Luigi Lonardo, tra Mantova e il Molise

Luigi Lonardo, intellettuale mantovano – speculando e girando mezzo mondo – ha proliferato conoscenze, competenze. Ha ideato analisi metodologiche fra le più avanzate. Ha valutato, interrogato, ha spulciato libri e archivi diventando lo storico moderno, che teorizza e pratica quell’arte capace di estrarre date e dati fantastici e concreti, per poter narrare, con lo stile e la lucidità della parola e della scrittura, curiosità, trame e avvenimenti umani ed artistici di un tempo lontano.

Mantova

E’ autore tra l’altro di “Duecento grammi di pane al giorno”, di “Mantova 1943, una stagione di guerra”, di “Dedalo e il labirinto”. Articolista, filtra gli eventi, scrive analisi seducenti e potenti per riprodurre intatto il codice della sua memoria, in una minuziosa pratica archeologica in cui la passione travalica perfino la sua dottrina.

Dalla città di Publio Virgilio Marone, è disceso ultimamente, per un po’, a Marzano Appio, 2500 abitanti, comune del casertano e luogo d’origine del padre Emanuele. Lì è con la madre Bruna De Biasi, lombarda,  docente nel passato a Guglionesi; poetessa, appassionata per la letteratura in vernacolo e in lingua, autrice di “Parole incantate” e vincitrice assoluta della “Rosa d’oro”, al Concorso nazionale per la più bella lettera d’amore, indetta a Mantova.

Luigi Lonardo è nel nostro meridione a rintracciare vicende storiche, a percepire felicità scaturite dagli incredibili legami di epoca medioevale e rinascimentale; a scovare storie fra nobili famiglie di Mantova e quelle del Sud. Luigi è qui a bearsi della presenza dei Gonzaga, signori di Mantova – qui – in un territorio compreso tra l’alto casertano, Molise e basso Lazio. E, proprio a Marzano Appio identifica un Castello che è stato della famiglia Del Balzo, a cui appartenne in tempi precedenti Antonia Del Balzo, figlia del Duca di Venosa e cognata di Federico d’Aragona che, nel 1479, sposò a Mantova Gianfranco Gonzaga, secondogenito del marchese Ludovico II.

Cosicché nel piccolo comune casertano, seppur in tempo di Covid 19 ed in un’epoca svagata e indifferente – proprio lì – nasce un gruppo di studiosi fortemente sostenuto dal Sindaco Antonio Conca. Una bella squadra concitata a scandagliare vicende e incanti di italica gente e a conquistare già la soddisfazione per un itinerario di ritorno storico che sorprende e avvince. Intanto si è capito il rapporto tra i Gonzaga e la famiglia Pandone, signori di Venafro e la presenza presso quella famiglia nel 1514 di Isabella d’Este, moglie di Francesco Gonzaga il quale, diretto a Napoli da Ferdinando II d’Aragona, fa tappa a Marzano. E, il 6 aprile 1496, scrive da Teano una letterina alla moglie Isabella confidandole che la terra di Marzano è “fortissima de situ et de muro”.  Sulle tracce dei Gonzaga ha avuto luogo a Venafro, dentro la fortezza del Castel Pandone, un Meeting ravvivato dalla erudizione di Luigi Lonardo, dal Sindaco di Marzano Conca, da Lello Golluccio della Soprintendenza alle Antichità del Molise, Gianluca Bottarelli, illustre storico dell’arte e assessore alla cultura di Canneto sull’Oglio, e dal brioso raffinato Franco Valente, l’uomo del gran sapere e di spiccata eccitazione per ogni cosa bella, per cui può rendersi fiero di un così appropriato cognome. Alla Corte dei Pandone quel giorno ero anch’io sotto “il Caval Lionardo de la voce favorito”, il mezzosangue dal pelo nero ritratto a grandezza naturale nel 1524 straordinariamente simile all’equivalente affresco visibile in Palazzo Te di Mantova.

“Oltre al Castello Pandone di Venafro – dichiara Franco Valente – c’è anche quello di Gambatesa che appartenne a metà del ‘500 a Vincenzo di Capua la cui moglie era germana ad Isabella di Capua, sposata con Ferrante Gonzaga. Per questi numerosi intrecci i Gonzaga divennero feudatari di mezzo Molise”. E l’ “Istituto dei Castelli” intende perciò promuovere un gemellaggio con Mantova, considerando soprattutto la sconcertante similarità artistica dei Cavalli del Pandone con quelli di Palazzo Te.

Sulla “Gazzetta di Mantova” in edizione nazionale, questo racconto è già stato reso, con altro metodo, da Gilberto Scuderi, il giornalista che sa scrivere e che sa affascinare col respiro virgiliano.                                                                                                                                                          Vincenzo di Sabato

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