Festa dell’albero, tavola rotonda a Guardialfiera (Cb)



“Montagamo, splendido sull’alto bacino del Biferno, è dovunque noto per l’Abbazia di Santa Maria in Faifoli, uno delle dodici chiese notevoli nel Ducato di Benevento. E’ il monastero benedettino nel quale pronunciò i voti evangelici perpetui, fra Pietro Angelerio, il futuro Pontefice Celestino V, molisano. Ma la fama di Montagano tuttora è viva anche per un amore possente nei riguardi dell’albero, esercitato da don Beniamino Petrone, parroco di grande solidità e serenità, il quale – fin dagli inizi del secolo scorso – volle sprigionarlo, in modo pittoresco, attraverso il ministero della Confessione. Una volta, infatti, ottenuta dai penitenti la riprovazione del peccato commesso, egli imponeva loro per l’espiazione, non tanto la recita d’una giaculatoria, ma l’obbligo di porre a dimora un albero, o più alberi, secondo la gravità, il ripetersi e la natura dei peccati. Andavano a riconciliarsi da lui ladruncoli e briganti, adolescenti inquieti e volponi recidivi. Ma si narra pure di “lucciole” vaganti e cadenti. E solitamente queste, nel gesto espiatorio della “piantagione”, venivano sorvegliate a distanza da pettegole comari che nel pianoro, ad un chilometro dal paese, controllavano man mano la crescita del bosco e di quella incantevole pineta, ideale oggi ad allestirci succulenti scampagnate”. 

Rocco Cirino, responsabile di “Ambiente e Territorio, così, saporosamente, apre l’improvvisata “Tavola Rotonda” sulla eterna Festa dell’Albero del 21 novembre. Non proprio rotondo, in verità, il tavolo a Guardialfiera, quello immenso e “rettangolare” del Centro Studi “N. Perrazzelli”, attorno al quale si dispongono addetti ai lavori, agronomi, ecologisti, studiosi e ostinati contadini, adoratori dell’Albero! 
C’è il dott. Antonio De Marinis, per molti anni soprintendente alla Tenuta Presidenziale della Repubblica a “San Rossano” di Pisa. Erano i tempi di Leone, Pertini, Cossiga, Scalfaro. Amava curare e ammirare l’albero dalla chioma puntata verso il cielo ad assorbire anidride venefica dall’ambiente e restituire ossigeno all’uomo, attraverso la fotosintesi dell’armonia. Confessa di amare l’ingegneria della natura: ama l’albero, colonna dell’universo, il solo capace di contrastare l’irrefrenabile dissesto idrogeologico nella sua Civitacampomarano, da secoli spossata da frane. E ama l’albero, altresì, come fonte di benessere ed opportunità di lavoro. 
C’è Michele Tanno, Presidente dell’Arca Sannita, agronomo, autore di monografie tecniche e scientifiche sul mondo rurale e ambientale. Ed egli oggi è qui, a vivere la nostalgia dei nostri ortolani, spodestati dei suoli ridenti di ortivi e di <pomi d’oro> “n’i cèrdénere” (cioè nei “giardini”), per dar posto al Lago, turisticamente ed economicamente, dopo 60 anni, ancora improduttivo. E Michele propone, perciò, a Guardialfiera e lo propone al Molise, un suo progetto. Creare <il Giardino dei frutti dimenticati>. Un “Parco” (magari proprio nel demanio attorno al Lago) che incoraggi il recupero, la conservazione e la valorizzazione di antiche specie da frutto: le pesche, per esempio, quelle epocali succulenti e profumate di Guardialfiera, il sorbo, le prugne meschine, il cotogno, le “visciole” parenti poveri delle ciliegie, le nespole, l’albicocca, la pera volpina, la mela zitella, la varietà di susine, le mille diversità del fico, il pergolato, cioé i filari grandi, alti dell’uva. Valutato, insomma, l’impoverimento delle risorse naturali, viventi e vegetali, <Il Giardino dei frutti dimenticati>, “rischierebbe” di trasformarsi davvero in attività didattica e di laboratorio a cielo aperto per scolaresche, per portatori di handicap, per gruppi amatoriali. Potrà costituire un modello di sviluppo ecocompatibile di produzioni dell’intero territorio molisano da lanciare e diffondere in nicchie di coltivazioni locali o in àmbiti sempre più estesi, rispondenti alla natura dei terreni, del clima e alle esigenze di mercato. E, benché, sempre più minacciati dai criminali del fuoco, raccomanda il dottor Tanno: piantare. Ripiantare sempre alberi. E alberi da frutta, che sappiano di bella stagione.
C’è anche Maurizio Varriano, de “i borghi d’eccellenza” a rammentarci con i poeti italiani e con Orazio, il lirico latino, la formula per la posa a dimora dell’Albero della poesia. E’ stata pronunciata a Guardialfiera il 2 ottobre 2016, alla stipula del ” patto di fratellanza ” tra i popoli. Avvicendandosi la vanga, le varie personalità, man mano così declamano: “Pendon qua e là dalla corona i nidietti della primavera”. E poi, ad ogni vangata: “L’albero è sintesi armoniosa del creato”. “Sorride l’albero. E’ amico. Parla e ascolta”. “L’albero, custodisce non tradisce. E’ un’architettura vivente”. “L’albero è poesia, è bellezza. Nel sottosuolo le sue radici s’intrecciano, si scambiano confidenze che nessuno sente, perché l’albero è discreto e sa mantenere i segreti!”. E, anche dal fondo dell’Aula, si alza una riflessione sul sorprendente sistema terapico, economico, psicologico dell’albero. “Dicono che dall’albero non nascono soldi. Costoro, probabilmente, non hanno ben guardato tra le foglie. I soldi non solo crescono e si colgono dagli alberi, ma arricchiscono i luoghi dove crescono. Perfino dentro le città. Sono le metropoli alberate a risparmiare per l’azione del polmone verde presente nel luogo. L’albero abbatte le spese sull’energia; annienta i valori immobiliari, raffredda il clima, diminuisce l’ansia, la depressione; abbassa il tasso di mortalità, aiuta a trasmettere l’amore! 
L’albero – chiarisce un’altra voce dalla Sala – assorbe 5.000 litri d’acqua all’anno; contribuisce a tenere asciutto il sottosuolo che potrebbe impregnarsi irrimediabilmente d’acqua piovana. Abbassa con la propria ombra la canicola estiva da 2 a 8 gradi, riduce dal 20 al 30% il costo dell’aria condizionata”. “Ed è così che oggi – ebbe a scrivere Ermanno Olmi – è proprio così che ci è parso di salire stasera su un ramo di quercia più alto, per parlare anche di noi stessi”.
(Vincenzo Di Sabato)

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