L’incognita grillina

Tra i tanti tasselli che compongono l’attuale e originale mosaico politico, quello dei Cinque Stelle è certamente il meno solido e dall’esito più imprevedibile. E, come tale, il segmento che desta le maggiori preoccupazioni nella maggioranza (che poi equivale a quasi tutto il quadro della rappresentanza politica, ad esclusione di Fratelli d’Italia e di Sinistra italiana).

Il braccio di ferro tra Beppe Grillo, bollato dal rivale come fautore di “una svolta autarchica”, e Giuseppe Conte, a sua volta accusato dal comico genovese di non avere “né visione politica, né capacità manageriali, né esperienza di organizzazioni, né capacità di innovazione” (però proprio da lui scelto come premier poche stagioni fa), evidenzia non solo un duello tra due leader comunque capaci di calamitare consensi – secondo tutti gli istituti di ricerca l’avvocato pugliese “muoverebbe” non meno del 10 per cento – ma tutte le contraddizioni che sono maturate in questi mesi all’interno dei Cinque Stelle, lacerandoli nell’identità e nelle preferenze elettorali.

Le due principali fazioni all’interno del movimento sono decisamente antitetiche: da una parte c’è il nucleo originario e tradizionale, quello che avrebbe dovuto aprire il parlamento “come una scatola di tonno” o cavalcare battaglie territoriali come la No-Tav o la No-Tap, ma anche esprimere l’euroscetticismo. Sappiamo che non è andata proprio così: il movimento si è “romanizzato”, quasi “democristianizzato”, e il gruppo dei più “duri e puri” si è assottigliatosi nel tempo, continuando però a mal digerire la svolta conservatrice passata principalmente per l’elezione di Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione europea e per l’appoggio a Mario Draghi a Palazzo Chigi. Due nomi su tutti: Barbara Lezzi e Nicola Morra.

Il rovescio della medaglia grillina è rappresentato dal nuovo fronte moderato, che ha proprio nell’ex premier Conte il principale riferimento. Ne fanno parte tanti ex ministri: Alfonso Bonafede, Vito Crimi, Riccardo Fraccaro, Stefano Patuanelli. Collocato nel centrosinistra, è visto con interesse dal Partito democratico soprattutto per le alleanze elettorali nel territorio.

L’antinomia tra i due schieramenti non è però così netta ed elementare. In un movimento nato principalmente come forza di opposizione a tutto un sistema, raccogliendo consensi in ogni direzione, continuano ad emergere posizioni ideologiche molto differenti tra loro, in particolare sui temi cruciali come l’Europa, l’immigrazione, le alleanze. Il lancinante scontro tra Grillo e Conte, proseguito per diversi giorni e che molti falsi profeti erano certi che si chiudesse con un compromesso, potrebbe accentuare le divisioni e quindi, qualora l’ex premier fondasse un proprio partito, in un’inevitabile scissione di fatto.

Del resto i due protagonisti dello scontro, che ben rappresentano i propri schieramenti, sono distantissimi già come persone. Il moderato Conte lo sa bene e non a caso ha chiesto palesemente al vulcanico fondatore e “garante” di farsi da parte, vedendolo come un imprevedibile ostacolo. Grillo, da parte sua, non vuole rinunciare definitivamente alla “creatura” che ha concorso non poco a strutturare nel tempo, per cui è stato perentorio nei toni e nei contenuti. Com’è del resto suo costume.

Ora, salvo sorprese, logica vorrebbe che Conte cominciasse a lavorare per la propria formazione politica che potrebbe polarizzare ampi consensi al centro, traghettandoli anche dal centrosinistra (il Pd, secondo i sondaggi, sarebbe la formazione più “svuotata” da Conte), ma anche dal centrodestra, in particolare da Forza Italia, oltre che dall’elettorato deluso dei grillini. Il partito dell’ex premier potrebbe partire da un 10 per cento sicuro, ma andare anche molto oltre. A quel punto si tornerebbe ad un bipolarismo: da una parte la destra sovranista di Meloni e Salvini, con un 40 per cento circa di consensi, dall’altra l’alleanza Conte-Letta.

A fronte di tutto questo sconvolgimento provocato proprio da loro, i Cinque Stelle, che vengono già dal lungo contenzioso con l’ amministratore Davide Casaleggio, vedrebbero aggravarsi la propria condizione in termini di diaspora e di crolli elettorali. Forse solo la leadership di Luigi Di Maio potrebbe attenuare i prevedibili danni.

(Domenico Mamone)

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