La battaglia contro il corona virus non è finita. È sperabile che le misure consentano di bloccare i contagi, ma il successo finale ha bisogno di individuare cure efficaci per tutti i pazienti, come è avvenuto con pandemie precedenti, in sinergia con i paesi che possono fare la differenza per trovare cure innovative, fino alla produzione di un vaccino per prevenire questa malattia. Questo richiede tempo.
Oggi la priorità è curare al meglio tutti per avere il tempo di arrivare a soluzioni più strutturali. Il sistema sanitario italiano ha confermato buone qualità e potenzialità, malgrado la cura dimagrante che ha portato in 10 anni a tagliare 37 miliardi di euro e 71.000 posti letto. La corsa a creare posti letto è la critica più feroce alla faciloneria dei tagli del passato e non si spiega con la sola emergenza. Quei tagli rendono oggi più difficile, al limite dell’impossibile, affrontare sfide come quella del corona virus. Recentemente è stato consentito di andare in pensione a migliaia di medici e infermieri esperti, senza prevedere con anticipo la loro sostituzione, facendo anche un enorme regalo di competenze alle strutture private. Il numero di posti letto per abitanti in Italia è uno dei più bassi in Europa. Il personale è diminuito in modo impressionante, sono cresciute forme di affidamento esterno della cura della salute e di servizi, come si trattasse di riparare biciclette rotte. La disponibilità di mezzi e tecnologie nelle strutture sanitarie, ospedali compresi, non sono state al passo, per di più sono sottoutilizzate, favorendo il settore privato.
La sanità è da tempo oggetto di riduzione della spesa con conseguenze negative sulla capacità di cura – mentre oggi è questo il settore che regge il peso della pandemia – favorendo la crescita di una sanità privata finanziata dal pubblico, una sorta di conto terzi nella cura delle persone. La diffusione delle assicurazioni private è il potente volano finanziario che ha spinto la crescita del ruolo del privato, con un percorso che avvicina l’Italia agli Usa, anziché il contrario. Oggi la priorità è fare fronte all’emergenza del coronavirus ad ogni costo, con iniziative straordinarie, riconoscendo il coraggio, il sacrificio del personale sanitario che affronta una prova tremenda, che regge con professionalità, ma occorre mettere fin da ora all’ordine del giorno i temi di fondo: quale servizio sanitario occorre all’Italia? la cura della salute è una priorità assoluta oppure no?
In un paese moderno e civile la salute dei cittadini deve essere al primo posto, ne consegue che il parametro non è la crescita del Pil in sé ma come si calcola il Pil. Se aumentano gli armamenti è un aumento malato del Pil. Se aumenta la capacità di mantenere in salute la popolazione e di affrontare emergenze come questa si tratta di un aumento positivo del Pil. Così è per il sistema di istruzione pubblica nazionale, per uno sviluppo ambientalmente sostenibile, ecc. Se il sistema di istruzione garantisce un accesso a tutti fino ai livelli più alti con un buon livello di risultati si tratta di un aumento positivo del Pil. Sempre di spesa si tratta, ma questa serve a migliorare la vita, le armi a distruggerla. C’è spesa e spesa. La qualità del Pil è da tempo la cartina di tornasole di una società malata o di una società sana. Occorre cambiare in profondità i criteri di valutazione. Purtroppo la contabilità del Pil è quella di sempre mentre nuovi parametri dovrebbero entrare nella valutazione del Pil, la cui crescita non può coesistere con il peggioramento delle condizioni di vita, oppure con una distribuzione della ricchezza e del reddito sempre più divaricati. Ricordando che una crescente divaricazione nella distribuzione del reddito è all’origine della debolezza della domanda interna, in presenza della crisi di un modello tutto proiettato all’esportazione, che infatti è in serie difficoltà, a partire dalla Germania.
La crisi provocata dal corona virus deve spingere ad invertire la rotta e per tornare alla sanità vanno messi al centro tre aspetti decisivi:
- Non c’è posto per 20 sanità regionali, differenti tra loro. Occorre un sistema sanitario nazionale, che ci ha garantito per anni una delle migliori sanità del mondo, del quale beneficiamo tuttora malgrado tanti errori e impoverimenti. Tralasciamo aspetti farseschi come lo spettacolo disarmante di alcuni esponenti regionali alla ricerca di altri su cui scaricare le responsabilità, arrivati a sostenere sistemi diversi di intervento regionale, cercando di dimostrare superiorità inesistenti, salvo poi invocare dal governo misure draconiane, interventi dell’esercito, aiuti dal resto del paese e quant’altro. La diatriba sui tamponi a tutti oppure no ha raggiunto rari livelli di stupidità, se il sistema è giusto deve essere generale, se non lo è non ha senso gonfiarne il ruolo. Se e quanto il loro uso sia valido, vale per altri interventi, va deciso in sede politica sentiti gli esperti, nella consapevolezza che occorre avere apertura ad evidenze ed essere a disponibili ad aggiustare il tiro contro un nemico sconosciuto. È apparso chiaro dall’inizio che la diversità tra regioni riguarda i diversi tempi di contagio e la capacità reale di garantire le misure necessarie di isolamento. Invece si è cercato di dimostrare che c’erano diverse ricette. Le scelte che riguardano la salute delle persone richiedono un indirizzo unitario che garantisca ai cittadini in qualunque parte del nostro paese la possibilità di avere un sistema di cura adeguato ed è probabile che per arrivare a questo risultato sia necessario definire nuove forme di solidarietà e di coinvolgimento di strutture di buon livello a sostegno di altre che non lo sono, avviando il superamento dello spostamento per curarsi in altre parti del paese. Non solo va archiviata l’autonomia regionale differenziata ma va ripensato l’attuale titolo V della Costituzione, modificato nel 2001, chiudendo la fase delle differenti sanità regionali e riconducendo le scelte e la gestione ad un indirizzo unitario nazionale. Non solo dello stato, ma dello stato con il concorso delle regioni e con un’attuazione comune. Il nuovo titolo V è stato un errore, occorre correggerlo rapidamente garantendo l’unità nazionale, come del resto va fatto nella scuola, nell’ambiente, nel lavoro, garantendo che le scelte nazionali siano discusse obbligatoriamente con le regioni, ma ferma restando una decisione unica nazionale.
2) Il finanziamento deve consentire di ricostruire un sistema sanitario pubblico in grado di offrire a tutti i servizi necessari, usando le strutture tecniche più moderne, con un nastro orario di utilizzo adeguato alle esigenze dei cittadini, perché il loro utilizzo parziale è un enorme favore al privato e un danno ai cittadini. Il sistema sanitario non deve più essere il bancomat dell’austerità, semmai deve essere il traino della ricostruzione di settori produttivi e servizi che sono indispensabili per la salute, la cui fornitura non può dipendere dall’estero, come è accaduto con le mascherine. C’è un interesse nazionale che deve avere la priorità, controlli nell’interesse nazionale su export ed import compresi. Il sistema pubblico deve avere le strutture necessarie per fare fronte alle necessità ordinarie e in grado di affrontare le emergenze che la globalizzazione ha dimostrato coinvolgono tutti. In questo quadro occorre reclutare il personale necessario, specializzarlo al massimo livello, anche con vincoli che consentano di contare su un apporto per un periodo non breve, visto che i costi di formazione nelle strutture sono alti e c’è una concorrenza di altri paesi e del privato che offre condizioni concorrenziali, cosa possibile perché trovano personale già formato e capace, risparmiando la formazione già avvenuta. Occorre retribuire adeguatamente il personale, specie quello che è in prima linea. Occorre una programmazione sanitaria nazionale in grado di prevedere le esigenze di personale e di strumenti. Un esodo del personale senza avere pronti per tempo i sostituti è stato un errore. Il sistema sanitario deve essere finanziato sulla base della considerazione che è indispensabile per garantire il meglio per la salute delle persone.
3) Occorre rideterminare il rapporto tra il tempo speso dal personale nel sistema pubblico e l’attività privata, stiamo infatti ad un limite che non va superato. Non va dimenticato che essere docenti o a capo di un reparto pubblico è un titolo spendibile per la professione privata. La programmazione del lavoro deve prevedere la presenza nelle fasi di maggiore bisogno, evitando che la parte privata debordi sulle scelte nel pubblico e occorre introdurre, come in altri paesi, un preciso limite, per esercitare al di fuori della struttura pubblica che può avvenire insieme al superamento delle liste di attesa nella struttura pubblica. Altrimenti il buon nome che deriva dall’incarico pubblico serve solo a fare pubblicità alla professione privata. Uno stop va messo anche alla crescita del settore privato che ormai punta a soppiantare il pubblico, non ad integrarlo. Il funzionamento attuale porta seriamente al rischio che la sanità pubblica italiana subisca una irreversibile deriva mercatista di tipo americano.
Da anni aumentano le strutture sanitarie acquistate o controllate dall’estero, chiudendo il cerchio con il ruolo che svolgono le assicurazioni integrative. I fondi pubblici debbono essere trovati, investimenti e remunerazioni debbono essere adeguati, ma parte delle risorse deve essere trovato rilanciando un funzionamento efficiente ed efficace della sanità pubblica, ridimensionando la crescita delle aspettative private che rischiano di essere il tarlo che svuota dall’interno il sistema pubblico, avvicinandolo sempre più a quello americano.
Una discussione di questo tipo si impone, deve essere nazionale e portare ad una nuova fase di rilancio del sistema sanitario pubblico. Se non ora, quando?
(Alfiero Grandi)