Roma, l’atroce serata per Marina Rei al Vittoriano



ROMA – L’eterno fascino del cuore storico di Roma. Per giunta sotto le stelle. Un concerto gratuito con il jazz che fa tanto radicalchic. Il venerdì sera di fine estate che invita ad uscire. Però, per companatico, il solito spaccato sociologico – e scusate l’allitterazione – della pessima organizzazione “all’italiana”.

Il carnet di venerdì 2 settembre dice Marina Rei. Quella di “Primavera”, per capirci, canzone rilanciata anche da una nota pubblicità. La terrazza del Vittoriano come location un po’ veteroveltroniana. Ma dall’approdo difficile.
L’impatto è infatti traumatico: circa 200 metri di coda per entrare. Prevedibile, vista l’assenza di un biglietto d’ingresso. Però gli organizzatori assicurano: entrata garantita fino ad un certo punto della fila. Alle prime trecento persone, occhio e croce. E mettono una sorta di parapedonale biancorosso mobile, con catenella in plastica, per dividere “elegantemente” (ma giocoforza) il pubblico: per voi degli avamposti non c’è problema, chi sta dietro prometta di accendere un cero all’Ara Coeli e preghi. Ci sono alcuni volontari, tra il pubblico, che spostano quella sorta di passaggio a livello via via che il fiume umano avanza. Si mormora che siano stati incaricati nientemeno dalla direttrice in persona, una bella mora con accento lombardo. Come dirle di no? L’ineclissabile arte di arrangiarsi. Qualche straniero ride. Chi sta in piedi da un’ora, meno.
La fila, tra l’altro, non è transennata. E c’è chi si imbuca. Tanti. I più per una strana “legge delle ciliegie”: noi stiamo già in fila e i miei amici, pur giungendo dopo, come fanno a non stare insieme a noi? Una sorta di golfino virtuale che occupa un metro quadrato di strada. Poi c’è l’immancabile schiera di chi ignora puntualmente il serpentone e accede direttamente nel portone d’ingresso: giornalisti? Amici degli amici? Parenti di Marina Rei?
Il caldo rende la gente impaziente. Ci sono due curve da fare, ma non si arriva mai. Si discute di quell’atroce vignetta che i francesi hanno pubblicato sui terremotati del Centro Italia. Che schifo.
Ma all’amarezza non c’è mai fine. La sorpresa per il “gregge pazientemente ordinato” arriva dopo un’ora e mezza di fila: chi sta dentro sta dentro e chi sta fora sta fora. Portone chiuso, sono inutili i calci e i pugni su quella storica barriera di legno. Qualcuno, ironicamente e bisognoso di qualche lezione di storia, osserva che tanto resisterà, è roba del Ventennio.
Ore ventuno e trenta, il concerto può cominciare. Almeno così s’immagina da fuori. Chi era sicuro d’entrare ha avuto una promessa da marinaio. Ma davvero quella che s’è preoccupata dell’organizzazione della fila era la direttrice in persona del Vittoriano, l’architetta alla guida da gennaio di uno dei più noti monumenti nazionali proveniente dalla Soprintendenza di via Calini? Un paio di hostess in grado di spiegare da subito la situazione, no?

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