Le ferite che la metro C lascia a San Giovanni



Non saranno certo i gadget distribuiti in occasione dell’apertura straordinaria della stazione di San Giovanni per poche ore, per permettere ai cittadini di ammirare i reperti romani emersi nello scavo, a cancellare l’orrore che resta in superficie dopo dieci anni di disagi per gli abitanti della zona. E soprattutto per i tanti negozi che hanno dovuto abbassare definitivamente la saracinesca.
Si dirà: per il bene comune qualcuno dovrà rinunciare ai propri privilegi. Ma va stretta proprio questa definizione di “bene comune” per un’opera costata un mucchio di soldi – tutti pubblici – e che si sarebbe potuto evitare di farla grazie a serie e meno onerose alternative (tipo la riqualificazione del tram Termini-Giardinetti, che tocca più o meno gli stessi quartieri).
Il problema vero è che la metro C, ribadiamo, visto quant’è costata, avrebbe potuto rappresentare un’occasione per riqualificare i tanti quartieri toccati dai lunghissimi e impattanti cantieri. Invece, in superficie, restano tante ferite nel “disarredo” urbanistico.
Mentre la fermata di San Giovanni ad ottobre diventerà operativa, con sei anni di ritardo, in superficie regna la bruttezza. Quanti alberi sacrificati, ad esempio (a cominciare da quelli storici di via Sannio), quanto cemento, quanti orribili sfiatatoi che diventeranno sicuramente ricettacolo di avvinazzati con tutto il loro carico di lattine, bottiglie e bottiglioni da lasciare all’aria aperta.
In compenso, niente verde (quattro emaciati alberelli di arance, chissà che fine faranno), niente pista ciclabile, niante pedonalizzazione, niente giardino. Niente di niente. Solo tanta bruttura in un quartiere dalle splendide case di inizio Novecento. La “modernità” delle grandi opere lascia queste tracce.
La linea C della metropolitana della Capitale, è bene ricordarlo in un Paese dalla memoria corta, è stata progettata negli anni Novanta, ai tempi del sindaco Carraro e sarebbe dovuta essere inaugurata per il Giubileo del 2000, collegando le basiliche di San Giovanni e di San Pietro, in un bagno tutto religioso. Sfumato il sogno ecclesiale, i lavori hanno preso il via nel 2007 e dopo dieci anni di tribolazioni soprattutto per gli abitanti delle zone interessate dai cantieri, con funeste ripercussioni sul commercio, sulla sicurezza, sull’arredamento urbano (quanti alberi sacrificati, appunto!) e sulla qualità della vita, ecco l’orrore rimpallato dall’attuale amministrazione verso quella precedente.
La linea C avrebbe dovuto attraversare l’intera città dalla popolosa periferia est, tra Casilina e Prenestina, estendendosi oltre il Grande Raccordo Anulare, fino all’area nord-ovest, quartiere Prati e oltre, passando per il centro storico e quindi collegandosi alle altre due linee.
I numeri sono inconfutabili: originariamente era prevista una lunghezza di oltre 25 chilometri con 30 stazioni. Ad oggi le stazioni sono 21, cioè nove in meno del previsto. I chilometri 18, sette in meno. Con tutta la parte nord-ovest di Roma, ma probabilmente anche il centro, che ne resterà fuori.
Per far partire le prima tratta di 15 stazioni sono stati necessari ben sette anni di lavori, un altro anno per sei stazioni (da Mirti a Lodi). Per la sola stazione di San Giovanni sono occorsi, appunto, dieci anni, con sei anni di ritardo rispetto alle previsioni. Impietosi i paragoni con altre metropolitane europee.
Per la vox populi i ritardi sono dovuti al fatto che a Roma, ogni volta che si scava, dal sottosuolo fuoriescono le testimonianze del glorioso passato. E si blocca tutto. In realtà l’enorme peso della burocrazia, le immancabili diatribe tra le parti (nel caso della metro C con rimodulazione del contratto), le 45 varianti, ma anche esposti e istruttorie su procedure non proprio ortodosse determinano tempi “all’italiana”. Così, ad esempio, per aggiungere al percorso altre due stazioni su cui si lavora da tempo, “Amba Aradam-Ipponio” (a ridosso del Celio) e “Colosseo”, s’è fissata la data ufficiale del 2023. Ma è tutto ancora imprevedibile, anche sul fronte dei finanziamenti per il completamento dell’opera. Perché di soldi finora ne sono stati spesi tantissimi.
Non è ancora chiaro il costo finale di questa infrastruttura incompiuta per le tasche degli italiani: sul sito di Roma Metropolitane si parla di tre miliardi e 739 milioni di euro (previsti), in attesa quindi dei rendiconti definitivi. Tutti soldi pubblici: 70 per cento da parte dello Stato, il resto dagli enti locali.
Per chi volesse approfondire questi aspetti, c’è un bel libro di 144 pagine scritto dal giornalista napoletano Enrico Nocera. S’intitola “Metro C: Roma, capitale degli sprechi”, un’inchiesta edita da Round Robin che racconta nel dettaglio la storia del più grande cantiere d’Italia, dei costi lievitati dagli iniziali due miliardi e 600 milioni circa agli oltre tre miliardi e 700 milioni, appunto. Ma anche dell’intreccio tra politica e imprenditoria.
Finché a gestire tutto questo saranno i “soliti noti”, non c’è niente di buono da aspettarsi. Papa Sisto V può anche rigirarsi nella tomba: ce ne fosse un altro come lui…

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