di quelle estati che conservano ancora il profumo e il sapore dei ricordi, quelli belli. Per tre lunghi mesi, ogni sacrosanta estate fino alla gioventù più matura, Vittorio era un guardiese, era un meridionale che sbiascicava il dialetto di ritorno nella Bergamo alta, che odorava di fabbriche e smog. La ruvidità del suo essere è di chi ha giocato per strada, di chi ha raccolto il grano dorato e di chi ha respirato a pieni polmoni l’odore dei campi, delle stalle, del latte appena munto.

LA DONAZIONE

Il fondatore di Libero tutto è, tranne che antimeridionalista e altezzoso lombardo. Non se lo lascia chiedere una volta di più, mette mano al portafogli e procede ad una cospicua donazione al comitato “Per la Campana”, che finalmente commissiona alla Pontificia Fonderia di Agnone la sua nuova campana. Lo scorso 24 maggio, in pieno lockdown arriva a Guardialfiera la campana. Arrivano, però, inaspettatamente anche critiche ingiuste, inopportune e altezzosamente meridionaliste, nei confronti di chi continua ad amare la sua Guardialfiera, come Dalí amava la sua Gala, come d’Annunzio, lombardo d’adozione, amava il suo Abruzzo. Feltri ha un vezzo, ne è consapevole, quello di essere provocatorio nelle verità oggettive (vogliamo incazzarci anche quando si afferma che l’Italia è la settima e non la prima potenza mondiale? Per coerenza dovrebbe essere così). Troppe le polemiche nate nel piccolo borgo molisano, che hanno persino etichettato il benefattore come fosse un nordista delle più cruenti guerre di secessione, incuranti, però, che oggi anche e soprattutto grazie al suo contributo (Vi piaccia o meno, tant’è la verità), Guardialfiera ha nuovamente la sua campana, che suona e riecheggia in tutto il paese”.

La chiusura del pezzo è esemplare. “La Campana di San Giuseppe in tonalità è straordinariamente bella, reca straordinari decori che ne esaltano lo splendore. Ne è felice anche Feltri. Il primo “battito” della nuova campana, ha provocato al suo cuore, che conosce i dolori che una vita intensa può riservare, un sussulto. Oggi come ieri, quando per la prima volta ha imparato a conoscere il mare, quando portava ad abbeverare i suoi amati cavalli alla fonte, quando giocava fino a stancarsi, quando correva con le ginocchia al petto a chiamare zio Ernesto, che giocava a tresette dinanzi al bar del paese, perché la cena di zia Nella era già sul tavolo e la campana di San Giuseppe aveva già suonato la ventunesima ora”.

Onore a Vittorio Feltri, di diritto un grande molisano d’adozione.

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