La profanazione costante del Molise

Numeri. L’esistenza del Molise è legata soprattutto ai numeri. Avere una superficie ridotta e pochissimi residenti, in costante calo e molti distribuiti tra paesi-fantasma, qualche decennio fa veniva giudicata un’opportunità. Qualcuno – ma all’interno della regione e con spiccato campanilismo – usava la locuzione “Piccola Svizzera”. Si parlava di alta qualità della vita e bassa conflittualità sociale come occasione per calamitare imprenditori, nuovi abitanti, investimenti, benessere. E, non scordiamocelo, si guardava all’imponente bacino secolare dell’emigrazione, fonte di rimesse economiche e di straordinarie competenze, come ad un toccasana.

Su un piano identitario, certamente la costituzione della Regione, nell’ormai lontano 1963, ha rappresentato una svolta positiva. Attesa da anni. Ma su quello pratico – a quasi 60 anni dalla divisione con l’Abruzzo – l’autonomia non è stata sfruttata per il benessere collettivo. Il Molise, al di fuori dei confini regionali, continua non solo ad essere considerato un “oggetto sconosciuto”, ma come tale screditato.

In questi anni sono emersi evidenti limiti di governance, talvolta imputati proprio a quegli scarsi numeri che non garantiscono ricambio e l’emersione di classe politica all’altezza del non facile compito di valorizzare questo territorio. L’esito di questa approssimazione condita di provincialismo e di mancanza di cultura politica è un’immagine del Molise che resta opaca e sconosciuta ai più, compresa quella storica del Sannio non sfruttata a dovere principalmente in termini di richiamo di un turismo selettivo. Insomma, l’autonomia è stata più occasione di retorica e di acquisizione di potere per pochi (talvolta di malaffare), sotto l’inflazionato ed enfatico ombrello dell’“orgoglio molisano”, che non una panacea per i tanti mali del territorio.

Il bacino umano dell’emigrazione, in tutto ciò, è rimasto qualcosa di ancorato al costume e a riunioni estemporanee dense di oratoria e di ampollosità fuori dal tempo, anziché affidarlo a studiosi in grado di avvalorarlo sul serio o di manager capaci di creare “ponti economici” utili per il territorio.

Le molteplici cronache di questi giorni, che non si differenziano molto da quelle del passato, confermano il disastro globale.

Il Covid, ad esempio, ha fatto esplodere la catastrofe della sanità molisana. Il Molise, nonostante goda di un territorio dove il distanziamento, per alcuni versi, è quasi insito nell’urbanistica (una sorta di “isola” naturale determinata dalle alte montagne e dal mare), registra un inaccettabile numero di contagiati – in percentuale tra i più alti nel Mezzogiorno – e soprattutto di vittime della pandemia.

Negli ospedali di Campobasso, Isernia e Termoli i problemi sono tuttora enormi. Ci si domanda perché la politica abbia rigettato la proposta di creare un centro Covid regionale a Larino, che avrebbe anche alleviato le ricadute negative per le cure che esulano dal Covid.

Come ben scrive Paolo Di Lella, “in Molise, dove si scherza su tutto, anche sulla propria esistenza, ci si sta accorgendo di quanto sia dannosa una politica che spalleggia l’impresa sanitaria privata, invece che tutelare e potenziare il sistema sanitario pubblico”.

Una persona qualificata come il commissario Giustini, inviato da Roma per vigilare sull’applicazione del piano di rientro dal debito molisano in sanità (di cui dovrebbero essere individuati i responsabili in un Paese normale), nell’atto del suo insediamento ha voluto incontrare tutti gli attori coinvolti, compresi i rappresentanti dell’emigrazione molisana, proprio per avere elementi. Dopo di che ha denunciato da subito l’azione dell’attuale governo regionale in materia sanitaria, non a caso attirandosi gli strali dell’attuale governatore.

Il comitato molisano “Verità e dignità vittime Covid”, per azione dell’avvocato Vincenzo Iacovino, oltre a denunciare il mancato aggiornamento del piano pandemico del 2006 (in linea con quanto sta emergendo a Bergamo), sta sollecitando le tre procure molisane a verificare il piano pandemico vigente, le cause i motivi che hanno determinato un eventuale mancato aggiornamento del piano pandemico e soprattutto le responsabilità del disastro sanitario, causa finora di oltre 250 vittime in Molise. Da qui la richiesta di sequestro di ogni documento utile, ivi comprese le cartelle cliniche dei pazienti.

Ecco, questo succede in Molise sul fronte della sanità. Dove addirittura un parlamentare molisano ha bisogno di incatenarsi davanti al ministero della Salute per poter parlare con il ministro. Il peso regionale resta quello piuma. Bisognerebbe anche chiedersi perché la regione sia l’unica collocata perennemente in fascia gialla: forse gli esigui numeri incidono anche sugli ormai “famosi” indicatori?

Una situazione sanitaria difficile, usando un eufemismo, limita anche le potenzialità del territorio in termini di richiami turistici o di nuove residenze: chi si trasferirebbe in una regione dove i servizi sono fortemente deficitari?

Le cronache di questi giorni includono anche l’annosa polemica per l’acqua molisana che prende altre strade in base a lontani accordi (1979) e sembra che la fornitura possa essere incrementata a fronte di minimi ristori (ipotesi di 7 centesimi a metro cubo). Per ora siamo nel campo dei “si dice” (altra acqua del Liscione diretta alla Puglia?), ma di certo la situazione molisana sul fronte del prezioso liquido è paradossale: un territorio ricco d’acqua vive continue crisi idriche estive, specie in Basso Molise.

L’ex consigliere regionale Salvatore Ciocca, a capo del comitato “Acque molisane”, annuncia un esposto in qualità di cittadino molisano alle autorità competenti compresa la Corte dei Conti sul danno erariale derivante dal fatto che la Puglia finora non ha ottemperato agli impegni presi decenni fa.

Se non bastasse con le “buone notizie”, basta leggersi le carte dell’Osservatorio antimafia del Molise per rendersi conto che di “Isola Felice” è rimasto davvero poco.

(Giampiero Castellotti)

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