Con i dati non ancora ufficiali, appaiono subito chiari due esiti salienti della tornata amministrativa nel Lazio e nella Lombardia.
Il primo riguarda l’astensione record: circa sei elettori su dieci non si sono recati alle urne (nel Lazio i votanti sono stati il 37,2%, a Roma il 33,1%; in Lombardia il 41,5%). Dato che ha penalizzato certamente il centrosinistra, ma questa non può essere una mitigazione del disastro per le opposizioni: anzi, proprio tale disaffezione accentua l’assenza di una proposta politica coinvolgente per Pd, M5S, Azione-Italia Viva, ma anche per quella sinistra antagonista che non ha preso nette distanze da Cospito & C. Il risultato è una diffusa arrendevolezza dell’elettore potenzialmente progressista di fronte alla “offerta di mercato”.
Va aggiunto che è stato un voto senza “nomi forti” e ciò può aver contribuito a tralasciare la passeggiata al seggio, nonostante i due giorni a disposizione. Enrico Mentana ha ben sintetizzato: “È stato come un televoto senza Marco Mengoni”.
Il secondo esito conferma l’onda lunga per il centrodestra. Non solo convalida il quasi monopolio nell’amministrazione delle regioni italiane (strappando ora pure il Lazio al centrosinistra, il totale sale a quota 15), ma fidelizza il proprio elettorato, evidentemente soddisfatto anche dei primi cento giorni del governo Meloni. La vittoria è particolarmente estesa e netta, ottenuta addirittura con la maggioranza assoluta sia da Attilio Fontana sia da Francesco Rocca.
Per quanto riguarda i partiti, il centrodestra conferma il risultato di squadra, con l’ottima affermazione di tutte le formazioni: nel Lazio Fratelli d’Italia conquista quasi un elettore su tre e Forza Italia viaggia intorno al 10 per cento, la Lega effettua un’ottima performance sia in Lombardia (dove conferma anche il governatore) sia nel Lazio. Buono anche il contributo di Udc e Noi Moderati.
A sinistra il Pd, il partito più strutturato, limita i danni, ma si aprono scenari di guerra tra le opposizioni, dopo il crollo dei Cinque Stelle e di Azione-Italia Viva, battute di arresto significative per le ambizioni di crescita di Calenda, Renzi e Conte, con le loro Opa sui democratici.
Male anche l’originale esperimento della candidata Letizia Moratti in Lombardia, catapultata dal governo regionale di centrodestra direttamente ad Azione-Italia Viva: un risultato intorno al 10 per cento rappresenta ovviamente una cocente sconfitta.
Sempre per quanto riguarda la Lombardia, gli elettori hanno passato un colpo di spugna anche sulle polemiche legate alla stagione pandemica.
Nel Lazio la debacle del centrosinistra è particolarmente grave: oltre a perdere la Regione con oltre venti punti di distacco, resta anche l’ennesimo errore della scelta di allearsi con Azione-Italia Viva, che ha portato davvero poco. Restano inoltre i cocci della rottura, ufficialmente sul tema dell’inceneritore, con i Cinque Stelle, che erano entrati in giunta con Zingaretti. Male anche la scelta del candidato, l’ex assessore alla sanità D’Amato: evidentemente gli elettori non hanno condiviso la sua immagine, promossa dal centrosinistra, di “ottimo organizzatore della campagna vaccinale”, facendo i conti quotidianamente con una sanità pubblica ben diversa, da Paese del terzo mondo.
Nonostante l’astensionismo, hanno votato le due regioni più popolose – quasi il 25 per cento della popolazione italiana – e che contribuiscono al Pil in modo rilevante. Insomma, una prova particolarmente importante.
Il centrodestra supera agevolmente il primo test dopo il voto nazionale del 25 settembre scorso. Un premio anche per il governo. Il prossimo appuntamento, nonostante il numero esiguo degli elettori, il rinnovo dei vertici in Friuli-Venezia Giulia e Molise, dove si prevede l’ennesimo trionfo del centrodestra con la conferma della maggioranza che governa le due piccole regioni. Poi un test ben più importante, quello delle elezioni europee.
(Domenico Mamone)