
È stato definito “il Papa delle periferie”. Francesco lo ha sempre dimostrato privilegiando, per le sue trasferte o per la nomina dei cardinali, scelte inconsuete che hanno acceso i riflettori su luoghi “secondari”, ma sempre altamente simbolici.
Il primo dei 47 viaggi del pontefice argentino fuori dalla diocesi, realizzato l’8 luglio 2013 a neanche cinque mesi dalla salita al soglio di Pietro, è stato a Lampedusa. Primo Papa a mettere piede sulle Pelagie, su quel lembo di terra più vicino alla Tunisia che alla Sicilia.
Presso l’isola, 34 migranti avevano trovato la morte l’11 ottobre 2012 e 366 sarebbero annegati il 3 ottobre 2013.
«Ho sentito che dovevo andare, mi avevano toccato e commosso le notizie sui migranti morti in mare, inabissati. Bambini, donne, giovani uomini. Una tragedia straziante». Così Bergoglio ha spiegato in un’intervista che apre il libro “In viaggio” di Andrea Tornielli, giornalista della Stampa.
Ha ricordato quell’esperienza anche in un messaggio del 2024 per la quaresima: «Alla globalizzazione dell’indifferenza ho opposto due domande, che si fanno sempre più attuali: ‘Dove sei?’ (Gen 3,9) e ‘Dov’è tuo fratello?’ (Gen 4,9). Anche oggi il grido di tanti fratelli e sorelle oppressi arriva al cielo chiediamoci: arriva anche a noi? Ci scuote? Ci commuove?».
In quel lunedì memorabile di un caldo luglio, una motovedetta della Guardia Costiera, con a bordo Papa Francesco, è approdata sulla più grande delle Pelagie. Scortata da decine di imbarcazioni, molte di pescatori. È stato il primo atto di una giornata storica, benché con un cerimoniale sobrio, in cui il Pontefice ha compiuto una serie di gesti esemplari che hanno dato forza al valore dell’accoglienza.
Di fronte alla “Porta d’Europa”, il monumento alla memoria dei migranti morti in mare, il “Papa venuto da lontano” ha lanciato una ghirlanda di fiori bianchi e gialli nel punto dove si trova la statua della Madonna del Mare, a ricordo di quanti nelle traversate hanno definitivamente sacrificato la propria esistenza sperando unicamente in un futuro migliore.
Il gesuita argentino ha poi incontrato gli immigrati a Punta Favarolo, quasi tutti giovani, accolto da canti africani: Bergoglio li ha voluti salutare uno ad uno e scambiare qualche parola con alcuni di loro. È stato, di fatto, il primo abbraccio del suo pontificato.
La messa è stata celebrata al campo sportivo su un altare creato con una “carretta del mare”. Una messa fortemente penitenziale, con i paramenti viola.

Nell’assolata zona affollata di fedeli in località Salina, le frasi dell’omelia sono state forti come pietre: «Immigrati morti in mare, da quelle barche che invece di essere una via di speranza sono state una via di morte. Così il titolo dei giornali. Quando alcune settimane fa ho appreso questa notizia, che purtroppo tante volte si è ripetuta, il pensiero vi è tornato continuamente come una spina nel cuore che porta sofferenza. E allora ho sentito che dovevo venire qui oggi a pregare, a compiere un gesto di vicinanza, ma anche a risvegliare le nostre coscienze perché ciò che è accaduto non si ripeta. Non si ripeta per favore». E ancora: «Quei nostri fratelli e sorelle cercavano di uscire da situazioni difficili per trovare un po’ di serenità e di pace; cercavano un posto migliore per sé e per le loro famiglie, ma hanno trovato la morte. Quante volte coloro che cercano questo non trovano comprensione, non trovano accoglienza, non trovano solidarietà… Ho sentito, recentemente, uno di questi fratelli. Prima di arrivare qui sono passati per le mani dei trafficanti, coloro che sfruttano la povertà degli altri, queste persone per le quali la povertà degli altri è una fonte di guadagno. Quanto hanno sofferto! E alcuni non sono riusciti ad arrivare».
Frasi che hanno incarnato un momento di svolta epocale nell’approccio della Chiesa verso il dramma dei migranti, battezzando Lampedusa simbolo mondiale di accoglienza e di misericordia. Il Papa, nell’omelia, ha ringraziato più volte gli abitanti dell’isola. «Vorrei dire una parola di sincera gratitudine e di incoraggiamento a voi, abitanti di Lampedusa e Linosa, alle associazioni, ai volontari e alle forze di sicurezza, che avete mostrato e mostrate attenzione a persone nel loro viaggio verso qualcosa di migliore. Voi siete una piccola realtà, ma offrite un esempio di solidarietà! Grazie!».
Il Papa ha inquadrato il dramma delle migrazioni in quella cultura del benessere che rende insensibili ai bisogni del prossimo. «Abbiamo perso il senso della responsabilità fraterna: guardiamo il fratello mezzo morto sul ciglio della strada, forse pensiamo ‘poverino’, e continuiamo per la nostra strada, non è compito nostro; e con questo ci tranquillizziamo, ci sentiamo a posto. La cultura del benessere, che ci porta a pensare a noi stessi, ci rende insensibili alle grida degli altri, ci fa vivere in bolle di sapone, che sono belle, ma non sono nulla, sono l’illusione del futile, del provvisorio, che porta all’indifferenza verso gli altri, anzi porta alla globalizzazione dell’indifferenza. In questo mondo della globalizzazione siamo caduti nella globalizzazione dell’indifferenza. Ci siamo abituati alla sofferenza dell’altro, non ci riguarda, non ci interessa, non è affare nostro». Quindi: «Io vorrei che ci ponessimo una terza domanda: chi di noi ha pianto per questo fatto e per fatti come questo?, Chi ha pianto per la morte di questi fratelli e sorelle? Chi ha pianto per queste persone che erano sulla barca? Per le giovani mamme che portavano i loro bambini? Per questi uomini che desideravano qualcosa per sostenere le proprie famiglie? Siamo una società che ha dimenticato l’esperienza del piangere, del ‘patire con’: la globalizzazione dell’indifferenza ci ha tolto la capacità di piangere».

Nella punta Sud dell’Europa, Francesco ha dato subito un senso alla sua convinzione che la realtà si veda meglio dalle periferie rispetto al centro. È la “Chiesa in uscita”.
Il Papa ha conservato l’esperienza di luglio 2013 nel cuore. Ha ribadito in più occasione che Lampedusa, faro globale di solidarietà, è «simbolo di amore, carità e accoglienza».
Nel 2014, nel suo discorso al Parlamento europeo, ha affermato che «non si può tollerare che il Mediterraneo diventi un grande cimitero».
Nel febbraio 2016 ha voluto donare a Lampedusa l’enorme crocifisso (alto 3,4 metri e largo 2,75), denominato “Milagro”, realizzato dall’artista cubano Alexis Leyva Machado, con i remi di cedro delle barche dei pescatori cubani. In quella occasione, il Pontefice ha scritto: «I migranti sono nostri fratelli e sorelle che cercano una vita migliore lontano dalla povertà, dalla fame, dallo sfruttamento e dall’ingiusta distribuzione delle risorse del pianeta, che equamente dovrebbero essere divise tra tutti. Non è forse desiderio di ciascuno quello di migliorare le proprie condizioni di vita e ottenere un onesto e legittimo benessere da condividere con i propri cari?».
Nel 2019, nell’omelia della messa per il sesto anniversario della sua visita a Lampedusa, il Papa ha sottolineato come i migranti siano «il simbolo di tutti gli scartati della società globalizzata», ricordando quelli «ingannati e abbandonati a morire nel deserto, i torturati, gli abusati e i violentati nei campi di detenzione, gli ultimi lasciati in campi di un’accoglienza troppo lunga per essere chiamata temporanea».
L’anno dopo, sempre in occasione della messa dedicata ai migranti, nel settimo anniversario della visita a Lampedusa, il Pontefice ha ricordato «l’inferno dei lager in Libia», di cui abbiamo una versione «distillata».
Il Papa degli ultimi ha ribadito questa sua missione fino all’ultimo giorno di vita. A poche ore dalla sua morte, in una delle sue ultime trasferte, ha voluto visitare i carcerati del penitenziario di Regina Coeli a Roma. Segno ennesimo di una missione che ha condotto con “sovversiva” semplicità e fermezza. A partire dalla scelta del nome, un’offerta al poverello d’Assisi, una delle figure più potenti e rivoluzionarie della Chiesa nella predilezione per l’apostolato illibato delle radici. O in quell’elementare “buonasera” con cui ha aperto il suo pontificato dodici anni fa, ricordando con umiltà di venire “dalla fine del mondo”. O nella scelta di Casa Santa Marta quale residenza, anziché il Palazzo apostolico. E non a caso, dopo Lampedusa, ha scelto tappe “marginali” per i suoi primi viaggi, la Sardegna, il Molise e la Calabria in Italia, l’Albania in Europa. “Periferie” che hanno ricollocato la marginalità in una posizione centrale.
Francesco ha collezionato azioni clamorose che hanno sconfessato secolari “protocolli” della Chiesa conservatrice, polarizzando simpatie persino negli ambienti miscredenti e atei. Come quando ha inviato il suo elemosiniere Konrad Krajewski a riattaccare la luce staccata per insolvenza al centro sociale occupato “Spin Time” in via Santa Croce in Gerusalemme a Roma, emblema della sinistra antagonista e della residenzialità sociale. In coerenza con i suoi documenti scritti, come l’enciclica Fratelli tutti di cinque anni fa, punto di riferimento di una dottrina rivolta principalmente agli ultimi, ai discriminati, ai poveri, ai migranti (emblematiche le due visite a Lesbo, l’isola greca dove è attivo uno dei campi profughi più grandi d’Europa), ai carcerati, agli ammalati, alle vittime degli abusi e delle guerre. «Scarti» della «economia che uccide», utilizzando sue rappresentative locuzioni, frutto anche della «terza guerra mondiale a pezzi».
Di questo Papa resta principalmente la “lezione di Lampedusa”, con cui ha reso concrete le pagine dell’esortazione apostolica Evangelii Gaudium, dove ha ricordato che «ogni straniero che bussa alla nostra porta è un’occasione per un incontro con Gesù Cristo» e dell’enciclica Fratelli tutti, dove ha parlato dei migranti come una «benedizione». Parole scolpite sulla pietra della storia.
(Maria Di Saverio)