Molise, nostalgia del bosco



Pasqua bagnata, settimana in albis gelata. Folate di vento lunedì. E mercoledì è un turbinare di fiocchi anche a Campobasso. Giovedì Morrone è sotto zero; ghiaccio in alto Molise; un manto di neve “natalizio” si poggia quaggiù fino a Casacalenda. Soltanto Termoli, per prodigiosa tregua, il martedì è riuscito a percepire l’ebbrezza della epocale scampagnata al Santuario della Vittoria. Ma la bora riprende minacciosa ad ululare dappertutto.
Dietro i colli qui s’addensano nuvole nere inseguite da altre più grosse, livide, gonfie. Il lago in un attimo si fa cupo. Pochi secondi, ed il silenzio è rotto dallo schiocco sinistro d’un tuono che, con il lampo, crepa l’orizzonte lontano. Gocce grosse mercoledì a Guardialfiera picchiano come danza sui teloni dei “mercanti in fiera”. E, rabbiosa, la grandine martella campagne e casolari a Palata, Guglionesi, a Montecilfone. E quando i boati s’allontanano, riaffiora il cielo limpido; si riaffaccia per un istante il sole chiaro, come risorto! Presto l’aria si rifà inquieta, cambia prospettiva. Si formano in alto strane figure, indefinite. Non c’è speranza per salire, nella settimana di Pasqua come una volta, in cima al bosco. Disagevole è anche rasentare il ruscello – fragoroso d’acqua d’inverno e trasparente a primavera – che scivola tra la montagna ed il paese.
In mezzo a questo panorama, meraviglioso è almeno ripassare a memoria e risognare l’erta salita che ci portava al bosco San Nazzario e arrancare la strada che si faceva serrata e stretta fino a giungere sul pianoro. Eccoci nel regno dell’ombra sotto aceri e cerri, così vicini fra loro da oscurare il cielo. Delizioso era tacere e ascoltare la voce degli alberi. “Inebriarsi di sentieri che, moltiplicandosi in direzioni divergenti, era come scoprire un miracolo di colori e di profumi sui prati. Assaporare quell’ombra – vagheggia così Marina Corradi – traversata da sprazzi di luce che stillavano fra i quercioli, era per me un sortilegio. Nei raggi vedevo il pulviscolo filtrare dolcemente, come sostanza solitamente invisibile, ma che solo lì se ne rilevava la trasparenza. Sicché il confine tra realtà e immaginazione risultava così sottile che niente in fondo, nel fondo del bosco, mi sarebbe apparso impossibile”.
Davvero meraviglioso è, dunque, rituffarci a quelle settimane in albis, quando riuscivamo a godere del godimento dei più piccoli di noi Quand’eravamo felici solo della vita sobria ed essenziale di allora, quando erano lieti i bimbi di trangugiare sulla spianata del bosco i fiadoni e le pigne ricamate di naspo bianco e di confettini colorati, minuti capolavori delle mamme nostre. E quanti castelli d’animo, quanti universi scavati, poi, nel cumulo del lungo vivere. Quante avventure, quante architetture della ragione e del cuore realizzate o avversate, in corso d’opera, da altre costruzioni – ahimè – precarie, insidiose, fragili come il vetro. E oggi, nonostante ancora una primaverile aria d’autunno, noto quaggiù un trionfo di fiori gialli: florescenze e bellezze di rape selvatiche. Molte, già aperte alla vita ed altre che continueranno ad ornare i dirupi dei fossi. “Belli – mi poetava nel 2002 Nicola Perrazzelli, passeggiando con me sugli orli della provinciale – belli. Io adoro il giallo, perché il giallo è l’unico colore che non ingiallisce.

(Vincenzo Di Sabato)

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