La fama “zen” del Molise

Come sempre, i Giochi Olimpici regalano a tutti i Paesi partecipanti gioie, emozioni, delusioni, rammarichi, soddisfazioni e orgogli. Il Giappone, che è il Paese più elegante ed educato del mondo, ci ha dispensato quella che, per un popolo melodrammatico come il nostro, è una vera medicina dell’anima: pianti di felicità. “Quant’ è bello piangere di felicità” ha detto la divina Federica.

Del resto, grazie a De Coubertin (l’importante non è vincere ma partecipare), è andata bene proprio a tutti. Perfino a San Marino (61 chilometri quadrati, 33mila abitanti, due medaglie) e figuratevi che soperchieria avremmo percepito se anche questo nostro piccolo lembo d’Italia non avesse piazzato per la prima volta una sua stellina a illuminare il più antico dei firmamenti sportivi.

Tutti gli italiani, da Bolzano a Marsala, hanno esultato per il bronzo di Maria Centracchio, la molisana che, dopo la sconfitta subita in semifinale dalla slovena Trstenjak, ha battuto una malgascia, un’ungherese, una polacca e infine atterrato la rocciosa olandese Franssen.

Ma non basta. La premiata judoka di Isernia, figlia d’arte (“io e mio padre ci capiamo con lo sguardo”), una capatosta con anni di sacrifici alle spalle, condannata a non far salire di un grammo l’ago della sua bilancia, afflitta da una mononucleosi e poi dal Covid, ha fatto qualcosa di più: insieme alla sua fierezza sportiva ha urlato anche quella che nutre per la sua terra con parole – “Il Molise esiste e mena forte” – che nessuno meglio di lei poteva permettersi.

E quella sua ostentata baldanza ha colpito a tal punto da essere divenuta oggetto di raffronto mentale con le grandi star olimpiche colpite da depressione e crisi di panico. E così su Il Foglio è apparso un sarcastico articolo dal titolo “Simon Biles, Naomi Osaka e un peso troppo grande da portare. Fortuna che il Molise mena forte”, il cui autore, Maurizio Crippa, ha scritto con chiaro riferimento alla Centracchio: “è una fortuna che ci sono anche donne meno star, ma capaci di tenere botta”.

Tenere botta è stata del resto la cifra marcatamente femminile di questa Olimpiade tutta da vedere. Le tre centometriste jamaicane prime, seconde e terze, le staffette miste uomo-donna, le stoccate della scherma, le frecce centrate sui dieci, fino agli ultimi disperati colpi di braccia, di remi, di pugni e di gambe in piscina, su laghi, fiumi, circuiti, ring, trapezi e su quella soffice stuoia che è il tatami dove il Molise s’è guadagnata la sua piccola fama zen.

Molti si lagnavano dei pochi ori e dei troppi bronzi, quasi che i bronzi fossero una moneta di consolazione per un proletariato olimpico e non, come ricordava Orazio, l’Aere perennius, il metallo più resistente.

Poi però è finita che nelle ultime, avvincenti ore dei Giochi arriva per l’Italia il Golden boom: due ori da urlo, nel salto in alto e addirittura nei cento metri che è la regina delle gare di ogni Olimpiade.

Questa di Tokyo è stata dunque una bella, salutare e mondiale abbuffata di patriottismo, quello legato all’amore per la propria terra (cioè il contrario del nazionalismo, quello che vede sempre in cagnesco le terre degli altri).

(Giuseppe Tabasso)

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