Le molteplici attese su Draghi

Non è certamente facile il compito per il premier Mario Draghi, chiamato sostanzialmente a gestire due materie vitali: la complessa campagna vaccinale, da cui probabilmente dipenderà il prossimo futuro di tutti (salvo varianti) e l’amministrazione delle risorse del Next Generation Eu, boccata d’ossigeno per un Paese sempre più in ginocchio.

Per la prima operazione, le difficoltà derivano da piani diversi, con un ruolo centrale della logistica, disciplina purtroppo storicamente non proprio consona alle nostre capacità organizzative. C’è un nodo legato ai localismi: la gerarchia delle priorità, ad esempio sulle categorie da vaccinare, non può essere affidata a 21 comandi differenti, regioni e province autonome. E infatti le rilevanti differenze percentuali di anziani vaccinati tra i territori costituiscono un vulnus di civiltà e di giustizia sociale. C’è però anche una questione nazionale, derivante dal diffuso rifiuto dell’opinione pubblica verso il vaccino Astra-Zeneca che sta creando intoppi in molti territori. C’è, infine, il piano internazionale, con le problematiche conseguenti ai contratti firmati in sede comunitaria che stanno assicurando un numero nettamente inferiore di vaccini rispetto a quanto pattuito.

Dopo aver cambiato i vertici di molti organismi, Draghi dovrà fare di tutto per arrivare a quelle 500mila vaccinazioni al giorno, probabilmente da metà aprile, perché siano rispettati gli obiettivi per fine estate, o forse addirittura prima. Anche perché, al di fuori dell’Europa, c’è chi sta facendo molto meglio, ad esempio Oltremanica, con casi di coronavirus in caduta libera e poco più di una dozzina di decessi al giorno.

Analogamente la cura del Recovery rappresenta la più importante sfida per il domani. Qui il premier ha scelto personalmente, tra gli uomini più vicini, i ministri competenti.

Ma c’è un altro aspetto, al di là dell’agenda con i punti immantinenti, legato all’esperienza con l’ex studente del “Massimo” al vertice del Consiglio dei ministri: dopo aver marginalizzato gli estremismi presenti in parlamento, facendo capire l’importanza del salvagente comunitario e rendendo sostenibile il debito (anche con il crollo dello spread), potrà l’esperienza Draghi, anche inconsapevolmente, rimotivare un sistema dei partiti uscito con le ossa rotte dalla fase del governo Conte bis?

Draghi, insomma, sta offrendo un importante “assist democratico e liberale” all’Italia dopo tristi stagioni di bassa politica e di sperpero economico. Riusciranno i partiti a farne tesoro?

Indubbiamente con Draghi premier si registra un certo adeguamento alla storia politica dell’economista tanto apprezzato all’estero: il M5S “romanizzato” puntella il suo percorso come consolidata forza di governo, tagliando le radici eversive e anticasta; la Lega scopre l’inedita strada della “europeizzazione” che cancella le battaglie sovraniste e antieuro; il Pd con Letta tenta un rinnovamento che però dovrà fare i conti con le ataviche “animelle divise” nel partito. Ma tutto ciò basterà per un reale rinnovamento del panorama politico?

Salvo questi aggiustamenti di facciata, non sembrano in effetti cambiare i modelli e il modus operandi. Tutti i partiti non riescono, di fatto, a fuoriuscire da quella logica di costante tensione elettorale, caratterizzata per lo più dalla rappresentanza di scontati interessi di parte e dal veto reciproco, che finisce per alimentare polemiche quotidiane.

Rientrate in forze nelle stanze dei bottoni, con un diffuso ma non esclusivo potere gestionale, le nuove componenti della maggioranza mancano di progettazione di lungo corso, di piattaforme di contenuti, di formule innovative. Dal momento che la fase-Draghi è chiaramente a termine, sarebbe il caso di pensare anche a quella successiva, non molto distante. O no?

(Domenico Mamone)

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