Le difficoltà italiane in questo 2020

Le difficoltà che vive l’Italia ormai da anni sono sotto gli occhi di tutti.

I dati Istat per il 2019 presentano una realtà demografica con una forte contrazione della natalità che rende l’età media della popolazione sempre più alta e fotografa un Paese con un pericoloso invecchiamento dei suoi abitanti.

Diminuiscono tra l’altro i matrimoni e aumentano le famiglie unipersonali.

Non possiamo aspettarci altri numeri finché pensiamo ad aumentare la spesa pensionistica piuttosto che quella per il sostegno ai genitori in favore dei figli minori.

A ciò occorre aggiungere quello che forse è il dato più preoccupante.

Dal 1861, anno della sua unificazione, l’ultimo decennio è stato per l’Italia quello con la più bassa crescita economica.

Paesi come Grecia e Portogallo crescono ormai più del doppio rispetto a noi.

In altre parole appariamo agli ultimi posti in Europa per la capacità di superamento di una recessione economica che ha avuto il suo picco nel 2008.

Siamo sicuramente tra i più lenti ad uscire dalla crisi perché gli errori di gestione delle politiche economiche e sociali sono stati davvero numerosi e macroscopici.

D’altra parte cosa puoi aspettarti da una classe dirigente che, invece di pensare a favorire gli investimenti produttivi e la piena occupazione, stanzia miliardi del proprio bilancio per politiche unicamente assistenziali come il “Reddito di cittadinanza” o “Quota 100” ?

Sono due provvedimenti che stanno rivelando una negatività che va al di là delle peggiori previsioni.

La politica è così lenta che ancora non riesce a superare la crisi delle banche come dimostra chiaramente l’ennesimo intervento sulla Banca Popolare di Bari.

Il risanamento in atto troppo fiacco del settore non facilita certo i finanziamenti alle imprese che negli ultimi dieci anni sono scesi del 28% .

In alcuni comparti come quello automobilistico, siderurgico, delle telecomunicazioni e dei trasporti abbiamo continuato ad avere una visione testardamente rivolta al passato senza alcuna capacità di aprire i settori ad una concezione rinnovata degli impianti e delle tecnologie.

Mentre altrove con l’economia della conoscenza, l’intelligenza artificiale e la robotica ci si apre a nuove dimensioni nella produzione e nelle comunicazioni in Italia siamo fermi al sostegno ad aziende improduttive come Alitalia o ad altre con strutture antiquate e pericolose come quelle dell’acciaio a Taranto.

Oltretutto, mentre negli Stati Uniti e in Cina attuano politiche di protezione dei sistemi innovativi di produzione, noi siamo incapaci di potenziare la ricerca per entrare nel mercato dei prodotti emergenti e finiamo per subire in questa direzione forti importazioni che penalizzano la nostra borsa commerciale.

Tralasciamo il settore telematico dove siamo pressoché assenti, ma finanche in quello automobilistico non siamo stati in grado di aprirci alle produzioni di motori innovativi a metano, ibridi o elettrici.

Perfino nell’agricoltura e nella zootecnia abbiamo seguito le logiche neoliberiste di una produzione finalizzata alla quantità a scapito della qualità e già ne stiamo pagando amare conseguenze sul piano della salute dei consumatori.

In economia sembriamo orientati alla sopravvivenza né riusciamo a trovare il coraggio di affrontare seriamente il tema della lotta all’evasione fiscale che ci consentirebbe di trovare nuove risorse per investimenti nelle infrastrutture e per abbassare il livello di un’imposizione fiscale che è troppo alto e che rappresenta sicuramente la ragione fondamentale di molte delocalizzazioni produttive da parte di diverse aziende.

Se Paesi europei come la Francia e l’Italia sono capaci di bloccarsi nella tassazione ai grandi colossi del web di fronte alle minacce di ritorsione di Donald Trump e rimangono in silenzio sulla negazione dei diritti dei lavoratori soprattutto nella realtà industriale asiatica, è chiaro che nell’Unione Europea si fa sempre più fatica ad esprimere autonomia nelle decisioni politiche.

I privilegi, la corruzione e il forte potere incontrastato delle cosche mafiose rappresentano poi indubbiamente la più grande palla al piede per lo sviluppo economico italiano.

Rispetto a questi problemi anche i discorsi di fine anno del presidente del Consiglio Giuseppe Conti e dei presidenti delle giunte regionali ci sono apparsi quelli di chi si adopera unicamente ancora per nascondere la polvere sotto il tappeto.

Se l’ottimismo può essere di casa in certe regioni, in altre appare francamente un bluff fuori luogo che oltretutto espone al ridicolo chi lo esprime.

Vorremmo a tale proposito ricordare a tutti che la politica, piuttosto che sanare le disuguaglianze territoriali, con il regionalismo differenziato le accentuerà penalizzando specialmente il Mezzogiorno e le aree interne.

Su tale questione, a parte il chiacchiericcio accademico, non c’è una forza politica che manifesti con chiarezza una visione alternativa.

La stessa mobilitazione di “Carovana del Sud”, pure molto apprezzabile per certi aspetti, rischia forse di essere tardiva.

Francamente con le dovute eccezioni siamo davanti ad una classe dirigente che segna il passo e si dimostra inadeguata alla soluzione delle questioni che il Paese ha davanti.

D’altronde una recentissima indagine sociologica condotta da Nando Pagnoncelli ci dice con chiarezza che, con l’unica eccezione della Meloni, tra gli italiani è calato in maniera pesante il gradimento per tutti i leaders politici presenti in parlamento.

Diversi ci sono sembrati il tono e i contenuti del discorso di fine anno del Presidente della Repubblica che continua a mostrare competenza istituzionale e forte responsabilità politica.

In particolare abbiamo apprezzato il suo invito alle forze politiche a ridimensionare i contrasti invitando tutti ad un’operatività sempre più condivisa per il bene di un Paese come l’Italia che ha un bisogno impellente di porre al centro dell’attenzione un progetto di sviluppo economico le cui linee ancora non si intravvedono neppure all’orizzonte.

L’appello discreto, indiretto ma pressante di Mattarella è stato quello di allargare lo sguardo oltre le contrapposizioni quotidiane per uscire dalle difficoltà ed aprirsi a speranze che non possono che fondarsi sulle risorse del Paese e sulle potenzialità da creare con un caparbio lavoro di ricerca.

(Umberto Berardo)

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