La disaffezione per la politica

Gli italiani che il 25 settembre si sono recati a votare, ovvero il 63,91 per cento degli aventi diritto, hanno espresso il desiderio che il Paese venga governato da una coalizione di Centro-destra a trazione Fratelli d’Italia che ha ottenuto il 43,79 per cento alla Camera e il 44,02 per cento al Senato.

La debacle delle altre forze politiche deriva certo dall’incapacità di coalizzarsi come richiesto dall’attuale legge elettorale voluta dal Pd in funzione anti grillina, ma soprattutto dalla fumosità di un progetto politico di cui pochi sono riusciti a cogliere la direzione e il senso.

La stessa sinistra paga pesantemente la mancanza di consensi derivante dalle divisioni che l’hanno condotta a una frammentazione impressionante; pesano anche al suo interno talune contraddizioni che l’elettorato non le ha perdonato.

I dati dell’affluenza alle urne rappresentano forse meno della metà degli italiani se al 36,09 per cento degli astenuti aggiungiamo le schede bianche e nulle.

Fino al 1979 il numero dei votanti è stato sempre superiore al 90 per cento; poi tale percentuale si è sempre più abbassata fino a quella delle ultime consultazioni, ma dal 2018 al 2022 il crollo di chi si è recato a votare è stato del 9,03 per cento e ciò a mio avviso dovrebbe preoccupare per la tenuta della responsabilità collettiva, ma spingere soprattutto i partiti a ricercare in profondità le ragioni del fenomeno.

Un astensionismo così elevato è sicuramente uno dei mali peggiori per la democrazia perché ne mina uno dei cardini fondamentali che è quello della partecipazione la quale, quando viene meno, rischia di affidare le decisioni sulla situazione sociale a una minoranza.

Una percentuale molto alta degli astenuti evidentemente rischia di diminuire la forza della rappresentanza e gli equilibri di potere con il pericolo serio della nascita di governi illiberali.

È indubbio che un tale disimpegno rispetto al voto penalizza le forze politiche che vedono arretrare i consensi al proprio simbolo e dunque hanno la necessità impellente d’interrogarsi in merito.

La prima causa va ricercata nella disaffezione per la politica da parte di chi vede i propri rappresentanti assolutamente incapaci di trovare soluzioni adeguate ai problemi ormai incancreniti che vive la popolazione.

Per anni il Parlamento ha dimostrato tutta la sua inadeguatezza a esprimere una legge elettorale decente e proprio la peggiore, il Rosatellum, con il premio di maggioranza ha permesso al partito più a destra dello schieramento politico di raggiungere la presidenza del Consiglio dei ministri.

Si dirà da parte di molti lettori che questa è la democrazia dimenticando che essa, come ho scritto di recente, è truccata dal sistema dei candidati nominati dalle forze politiche e non scelti dai cittadini, ma anche avvilita dai meccanismi assurdi di calcolo dei resti nella componente del proporzionale.

Tornare dunque alla piena sovranità popolare significa mettere in chiaro le responsabilità dei gruppi parlamentari che non vogliono cancellare questa pessima legge elettorale e portarli ad elaborarne una di tipo proporzionale che dia rappresentanza a tutte le componenti sociali.

I partiti cerchino di darsi strutture più democratiche, siano organismi di vera partecipazione per i cittadini, impegnino i loro iscritti a generare il confronto di base e controllino che gli eletti dimostrino responsabilità di presenza nelle commissioni e nelle sedute del Parlamento per generare elaborazioni di idee sul piano culturale e politico in grado di dare soluzioni razionali ai problemi del Paese.

Gli elettori in ogni caso devono convincersi che la crisi della politica non si supera con l’astensionismo ma con l’impegno personale di ciascuno nell’espletamento dei doveri di cittadinanza attiva e nella rivendicazione dei diritti attraverso la partecipazione al voto e la costruzione di sistemi di democrazia sempre più partecipata.

Il governo dell’Italia viene in ogni caso affidato dopo le elezioni del 25 settembre ad un Centro-destra che lo ha già avuto per anni dal 1992 e che durante la XVI legislatura dovette rinunciarvi con le dimissioni di Berlusconi perché nel 2011 eravamo sull’orlo di un tracollo economico determinato dal forte aumento dello spread e dalla fuga degli investitori dai titoli di stato italiani.

Fu chiamato allora alla presidenza del Consiglio Mario Monti che con dei veri e propri salassi fiscali ci mise una pezza che si è rivelata solo provvisoria e dunque insufficiente.

Non hanno fatto meglio i governi successivi rispetto alla pandemia, alla guerra in Ucraina e al crollo economico tuttora in atto che rischiano di portare nuovamente il Paese verso il baratro.

Dopo un’ennesima crisi politica, piuttosto che riportare i cittadini alle urne, il Presidente della Repubblica ha nuovamente affidato l’esecutivo a Mario Draghi, ancora un tecnico non eletto che è stato poi sfiduciato dalla convergenza dei voti del Movimento Cinque Stelle, di Forza Italia e della Lega.

Siamo da mesi ormai davanti ad una caduta pesantissima dei mercati finanziari che vedono una contrazione senza fine del risparmio degli italiani ma anche famiglie e aziende in forte difficoltà a causa dell’aumento dei prezzi delle fonti energetiche che s’impennano ogni giorno di più.

Nelle bollette di ottobre Nomisma Energia ha stimato un aumento del 60% del kilowattora mentre le stime per quello del gas lasciano pensare ad un incremento del 120%.

Nel settore produttivo molti sono gli impresari che adottano anche per motivi di risparmio il lavoro ibrido che alterna le prestazioni da remoto in smart working con quelle in presenza.

Molte aziende hanno chiuso e altre si avviano a farlo perché tanti sono ormai gli imprenditori convinti che l’economia stia entrando in recessione.

Sul piano politico non possiamo permetterci distrazioni, errori di valutazione o provvedimenti inefficienti in quella che sembra diventare una vera e propria tempesta.

Abbiamo bisogno di essere resilienti.

Anche le pezze a colore non riescono più a salvare dei pantaloni logori.

Fuori di metafora abbiamo davvero bisogno di rafforzare la democrazia nel nostro Paese e di cercare i fondi per sostenere famiglie e imprese chiedendo un maggior contributo a chi possiede più ricchezza e stanando quanti evadono le tasse creando così difficoltà soprattutto alle classi sociali più deboli.

Non credo possiamo consentirci, come molti vorrebbero, ulteriori sforamenti di bilancio creando nuovo debito perché quello italiano, che nello scorso giugno aveva superato i 2.770 miliardi di euro, è già troppo elevato; tra l’altro sarebbe difficile trovare chi acquista i nostri titoli di stato in un momento in cui gli investitori internazionali stanno fuggendo dalla borsa italiana del mercato azionario e obbligazionario.

Auguriamoci con tutto il cuore che per il bene dell’intera collettività nel nuovo governo i ministeri siano affidati guardando alla competenza invece che seguire le logiche del manuale Cencelli.

Credo che molti ancora non si rendono conto che siamo immersi in un’economia di guerra.

Occorre allora che, al di là delle differenze ideologiche e politiche, si riescano a trovare sintesi in grado di superare le enormi difficoltà economiche che stiamo vivendo e soprattutto la crisi drammatica di quanti fanno davvero fatica a sostenere la propria famiglia o a mandare avanti aziende che non riescono più ad avere materie prime e a pagare le proprie fonti energetiche.

Le urgenze che insorgono per chi fa politica sono tante, ma, se si vuole recuperare il prestigio del Parlamento, è indispensabile che si lavori al superamento dei conflitti armati disseminati ovunque nel mondo, alla costruzione di un piano di convivenza pacifica tra i popoli isolando nazionalisti e imperialisti di ogni risma definendo quindi un piano per il lavoro redistribuito equamente che dia ovunque serenità di vita alle famiglie.

In questi giorni ritornano forti in diversi Stati dell’Unione europea rigurgiti di un nazionalismo che amaramente dobbiamo costatare di non essere mai riusciti a superare mentre ora abbiamo necessità di farlo vivendo una situazione che rischia di farci precipitare in un baratro nel quale certo finirebbero i Paesi più deboli, ma affosserebbe anche chi manifesta sicurezze al momento inesistenti.

Mentre la follia di autocrati ostenta i muscoli invece dell’intelligenza minacciando perfino l’uso delle armi nucleari, l’assenza dell’ONU e la mancanza di coesione in Europa stanno provocando fibrillazioni che non possiamo permetterci perché potrebbero avere effetti disastrosi.

(Umberto Berardo)

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