L’assurda vicenda dei banchi non sia d’esempio per il Recovery

La vicenda dei banchi a rotelle nelle scuole è purtroppo emblematica di un uso non proprio “entusiasmante” del denaro pubblico. È diventato oggetto di scherno ma, in realtà, c’è poco da ridere.

Il Veneto, come noto, li ha già accatastati nei magazzini. “Fanno venire il mal di schiena – ha sentenziato Elena Donazzan, l’assessore competente. Anche l’Abruzzo li ha dismessi e si teme che altre regioni facciano lo stesso.

Secondo le cifre ufficiali, sarebbero stati spesi complessivamente 119 milioni di euro. Ma Matteo Renzi parla di 461 milioni. Ne sarebbero stati acquistati 430mila: in molte scuole, anziché sostituire in blocco quelli tradizionali, li hanno affiancati, rendendo vano lo scopo del distanziamento. E non mancano su Youtube filmati dei banchi utilizzati come autoscontro. Tra l’altro molti dei banchi tradizionali a due posti, quelli sostituiti, sono finiti nelle discariche benché in uso da poco tempo.

Sul quotidiano Libero di oggi c’è un’intervista all’imprenditore e designer Giulio Ceppi, professore al Politecnico di Milano, che ha fatto parte di una commissione di 18 professionisti nominati dal ministero dell’Istruzione per studiare proposte per la ripartenza della scuola a settembre. Il team, come racconta il designer, ha lavorato gratuitamente per tre mesi per realizzare un rapporto di 160 pagine “che sarà impolverato in qualche cassetto del ministero” commenta il professor Ceppi, il quale asserisce di non aver mai saputo dei banchi a rotelle. Qualche idea proposta? “Lo sviluppo della scuola fuori dalle classi: nei musei, nelle biblioteche, anche nelle fabbriche – racconta il professore del Politecnico, che racconta anche la disponibilità dell’associazione degli editori di puntare forte sul digitale.

Ecco, la vicenda è esemplare di come non si dovrebbero spendere i soldi (per due terzi a prestito) del Recovery. L’architetto racconta un’esperienza virtuosa: “Negli anni, e do la colpa alla mia categoria, abbiamo inventato scuole dalle forme assurde, ad esempio con teatri giganteschi che non usa nessuno. A Torino invece, bella iniziativa, hanno creato la figura dell’architetto-tutor: un professionista che segue una scuola per 5-6 anni, entra in rapporto con la comunità, conosce i docenti, gli alunni, i genitori, capisce le esigenze e ci lavora sopra. Solo così si possono capire le necessità reali”. Parole sante.

(Domenico Mamone)

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