Nel pomeriggio del 15 novembre 1978, il sole è abbagliante. E’ a livello orizzontale sulla provinciale Castellino-Campobasso. Giuseppe Càccamo ne è accecato e si schianta dritto contro un camioncino. Muore sul colpo. Era un siciliano a Brescia, giovane commercialista. Sua moglie Sonia di Aversa – lassù, insieme a lui – è ferrista all’Ospedale Civile. Da qualche settimana lei va respirando i giorni di lacrime della sorella Olga, vice-preside e “forestiera” a Palata, divenuta vedova con due bimbi. Umberto – il marito – mesi prima, era stato divorato a 46 anni da un tumore maligno al cervello. Giuseppe e Sonia s’immergono dentro queste ferite d’anima. Non credono all’ipocrisia del cuore lontano, ma all’emergenza della dottrina pura, e impugnano il potere concreto della tenerezza. Devono “soccorrere orfani e vedova”. E, per tenersi essenzialmente vicini, fantasticano un cambio di residenza nel Molise.
Per caso, giorni prima, vengo a conoscenza da Marcello Palmieri – Vice Prefetto Vicario nel 1978 – di una carenza allarmante di segretari comunali sul nostro territorio e del reclutamento d’un certo numero di interinati. Si agitano inoltre, in quello stesso periodo, patteggiamenti e baratti in vista di una innovativa, imminente e confusa “riforma sanitaria”. Il Vice Prefetto ipotizza addirittura l’indispensabilità di ingaggi, al “Cardarelli”, di professionisti agli strumenti chirurgici.
A quel punto mi affanno, manovro. Mi infilo dentro il groviglio con un respiro di libertà. Le istanze di Giuseppe e di Sonia – avvalorate da un curriculum d’eccellenze – sono accolte!
Giuseppe è nominato segretario comunale a Castellino del Biferno; ne assumerà l’incarico il 15 di ottobre. Sonia, ventottenne, dovrà invece attendere il 1° gennaio 1979 per porgere ferri e fili di sutura all’Ospedale di Campobasso. Ma Giuseppe muore, dunque, ad un mese esatto dalla sua assunzione; spira a 32 anni sull’asfalto, il 15 novembre 1978, lasciando anche il figlioletto, Sergio, di 3 anni. Intorno alle 19, mi dicono che Giuseppe è già all’obitorio, nel Cimitero di Campobasso. Accorro impazzito; trascino con me don Elio, parroco di Palata, Nicolino Bracone e mio figlio Italo allora quindicenne. Momento scioccante, angosciante al nostro arrivo: la salma è composta nella bara; porta i segni straziati della tragedia. C’è silenzio. Al capezzale “stabat” un signore sconosciuto che prega poi assieme a noi, mentre don Elio asperge e consola.
C’è fruscìo lì dentro di mutismo, più eloquente di sterili apologìe. E noi, di tanto in tanto, chiniamo sguardi spezzati sul feretro, fra dialoghi d’occhiate di grande intensità. Ma d’improvviso farnetico, sono avvolto e travolto da incubi; assalito da una crisi di colpa; sprofondato in un abisso di panico. E grido singhiozzando il mio supplizio aspro e severo: <ho ucciso io Giuseppe! Ah… se mi fossi contenuto, appartato dentro “i fatti” miei, Giuseppe sarebbe vivo! E, a quest’ora, egli avrebbe goduto ancora la festa in famiglia a Brescia>.
Quel distinto sconosciuto ora si accosta a me, con mitezza, mi stringe forte la mano e bisbiglia: <Sono Mario De Lisio, impiegato al Comune di Castellino. Non so chi tu sia, ma fermati, calmati!>. Tace per un istante, e riprende. <Ogni evento è nelle mani e nei misteri di Dio. Lui ha i suoi disegni e conosce i nostri “perché”. Non tu, neppure io; soltanto Lui guida il destino di tutti, fra oscurità e squarci di luce. E le sofferenze atroci le manda a chi ama di più; soltanto perché considera in loro la capacità di affrontare l’impossibile. Del resto si sa che, dopo ogni pioggia di lacrime, torna il sole sfavillante>. E mi sillaba, pacato, un suo aforisma in dialetto: <L’onda del Biferno non riesce ad acciuffare il fiore che galleggia. Quando è certo di raggiungerlo, il fiore s’allontana>. E sussegue: <Ho trascorso assieme a Giuseppe Càccamo trenta giorni belli, come i sorridenti giorni di Papa Luciani volato al cielo una cinquantina di giorni fa. I trenta giorni di Giuseppe volteggeranno attorno a me, ma per sempre, ad illuminarmi di divino>.
Ecco Mario in tutta la sua grandezza, già nel nostro primo incontro, avvenuto dentro l’obitorio. Eravamo accanto a Giuseppe. E Mario è inchiodato, lì, a domarmi e a donarmi un mosaico di pace; spazi di spirito: i primi granuli della sua umanità e della sua tonificante sapienza. Ed è stato lui, solo lui Mario De Lisio, lo sconosciuto di quella notte, a liberarmi dalla disperazione e ad iniettarmi la sua prima dose di vaccino esistenziale, limpido e balsamico.
*** 15 dicembre, i giorni declinano per brevità, il clima a Campobasso è frizzante. Nella Parrocchia di San Giovanni Battista, adiacente al Cimitero, è attesa alle 16 la Messa per il trigesimo di Giuseppe. “Ed è già sera”. Mario De Lisio giunge pacato, portando con sé don Giovanni Petrucci, parroco di Castellino, per la concelebrazione. E, con sé, porta anche ”Fontemerate”, raccolta di Canti Popolari. Bel libro ideato e scritto da lui, nell’agosto proprio di quel 1978, in collaborazione col M° Guido Messore. “Fontemerate” è pure la prima canzone impaginata nella silloge, i cui versi, che “recordene u tiempe ‘e na’ vote”, sono scritti da Mario De Lisio. Adesso incomincio a fraternizzarlo e, man mano, a conoscerlo nella sua profondità e versatilità poliedrica; e a riscontrare in lui “l’indaffarato” in una selva di interessi. Egli è infatti lo storico; è il musicista, lo scalpellino, organista, presepista, dialettologo. E’ il poeta di una inarrestabile ascesa d’anima. Scova i valori della vita e li modula con quella “pietas” profonda che scaturisce da un animo e da un cuore estroso e innocente. Egli è il Cantastorie del “Castrum Eudolini”, di Castellino, del suo paese arroccato sul costone di arenaria a sovrastare la Valle del Biferno. Ne è preso da un amore impetuoso. E nascono, perciò, “Gli Eudolini”, il gruppo folkorico che danzando, cantando, e inscenando spettacoli di vita locale, scorribanda sotto centinaia di campanili italiani. Valorizza e diffonde l’originalità, l’unicità e la forte e potente attrattiva “du Pizzichentò”, la costruzione itinerante d’una piramide umana in tre piani che, a Castellino, sfila il 12 giugno, rallegrata da cori e suoni d’organetti.
E’ l’architetto d’una linea di congiunzione culturale fra sodalizi e personaggi molisani, ridisegnando ovunque, il codice della memoria con minuziosa decorazione di vocaboli. E si sfuria. Aderisce ad un infinito numero di Concorsi di poesia, e vince! Nel 1991 è il primo classificato al Premio Nazionale di Poesia in Vernacolo a Locri. Collabora ininterrottamente con “Voci Dialettali”, rivista quadrimestrale èdita in Via Merulana a Roma.
Mio compagno di viaggio lungo i trent’anni di vita del Centro Studi di Guardialfiera; dinamico in ogni cerimonia, equipaggiato di fisarmonica e di un’ ampia e solenne dotazione di versi. Talvolta monologa col suo dire aureo o con una parlata fatta anche di accenni, allusioni, ammiccamenti. E’ il super star nei “Viaggi sentimentali” e nelle “Giornate Mondiali della Poesia”. Alla 25^ Edizione, il 2 ottobre 2013, per il ventennale della morte di Emilio Spensieri, Mario erompe con una trovata ad effetto: <evocherò il cantore delle genti molisane, cantandogli “Ddo stà”, la romanza del suo cuore turbato>. Di nuovo qui, tre anni fa, ad estasiare docenti e studenti dei Licei Classici di Termoli e Larino, presentando e commentando “Le Massime, i Proverbi e le Mille Sentenze Morali” di don Alfonso Fratangelo – Arciprete e letterato a Castellino – ideati in rima baciata ed in sequela progressiva sillabica: dal trisillabo all’endecasillabo, astutamente “congegnata così – spiegava l’autore nel 1910 – “per contentare l’orecchio e il genio”.
Sto ora riordinando e godendo l’ultima miscellanea di suoi Acrostici e Acronimi, ottenuti ai primi di settembre. Splendidi, formulati con grazia e leggerezza. Mario De Lisio il 20 ottobre, raggiunge la contemplazione di Dio in cui ha creduto, con la dignità della vita e col suo martirio redentivo. Lo abbiamo ricordato quattro giorni dopo, domenica 24, a poeti, cultori ed ai Sindaci aderenti al Parco Letterario Jovine, radunati nell’Aula Consiliare a Guglionesi. L’abbiamo commemorato con un trillo di malinconia e di serenità: con un sonetto! Un giro di 14 versi, esplosi dal cuore erudito e profondamente cristiano di Fernando Anzovino. Poi filtrati in Sala dalla passione più appassionata degli studiosi presenti.Lo sfizio che ora mi manca di più, è di non poter prendere in mano il cellulare e formare il numerino di Mario, assente da 30 giorni. Era fra le conversazioni più assidue. Un modo di affrontare con lui i casi del Molise, del mondo, della nostra vita quotidiana. E mi manca il non sentire neppure la sua voce lucida e dolente, ascoltata nel suo penultimo giorno di vita.
Vincenzo di Sabato
P.S. Mario De Lisio, tramite Sabrina Ferrante, collaborò a Forche Caudine