Non è possibile a mio avviso affrontare il tema della guerra e del suo possibile superamento senza prendere atto di alcuni elementi di tipo psico-sociale.
Sigmund Freud, neurologo e fondatore della psicanalisi, nel saggio “Al di là del principio di piacere” riprende le figure della mitologia greca e formula una chiave di lettura del conflitto psicologico in termini dualistici introducendo l’idea della coesistenza negli esseri umani di Eros e Thanatos che sarebbero a fondamento delle dinamiche personali e sociali.
Eros costituirebbe un’energia psichica legata alla pulsione sessuale e orientata alla vita, al piacere, alla felicità e alla coesistenza con gli altri, mentre Thanatos sarebbe un istinto che dispone al conflitto, produce violenza, spinge alla distruzione e genera morte.
L’aggressività degli esseri umani secondo Freud, soprattutto quando la società la reprime senza darle una valvola di sfogo generando così il senso di colpa, muoverebbe a comportamenti distruttori sul piano individuale e collettivo.
Molte influenze sociali, ideologiche e storiche possono creare la tendenza a condotte negative per sé e nocive per gli altri le quali, quando dipendono da una nevrosi traumatica, possono trasformarsi in una coazione a ripetere atti violenti e diventare allora addirittura demoniache come è accaduto nella malvagità di tanti dittatori.
Eric From immagina l’origine del conflitto aggressivo tra gli uomini nella difficile ricerca delle modalità per vivere mentre esistono perfino recenti teorie che l’attribuiscono a un gene che spingerebbe all’egoismo e all’asocialità.
Già in epoca preistorica sicuramente esistono conflitti violenti fra individui, ma gli antropologi fanno ancora fatica a localizzare nello spazio e porre nel tempo le prime forme di razzia, forse associabili alla nascita dei clan, come le vere e proprie guerre sicuramente rare nelle comunità di raccoglitori e cacciatori e probabilmente nate con l’economia agricola.
Il conflitto armato nella sua accezione di scontro tra eserciti nasce con la formazione degli Stati, viene denominato “bellum” dai romani e poi wërra, un termine di origine germanica.
L’idea di proprietà individuale o di gruppo dei beni, le difficoltà ambientali, la scarsità di risorse, la compressione territoriale generata dall’aumento della popolazione, il concetto di potere e la volontà di dominio originano in tutte le società antiche competizioni e guerre con l’attribuzione di un enorme status sociale per la figura del guerriero come appare evidente ad esempio nei due poemi omerici.
Non solo nelle società antiche ma anche in epoca medioevale la guerra è fatta di scontri circoscritti territorialmente con eserciti di professionisti appartenenti a re, principi e signori o di mercenari assoldati all’uopo.
Il fenomeno vede in tale contesto una perdita ancora piuttosto limitata di vite umane che non include sempre la popolazione civile.
La guerra all’epoca non solo viene accettata e considerata giusta, ma è perfino benedetta e ritenuta santa o addirittura salvifica da molte religioni come quella islamica e cattolica.
Il sistema di conduzione dei conflitti armati viene profondamente modificato nel corso dei secoli con l’invenzione della polvere da sparo, di nuove armi e di sistemi tattici come gli aerei, i missili e i droni che permettono di passare dallo scontro corpo a corpo sul campo di battaglia alle uccisioni di massa a distanza le quali coinvolgono sempre più le popolazioni civili oltre che i militari.
Con il crollo dell’ancien regime e la nascita della nazione si sviluppano i concetti di libertà e di democrazia politica, ma si arriva pure alla propaganda ideologica nazionalistica e imperialista che finisce per asservire e controllare l’opinione pubblica all’idea che la guerra sia uno strumento accettabile per la soluzione dei conflitti soprattutto quando la politica non vi riesce; la popolazione allora si assuefà all’idea della coscrizione obbligatoria rispetto alla quale anche in Italia non viene consentita neppure l’obiezione di coscienza fino alla legge n.772 del 1972 che afferma tale diritto, ma non ne configura la possibilità reale di esercitarlo su tutto il territorio nazionale.
Si giunge così alla giustificazione di accaparramento di risorse, di conquiste territoriali, di uccisioni, di massacri interetnici, di stermini come la shoah; si cerca di motivare con una strana visione geopolitica l’esistenza delle aree d’influenza e la ridefinizione imperialistica ed egemonica dell’ordine internazionale in funzione degli interessi economici degli Stati più potenti che mistificano le guerre espansive dietro teorie ideologiche di intellettuali o di prelati asserviti alle logiche del potere autocratico o pseudodemocratico.
Dal Novecento le guerre non hanno avuto un’origine solo istintuale, ma sono state pianificate con una spietatezza senza limiti capace di produrre milioni di vittime soprattutto civili e stermini di intere etnie.
Siamo addirittura arrivati a disumanizzare quello che chiamiamo nemico con le bombe di Hiroshima e Nagasaki dopo le quali abbiamo continuato a dotarci di un arsenale atomico semplicemente spaventoso come se nulla fosse accaduto.
In un mondo in cui dovremmo solo lavorare alla costruzione di un internazionalismo fondato sulla libertà, la democrazia, la pace e la giustizia sociale noi continuiamo a disegnare confini e ad osannare le patrie e a militarizzarle.
Don Lorenzo Milani in “L’obbedienza non è più una virtù” scrive al riguardo: “non discuterò qui l’idea di Patria in sé. Non mi piacciono queste divisioni. Se voi però avete diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri allora vi dirò che, nel vostro senso, io non ho Patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall’altro- gli uni sono la mia Patria, gli altri i miei stranieri” e ancora “le armi che voi approvate sono orribili macchine per uccidere, mutilare, distruggere, far orfani e vedove. Le uniche armi che approvo io sono nobili e incruente: lo sciopero e il voto”.
Esiste sicuramente una salvaguardia dei diritti della persona e delle popolazioni che occorre riconoscere, ma essa va definita e costruita con logiche diverse dalla guerra che sono quelle della difesa popolare non violenta i cui principi sarebbe ora che avessero spazio nelle scuole soprattutto nell’insegnamento della storia e dell’educazione civica per chiarire le tante storture metodologiche e le zone grigie che hanno avvolto la ricerca sugli eventi storici.
Mi chiedo spesso al riguardo cosa sappiano i nostri alunni del realismo non violento di autori come Gandhi, don Lorenzo Milani, Paulo Freire, Aldo Capitini, Danilo Dolci, Ernesto Balducci, Mario Lodi, Gianni Rodari o di organizzazioni come Amnesty International, Archivio Disarmo, Lega per il diritto e la liberazione dei popoli, I care o Libera solo per fare alcuni esempi.
Per disegnare allora una convivenza pacifica tra i popoli abbiamo bisogno di un grande lavoro di tipo culturale e politico.
Il primo deve portarci a un’onesta informazione sugli eventi storici cercando di definirne correttamente cause, costi e conseguenze psicologiche, economiche e umane; scopriremmo così che le guerre, alcune delle quali evitabilissime come ad esempio la Prima guerra Mondiale, non sono mai state combattute per gli interessi collettivi ma per quelli del potere economico legato alle lobbies militari.
Sarà necessario anche che i giovani abbiano idee corrette sul tema della violenza di ogni tipo e di quali sistemi porre in essere per eliminarla dalle relazioni umane.
I docenti farebbero bene a rileggere ai giovani l’art. 11 della Costituzione Italiana e discuterlo con loro nei termini usati e nei principi affermati.
Sul piano politico dovremo assolutamente denunciare ogni iniziativa di tipo militarista e rendere indispensabile una revisione in senso democratico, come ho ampiamente delineato in tanti miei scritti, delle attuali organizzazioni sovranazionali perché esse possano sempre più operare per una convivenza non competitiva ma collaborativa tra i popoli nel pieno rispetto dei diritti umani.
So benissimo che siamo davanti a un lavoro immane soprattutto in considerazione dei grandi interessi economici e finanziari che muovono il mercato delle armi, ma ancora una volta è don Milani a dirci che il disinteresse dei popoli nella decisione dei conflitti armati è corresponsabilità con chi li pone in essere e sulle gravi conseguenze che essi determinano.
Papa Bergoglio finalmente è stato chiarissimo nella delegittimazione della guerra affermando nel libro intervista “Politique et societé” del sociologo Dominique Wolton uscito nel 1917 “Ancora oggi dobbiamo pensare con attenzione al concetto di ‘guerra giusta’. Abbiamo imparato in filosofia politica che per difendersi si può fare la guerra e considerarla giusta. Ma si può parlare di ‘guerra giusta’? O di ‘guerra di difesa’? In realtà la sola cosa giusta è la pace”.
Di fronte al buio nella perdita della percezione su ciò che è il bene o il male non possiamo nasconderci in quello che noi cristiani chiamiamo un peccato di omissione cioè il rifugio nell’indifferenza rispetto allo smarrimento etico di una società che non riesce più a essere guardiana della verità e testimone della pace e della giustizia sociale.
Sabato 5 novembre ore 12,00 a Roma con raduno in Piazza della Repubblica ci sarà la manifestazione nazionale indetta da “EUROPE FOR PEACE” e giovedì 10 novembre ad Agnone (IS) alle ore 17,00 si avrà una marcia per la pace organizzata dalla SCUOLA DI FORMAZIONE ALL’IMPEGNO SOCIALE E POLITICO “P. BORSELLINO” E DALLA CARITAS DIOCESANA DI TRIVENTO (CB).
“Chiediamo al Segretario Generale delle Nazioni Unite di convocare urgentemente una Conferenza Internazionale per la pace, per ristabilire il rispetto del diritto internazionale, per garantire la sicurezza reciproca e impegnare tutti gli Stati ad eliminare le armi nucleari, ridurre la spesa militare in favore di investimenti per combattere le povertà ed avere finanziamenti per l’economia disarmata, per la transizione ecologica, per il lavoro dignitoso”.
Questi sono in sintesi gli obiettivi della piattaforma che EUROPE FOR PEACE pone al centro della manifestazione per la quale crescono ogni giorno di più le adesioni.
Spero vivamente che i due eventi possano interessare quanti hanno a cuore che l’umanità avvii il cammino per liberarsi dalla follia della guerra.
Il buon senso e la razionalità delle soluzioni sono ancora una volta nelle parole di papa Francesco: “Tacciano le armi e si cerchino le condizioni per avviare negoziati capaci di condurre a soluzioni non imposte con la forza, ma concordate, giuste e stabili”.
(Umberto Berardo)