L’addio alle urne dell’elettore di sinistra

Il citatissimo Sanremo ha “tirato” certamente più dell’urna elettorale. In fondo la spettacolarizzazione delle nostre società, sempre più voraci di emozioni effimere, raccoglie questo genere di frutti. Meglio il televoto del voto. Preferibile Marco Mengoni ad Alessio D’Amato. E se i giovani disertano la politica e i seggi, tra Bonaccini e la Schlein occorrerebbe scegliere senza dubbi Amadeus quale “salvatore della patria”. Se gli artisti un tempo onoravano l’intellettuale di turno, oggi santificavano l’ex disk-jockey, ringraziandolo all’infinito per l’opportunità concessa a frotte di giovani generazioni. Segno dei tempi.

Il supermondo virtuale dei telefoni cellulari, che sta facendo sempre più perdere di senso la realtà quotidiana, ha sottratto anche il sentimento della speranza. C’è assuefazione all’assuefazione. La gerarchia dei bisogni essenziali è ormai fluida, le ore spese immersi nel gioco digitale o al limite davanti al Grande Fratello hanno polverizzato anche l’ultimo barlume ideologico, archiviato come retaggio del pleistocene. È sufficiente il discorsetto della Chiara Ferragni di turno per lavare le coscienze. Una Iotti 2.0. Anzi, nel suo universalismo digitale, una Dolores Ibárruri 4.0.

L’elettore “progressista”, in realtà prigioniero delle sabbie mobili dell’oscurantismo, langue. Si lacera senza l’offerta convinta, coesa e convincente dei “suoi” valori. Tutto un armamentario, sempre più frammentato, appare anche arrugginito. Non crede più agli slogan dell’occasione e alla finta rappresentanza offerta da chi gli chiede il consenso nella perpetuazione di se stesso. Il seguace soffre, ma non delega. Si arrende. Orfano persino del quotidiano di partito o della casa del popolo, gli resta una sola voce verbale all’infinito: disertare. Un atto che profana finanche la partecipazione, un tempo il must del riformismo illuminato. E se la destra marcia, rinnovando antichi splendori, la sinistra marcisce.

(PDV)

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