La nuova Enciclica di Papa Francesco

Il 24 ottobre nell’anno dodicesimo del suo pontificato papa Francesco pubblica la sua quarta enciclica dal titolo “Dilexit nos” che egli dedica al Sacro Cuore.

Il giorno successivo all’uscita abbiamo consultato tutti i principali organi d’informazione e in essi, a eccezione di Avvenire e successivamente di qualche periodico, non abbiamo trovato né l’annuncio della pubblicazione e tantomeno un commento.

Sono gli enigmi dell’informazione!

Il documento in linea con “Laudato sì” del 24 maggio 2015 e con “Fratelli tutti” del 3 ottobre 2020 è costituito da una breve introduzione, cinque capitoli e una conclusione.

Davanti a un mondo che sembra aver smarrito il senso dell’esistenza il pontefice ripropone con passione l’esempio di Gesù di Nazareth che ha abitato questo mondo per testimoniare e rendere concreto l’amore di Dio per le donne e gli uomini di ogni tempo.

Nell’introduzione si ripropone la centralità del cuore come simbolo del nucleo unificante del figlio di Dio che, partendo dai sentimenti positivi che possono legarci agli altri, ci dà gli stimoli per amare e operare indirizzando le azioni al bene.

Per il papa sentire il cuore come simbolo dell’amore, intendendolo secondo il termine greco “kardía” che indica ciò che è più interiore negli esseri umani, significa ridare spazio alla preminenza di questo sentimento centrale rinunciando a pensare come è avvenuto nel razionalismo greco e precristiano, nell’idealismo postcristiano, nel materialismo e nel neoliberismo che le espressioni del vivere risiedano solo in concezioni come la ragione, la volontà o la libertà.

Francesco cita al riguardo Heidegger che, nella sua modalità di accesso alla ricerca di senso del reale, non ridotto alle categorie conoscitive, ma compreso nelle sue manifestazioni concrete di comportamento, afferma “Il pensare dev’essere stato scosso emotivamente prima di lavorare con i concetti o mentre li lavora. Senza un’emozione profonda il pensare non può iniziare”.

In merito penso che la complessità di una persona sia costituita e si manifesti nel pensiero e nella vita in tutti gli aspetti di natura emotiva, sentimentale e razionale orientati al bene.

Negli altri capitoli il papa riporta tutti gli episodi toccanti del Vangelo in cui sono evidenziati i gesti, le parole e i sentimenti di Gesù nel suo rapporto con l’umanità con cui è venuto a contatto.

La tenerezza, la vicinanza, la compassione sono per Francesco i sentimenti profondi che sottendono il suo stile di vita.

L’amore del figlio di Dio per l’umanità avrebbe tre aspetti secondo il papa: divino, spirituale e sensibile.

Su ciò l’enciclica precisa “Nei Padri della Chiesa, a fronte di alcuni che negavano o relativizzavano la vera umanità di Cristo, troviamo una forte affermazione della realtà concreta e tangibile degli affetti umani del Signore”.

Il pontefice analizza poi la devozione al Sacro Cuore precisando che essa non è il culto per un’immagine e tantomeno per un organo separato ma per l’intera persona di Gesù.

Per uno come me, che vive la fede non tanto in riti che talora si tingono di parata, ma soprattutto nella relazione con Dio, nei riferimenti alla Parola e nel rapporto comunitario con tutti i fratelli, credenti e non, al fine di rendere concreto l’insegnamento e la testimonianza di Gesù nella realizzazione dell’amore per il prossimo, è confortante il seguente passaggio dell’enciclica nel terzo capitolo: “Bisogna ricordare che le visioni o le manifestazioni mistiche narrate da alcuni santi che hanno proposto con passione la devozione al Cuore di Cristo non sono qualcosa che i credenti sono obbligati a credere come se fossero la Parola di Dio. Sono stimoli belli che possono motivare e fare molto bene, anche se nessuno deve sentirsi obbligato a seguirli se non trova che lo aiutino nel suo cammino spirituale”.

C’è chi ha scritto che questa non è un’enciclica magisteriale.

Io non trovo che ciò sia vero perché i riferimenti biblici come ai padri della Chiesa, ai documenti precedenti di altri pontefici e agli esempi di testimonianza di tanti cristiani e cristiane che hanno cercato di testimoniare e praticare l’amore di Dio per il prossimo sono per tutti noi un’indicazione di riferimento all’insegnamento della Chiesa.

È per le ragioni più autentiche nelle quali trovo il fondamento del mio essere cristiano che il mio interesse per questo documento si è fermato soprattutto sul quinto capitolo e sulla conclusione in cui Francesco esamina con la consueta passione la dimensione spirituale, comunitaria, evangelizzatrice, missionaria e umana del rapporto con Dio.

È bellissimo questo passaggio in cui il papa ci indica la via nella quale dobbiamo camminare da cristiani.

La proposta cristiana è attraente quando può essere vissuta e manifestata integralmente: non come semplice rifugio in sentimenti religiosi o in riti sfarzosi. Che culto sarebbe per Cristo se ci accontentassimo di un rapporto individuale senza interesse per aiutare gli altri a soffrire meno e a vivere meglio? Potrà forse piacere al Cuore che ha tanto amato se rimaniamo in un’esperienza religiosa intima, senza conseguenze fraterne e sociali? Siamo onesti e leggiamo la Parola di Dio nella sua interezza. Ma per questo stesso motivo diciamo che non si tratta nemmeno di una promozione sociale priva di significato religioso, che alla fine sarebbe volere per l’uomo meno di quello che Dio vuole dargli. Ecco perché dobbiamo concludere questo capitolo ricordando la dimensione missionaria del nostro amore per il Cuore di Cristo”.

Ancora più avanti Francesco ce ne dà i riferimenti biblici.

Gli atti d’amore verso i fratelli di comunità possono essere il modo migliore, o talvolta l’unico possibile, di esprimere agli altri l’amore di Gesù Cristo. L’ha detto il Signore stesso: «Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avrete amore gli uni per gli altri» (Gv 13,35).

È un amore che diventa servizio comunitario. Non mi stanco di ricordare che Gesù l’ha detto con grande chiarezza: «Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40). Egli ti propone di trovarlo anche lì, in ogni fratello e in ogni sorella, soprattutto nei più poveri, disprezzati e abbandonati della società. Che bell’incontro!”.

Per il papa la missione che abbiamo è quella di una vocazione di servizio per diffondere il bene, la pace e la giustizia nel mondo.

Così come l’ha fatto con i discepoli attraverso l’insegnamento e la testimonianza di Gesù, Dio ci chiama con il dono della fede a questa compito.

Il pontefice afferma anche che non sarà un algoritmo a salvare il mondo ma la poesia e l’amore.

La concretezza di questo cammino è precisata nella conclusione dell’enciclica che riporto qui testualmente perché l’analisi e la preghiera finale del papa sono davvero una testimonianza eccezionale del rapporto che Francesco ha con Dio.

Ciò che questo documento esprime ci permette di scoprire che quanto è scritto nelle Encicliche sociali Laudato si’ e Fratelli tutti non è estraneo al nostro incontro con l’amore di Gesù Cristo, perché, abbeverandoci a questo amore, diventiamo capaci di tessere legami fraterni, di riconoscere la dignità di ogni essere umano e di prenderci cura insieme della nostra casa comune.

Oggi tutto si compra e si paga, e sembra che il senso stesso della dignità dipenda da cose che si ottengono con il potere del denaro. Siamo spinti solo ad accumulare, consumare e distrarci, imprigionati da un sistema degradante che non ci permette di guardare oltre i nostri bisogni immediati e meschini. L’amore di Cristo è fuori da questo ingranaggio perverso e Lui solo può liberarci da questa febbre in cui non c’è più spazio per un amore gratuito. Egli è in grado di dare un cuore a questa terra e di reinventare l’amore laddove pensiamo che la capacità di amare sia morta per sempre.

Ne ha bisogno anche la Chiesa, per non sostituire l’amore di Cristo con strutture caduche, ossessioni di altri tempi, adorazione della propria mentalità, fanatismi di ogni genere che finiscono per prendere il posto dell’amore gratuito di Dio che libera, vivifica, fa gioire il cuore e nutre le comunità. Dalla ferita del costato di Cristo continua a sgorgare quel fiume che non si esaurisce mai, che non passa, che si offre sempre di nuovo a chi vuole amare. Solo il suo amore renderà possibile una nuova umanità.”

La strada che il papa indica a chi si professa cristiano è davvero molto chiara!

Segue infine questa stupenda preghiera conclusiva.

Prego il Signore Gesù che dal suo Cuore santo scorrano per tutti noi fiumi di acqua viva per guarire le ferite che ci infliggiamo, per rafforzare la nostra capacità di amare e servire, per spingerci a imparare a camminare insieme verso un mondo giusto, solidale e fraterno. Questo fino a quando celebreremo felicemente uniti il banchetto del Regno celeste. Lì ci sarà Cristo risorto, che armonizzerà tutte le nostre differenze con la luce che sgorga incessantemente dal suo Cuore aperto. Che sia sempre benedetto!”

Come ha scritto opportunamente il teologo Bruno Forte, le riflessioni del papa ci dicono con chiarezza che siamo davanti a una figura di pontefice che non è appiattito sul sociale, ma vive e testimonia una fede ricca di una profonda spiritualità.

“Dilexit nos” è un’enciclica da leggere, ma soprattutto da approfondire nella riflessione perché possa diventare non tanto uno strumento di meditazione, ma un invito a rendere autentica la nostra esistenza.

La Chiesa sta vivendo il Sinodo e il prossimo anno avremo il Giubileo.

Spero tanto che tali eventi non siano puramente estemporanei, ma aiutino la Chiesa a rinnovarsi nella struttura, nel linguaggio, nel culto e nell’impegno a testimoniare e realizzare appunto l’amore di Dio per l’umanità.

(Umberto Berardo)

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