La vittoria di Giorgia Meloni

I numeri parlano chiaro: il centrodestra ha la maggioranza assoluta nella “nuova” Camera da 400 deputati e nel “nuovo” Senato da 200 membri. E all’interno di questa storica affermazione, Fratelli d’Italia può festeggiare avendo ottenuto più del 26 per cento dei consensi degli elettori (era al 4,3 per cento alle scorse elezioni politiche di quattro anni fa), lasciando la Lega a meno del 9 per cento, un pesante ridimensionamento, e Forza Italia ad un dignitoso 8 per cento. Male Noi Moderati di Maurizio Lupi (con Luigi Brugnaro e Giovanni Toti), che non raggiunge la soglia dell’uno per cento.

Il partito di Giorgia Meloni sfonda al Nord, doppiando la Lega in Lombardia (28 a 14), più che raddoppiando in Veneto (33 a 15), quasi triplicandone i voti in Piemonte (20 a 7). Clamoroso il dato di Roma Centro, da sempre feudo del Pd, dove all’uninominale per il Senato la candidata del Centrodestra Lavinia Mennuni ha avuto la meglio su Emma Bonino e su Carlo Calenda. Nella circoscrizione Lazio 1 della Camera, Fratelli d’Italia è al 30 per cento contro il 21,8 del Pd.

Anche al Sud, il partito della Meloni guida il centrodestra con il 22,4 in Molise, il 17,9 in Campania, il 24,5 in Puglia, il 19,1 in Basilicata, il 19,1 in Calabria.

Nelle sfide tra big, in Lombardia Daniela Santanché ha battuto Carlo Cottarelli e Isabella Rauti ha superato Emanuele Fiano; Rita Dalla Chiesa è stata eletta in Puglia, Claudio Lotito in Molise, Maria Elisabetta Casellati in Basilicata. Silvio Berlusconi ha trionfato a Monza con oltre il 50 per cento dei consensi. Ce l’ha fatta anche Marta Fascina, compagna di Berlusconi.

Per quanto riguarda la sinistra, da segnalare l’elezione in Toscana di Ilaria Cucchi come senatrice, mentre non sono stati rieletti il giornalista Sandro Ruotolo e Paolo Siani, fratello di Giancarlo, il giornalista ucciso dalla camorra. Male anche per l’ex ministro Vincenzo Spadafora con Impegno Civico.

Giorgia Meloni raccoglie i frutti di anni di opposizione, riuscendo anche a rivitalizzare l’area dei conservatori che in Italia è stata sempre particolarmente forte. “Le elezioni servono a portare l’opposizione al governo” si scrive oggi. Chiosa Alessandro Sallusti su Libero: “Basta, si torna all’abc della politica e della democrazia: chi vince le elezioni governa, chi perde si accomoda all’opposizione”.

La Meloni, dalla sua, ha la lunga esperienza politica, cominciata ad appena 15 anni nella “difficile” sezione romana del Msi-dn in Garbatella, uno degli storici “feudi rossi” della città. Ha anche la tenacia e l’anima popolare, “famiglia modesta e studi fermi al diploma”, come ricorda Antonio Polito sul Corriere della Sera di oggi, insomma lontana da quei tanti “figli di papà” che troneggiano nella politica italiana. Ma Polito ricorda anche il suggerimento che gli ha fornito l’inviato del giornale francese Le Figaro, andato tra la gente per strada a chiedere perché votare la Meloni: la voto per la coerenza, la risposta più inflazionata.

C’è un altro vincitore, sul fronte dell’opposizione: è Giuseppe Conte. Con i suoi Cinque Stelle, fino a pochi mesi fa dati in dissoluzione, è riuscito a superare il 15 per cento dei consensi – almeno tre punti in più rispetto agli ultimi sondaggi – grazie in particolare al voto del Mezzogiorno. Massimo Franco sul Corriere della Sera di oggi efficacemente parla di nuova “Lega Sud”. Il movimento pentastellato è primo in gran parte delle regioni meridionali ed ha vinto tutti i collegi uninominali di Napoli e provincia.

Una curiosità: nel paese natio di Giuseppe Conte, Volturara Appula, in provincia di Foggia, il M5S è stato votato dall’85,12 per cento degli aventi diritto, smentendo il motto nemo profeta in patria.

Giuseppi”, spinto dalla bandiera del reddito di cittadinanza, ma anche da un personale carisma emerso nella fase della pandemia, tallona il vero sconfitto della consultazione, il Partito democratico, al 19 per cento, che paga soprattutto gli errori tattici sul piano delle alleanze. I “compagni di strada” scelti hanno raccolto briciole, addirittura Luigi Di Maio è andato sotto all’uno per cento, fuoriuscendo dal Parlamento. Rispetto alla concretezza di Conte, che ha indossato i panni di paladino degli emarginati, i dem scontano l’ambiguità di una sinistra ormai chiusa nelle stanze del potere e nei quartieri più benestanti delle nostre città. Il Pd rischia di bruciare l’ennesimo segretario, Enrico Letta, che comunque ha inanellato numerosi errori di strategia e di comunicazione. Andrea Carugati sul Manifesto di oggi non si sottrae dalla locuzione “sconfitta catastrofica”. Lo stesso quotidiano bolla come “deludente” il risultato dell’alleanza Verdi-Sinistra (intorno al 3,5 per cento), area che lascia un altro punto e mezzo all’Unione popolare di Luigi De Magistris.

Carlo Calenda, poco sotto all’8 per cento, non ha bissato il buon risultato romano a cui ambiva. Ed è finito sotto a Forza Italia, a cui sperava di sottrarre molti consensi. Può comunque essere una buona base di partenza per ricostruire quel centro liberale che non si sente rappresentato dalla destra. La sua analisi è lucida: “Nei prossimi mesi si consolideranno tre schieramenti: la destra al governo; una sinistra sempre più populista che nascerà dalla risaldatura tra Pd e M5S, e il nostro polo riformista”.

Queste elezioni, va detto, costituiscono una sconfitta per il governo di Mario Draghi: coloro che hanno issato la sua “agenda” come vessillo, oggi si leccano le ferite. L’ulteriore aumento dell’astensionismo va anche in quella direzione. Tuttavia appare imprescindibile la continuità in politica economica e sulla collocazione internazionale. Occorrerà capire se e come la Meloni, prima donna a ricoprire l’incarico di premier, continuerà sulla linea “accomodante” atlantica e europeista, avendo già dato assicurazioni in tal senso, per non inimicarsi l’Europa e i mercati. La nuova fase, infatti, è particolarmente monitorata dall’estero, anche perché costituisce un’incognita per tutti. Di certo il sovranismo internazionale sembra rianimato dai risultati italiani, che fanno seguito a quelli ancora più clamorosi avvenuti in Svezia, e i rapporti con il regime di Vladimir Putin rappresentano un esame decisivo.

Per ora la parola “responsabilità”, ribadita nelle prime dichiarazioni della futura premier, fa ben sperare.

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