Buona serata a tutti voi e benvenuti a questo evento culturale al quale spero di poter dare un modesto ed umile contributo per la promozione del lavoro di Angelo al quale mi legano percorsi allo stesso tempo comuni o paralleli soprattutto sul piano culturale, sociale e politico.
Non è mia intenzione ovviamente dare chiavi di lettura esclusiva del volume di cui ci occuperemo; tenterò unicamente di promuovere un confronto allargato attraverso la mia semplice e personalissima analisi dello stesso, sperando che essa possa in qualche modo avere una sua utilità.
I passaggi di questa recensione saranno fondamentalmente tre: la figura dell’autore, le tematiche del romanzo e le tecniche narrative utilizzate.
I miei primi incontri con Angelo di Toro ci sono stati negli anni settanta in occasione di appuntamenti culturali e politici nei quali, per così dire, ci confrontavamo a distanza, non essendo ancora amici, sui temi dei diversi aspetti della vita in regione e più in generale nel nostro Paese.
Suo fratello Antonio, che ci ha lasciato prematuramente e di cui conservo sempre un ricordo eccezionale sul piano affettivo e culturale, è stata la persona che ha portato me ed Angelo a frequentarci all’interno di un gruppo molto composito permettendoci di diventare amici e di lavorare insieme a tante iniziative, pur provenendo da percorsi formativi diversi, articolati, ma forti, consolidati ed orientati nella stessa direzione.
In lui ho sempre apprezzato il grande interesse e la dedizione per il bene comune che ancora oggi continuano ad essere i tratti fondamentali e direi esclusivi della sua personalità.
L’accanito impegno per l’affermazione dei principi di libertà, di eguaglianza e di giustizia sociale a lui, lo sapete tutti, deriva dalla profonda ricerca culturale e dalla formazione marxista molto autonoma ed articolata che entrambe lo hanno sempre portato a difendere i diritti fondamentali delle persone, soprattutto quando queste sono costituite da esseri umani esclusi dai processi di integrazione ed emancipazione nella società come dalla partecipazione democratica alle decisioni della collettività.
Non ho bisogno di sottolineare il grande contributo che Angelo di Toro è stato capace di dare alla formazione di tanti giovani delle scuole secondarie di Campobasso, perché ancora oggi, dopo anni dal suo pensionamento, leggo sui social la stima grande e persistente per lui da parte dei suoi alunni.
Conoscendolo bene, so che le metodologie pedagogiche cui si è ispirato e le tecniche didattiche scelte hanno sempre privilegiato teorie di maestri come Ivan Illic, Paulo Freire o Lorenzo Milani; di conseguenza ha sempre seguito nell’insegnamento la via della ricerca di un sapere non precostituito, ma creato sistematicamente con l’apporto personale di chiunque abbia voglia di apprendere dati, tecniche e contenuti, di maturare abilità, di sviluppare spirito critico e di dare contributi nuovi ed originali alla cultura.
Negli anni del suo impegno nella scuola ha così amato il lavoro da non trovare molto tempo per altre attività che non fossero legate all’insegnamento, alla preparazione meticolosa delle attività didattiche ed all’impegno politico in formazioni anche diverse della sinistra in ragione della loro rispondenza alle possibilità che davano di realizzare gli ideali nei quali ha creduto e che continua a professare.
Il pensionamento ha aperto ad Angelo di Toro non solo l’allargamento della fruizione delle opere altrui con una lettura sempre più intensa di volumi di saggistica e narrativa, ma soprattutto la via di una creazione personale di opere capaci di arricchire la ricerca, il dibattito, il confronto e la riflessione sui temi della verità, del bene, della bellezza e del sistema etico che poi in definitiva sono il fine più elevato di una cultura che sia capace di operare per dare un senso ad un’esistenza degna della migliore tradizione umanistica, scientifica e razionalista.
Di fronte ad un mondo intellettuale che spesso assume una funzione sostanzialmente conservatrice Angelo cerca di porsi il compito che poi dovrebbe essere quello di ogni cultura libera, non assolutista, aperta alla ricerca e lontana da ogni forma di elitismo, in grado tra l’altro di definire aspetti e forme di universalità condivise.
Recentemente in un mio articolo ho scritto che “la cultura, entrata pienamente nel mercato secondo logiche neoliberiste, tende sempre più a trasformare i fruitori in consumatori a pagamento, mentre è difficile trovare in essa il concetto di trasmissione gratuita di beni o opere di recente produzione.
Questo dovrebbe davvero far riflettere tutti noi.
Hannah Arendt rimarca opportunamente che il compito della cultura, fuori da improvvisazioni povere ed inutili, come spesso ne esistono un po’ ovunque, ma soprattutto nel web, è quello di tenere viva la ricerca perché sappia produrre sempre quanto, resistendo nel tempo, possa aiutare la persona nella libertà e nella responsabilità delle scelte di vita.”
Tale credo sia il fine che Angelo di Toro si propone ormai da qualche anno con le sue pubblicazioni: garantire cioè il pluralismo e dare contributi validi al sapere ed alla soluzione dei problemi della collettività.
In fondo questi sono i compiti davvero significativi ed utili alla società di qualsiasi intellettuale non ripiegato a fare o a voler essere una “vestale della cultura”.
Ho già detto pubblicamente di essere convinto che il mio amico, come tanti tra noi, “spesso credo abbia avvertito anche la difficoltà di confrontarsi con forze della cosiddetta sinistra che sembrano da anni ormai l’immagine sfocata di quelle che un tempo operavano a sostegno dei deboli e degli emarginati e che sempre più sono oggi avviluppate nel vicolo cieco delle contraddizioni e dell’inerzia”.
Di qui i suoi tentativi di organizzazione di strutture e luoghi d’incontro e di ricerca come il “Centro Studi Amici di Gramsci” fondato da alcuni anni qui a Campobasso.
Questa necessità di elaborazione culturale e politica ha portato Angelo di Toro a dedicarsi alla scrittura con opere di narrativa e saggistica che lo hanno visto già nel 2010 pubblicare il romanzo “Viaggio a Barcellona”, dedicato al fratello Antonio, stimato pittore e nostro fraterno amico che purtroppo ha lasciato tutti noi troppo prematuramente.
Un viaggio d’istruzione diventa per lo scrittore l’occasione per riflettere sul sistema scolastico, sulle relazioni umane, sul significato dell’esistenza, ma è già l’occasione per considerazioni illuminanti sulla società neoliberista rispetto alla quale si cerca di definire per la persona un’identità alternativa ai canoni abitualmente proposti.
Cinque anni dopo esce “Gorgo”, un’opera che ho definito allo stesso tempo un romanzo ed un saggio storico.
Con un intreccio accattivante ed una tecnica narrativa assai originale l’autore, come scrissi per la presentazione dell’opera, ci parla della “ lotta di sempre tra l’ipocrisia di chi rinuncia alla verità ed all’eticità e la cristallinità di chi vive l’autenticità del proprio pensiero finalizzato al bene.
Dall’incontro di tre personaggi della vicenda che introduce la fabula, Giorgio, Salvatore ed il prof. De Carli, nasce in “Gorgo” il grande flash back di natura storica che presenta il ruolo del PCI in Italia dalla lotta antifascista, alla Resistenza, alla morte di Pietro Secchia e di Enrico Berlinguer fino a quella che l’autore definisce lucidamente “la nequizia del nostro tempo“.
Ora dopo appena un anno Angelo di Toro esce con un nuovo romanzo dal titolo “Un amico” per i tipi davvero molto apprezzabili delle Edizioni IBC.
Definire schematicamente questa sua nuova opera non è cosa facile, soprattutto perché le chiavi di lettura possono essere varie ed articolate, anche se azzarderei a presentarlo come un romanzo allo stesso tempo con grandi elementi fantastici nell’ispirazione, ma assai realistico per il tema.
Rispetto alla sua produzione precedente ci troviamo di fronte ad un’opera completamente diversa sul piano contenutistico, tematico, linguistico e narrativo.
Di tutti questi aspetti cercherò di occuparmi nella presentazione con un’analisi schietta e dettagliata, ma organizzata in una comunicazione che mi auguro piacevole ed abbastanza schematica compatibilmente con la necessità di sottolineare i tanti aspetti davvero interessanti e pregevoli dell’opera.
Sono sicuro che Angelo mi perdonerà l’esordio con cui voglio complimentarmi con le bellissime illustrazioni di copertina delle piccole Alice e Ginevra alle quali va tutto il nostro plauso.
“Un amico” è il racconto della costruzione articolata e faticosa della vita di Antonio Aloisi attraverso gli anni delle scuole secondarie, un’ardua crescita sul piano psicologico, un’esperienza lavorativa difficile in imprese edili ed una sorta di amore viscerale, ma allo stesso tempo problematico e psicologicamente contrastato per la pittura.
La presenza nella famiglia dell’autore di due persone dal grande estro artistico come Antonio e Roberto ha sicuramente avuto un ruolo importante nella scelta della figura del protagonista, ma le pagine intensissime in cui Angelo di Toro parla del godimento estetico davanti alle opere del Moma o la disamina acuta ed ampia delle arti figurative nei suoi maestri più significativi dell’Espressionismo, del Cubismo e del Razionalismo Neo Cartesiano ci dicono con chiarezza dei suoi personalissimi interessi multiformi come dell’ampio orizzonte culturale nel quale si muove.
Non aggiungerò molto nell’esplicitarvi gli elementi della fabula, perché non voglio togliervi la bellezza di una narrazione che credo, come è successo a me, vi avvincerà trasportandovi negli episodi, nei luoghi e nelle relazioni della vita del protagonista.
Iniziata la lettura, sarà difficile staccarsene perché l’esposizione degli eventi è ricca di episodi coinvolgenti, di figure umane molto particolari, di luoghi attraenti e di situazioni intrise di profonda problematicità.
Nella “Premessa” si parte dall’annuncio della morte del protagonista, rimossa a mio avviso volutamente dall’autore con un semplice “stato di prostrazione“, come definisce la risposta della cerchia di amici, interrogandosi sulle cause che hanno potuto determinarla; poi, in un grande flash back, inizia la narrazione della vita di Antonio che viene raccontata attraverso la finzione di due canali alternativi che sono quello dell’autore e l’altro di un suo collega che, letto segretamente il brogliaccio, scrive una sorta di contro storia.
La struttura del romanzo per questo è costituita da tre capitoli e da altrettanti definiti “bis”.
Io non so se tra questa “sorta di originale simbiosi tra tesi ed antitesi“, come definisce l’autore le due narrazioni, sarà possibile per il lettore una sintesi dei due punti di vista sulla personalità di Antonio Aloisi.
La diversa lunghezza tuttavia tra i capitoli della tesi e quelli dell’antitesi, pur nel rispetto di due diversi modi espressivi e di pensiero, la dice lunga a mio avviso sullo scopo reale che l’autore si propone.
A me è parso piuttosto un intelligente escamotage che, in una sorta di gioco delle parti, serve come strumento narrativo per innescare il confronto su alcuni temi forti della vicenda esistenziale del pittore e delle sue relazioni umane e sociali.
Il racconto è fitto e direi quasi senza respiro nell’incontro del protagonista con i tanti personaggi che popolano la scolaresca, la cerchia degli amici, la sua attività erotica, il mondo dell’imprenditoria edile degli ultimi decenni del ‘900 e la difficile realizzazione della sua vena artistica.
Attraggono e stimolano la lettura le continue variazioni della trama ed i frequentissimi colpi di scena.
Il nuovo romanzo di Angelo ha una sua originalità in quanto qui, a mio avviso, a prevalere è proprio la fabula ed i conseguenti intrecci piuttosto che gli aspetti storici e politici così preponderanti nelle opere precedenti.
Questo, attenti, non significa che “Un amico” manchi di momenti riflessivi che pure si aprono nel percorso narrativo su temi quali il bullismo, la crescita adolescenziale, la maturazione di attitudini ed abilità personali, il modo di definire e vivere la sessualità, la corruzione della classe politica ed imprenditoriale nella “cementificazione spregiudicata e barbarica” del territorio intorno agli anni Settanta ed Ottanta del ‘900, la visione sulla società da parte di una borghesia retriva e golpista, gli intrecci e le collusioni tra potere politico ed ecclesiastico, il rapporto tra Cristianesimo, pensiero debole, relativismo e nichilismo, il pensiero neoliberista di Friedman e le sue ricadute in Sudamerica ed Europa, la necessità di ritagliarsi la libertà di azione nel vissuto della propria esistenza, l’amore dell’autore per l’esercizio della professione di insegnante, la necessità di una ricomposizione, interazione e sintesi tra le attività umane, il significato culturale del “Principe” di Machiavelli, il provincialismo della cultura molisana, l’incoerenza e contraddittorietà esistenziale che il pittore raffigura in una sua tela.
Ci sono, sì, questi numerosi e ricchi elementi di riflessione su aspetti di psicologia evolutiva, di economia, di filosofia, di arte, come potrete notare, ma sono affidati dall’autore non alle ampie sequenze riflessive e dialogiche delle precedenti opere, bensì a considerazioni snelle e, per così dire, schematiche, sicuramente efficaci nell’esprimere concetti ed idee, ma impossibilitate a togliere troppo spazio alla narrazione della vicenda umana del protagonista che secondo l’autore deve occupare l’interesse prevalente del lettore.
Lo noterete a proposito del capitolo dedicato alla festa, goffa e marchiana, organizzata dall’imprenditore Franco Magliaro in occasione dei trentacinque anni di attività della sua impresa.
Questo episodio sul degrado etico della borghesia italiana è così prevalente nel racconto che perfino Antonio Aloisi sembra scomparire di scena per un bel pezzo, quasi a prendere le distanze da un mondo in cui comincia a non riconoscersi e sul quale, anche se per un momento, esprime una “forte repulsione” soprattutto quando constata che l’ostentazione di una sessualità eccessiva e malintesa, già avvolta unicamente da libidine slegata da sentimento e tantomeno da amore, fa apparire il sesso stesso come, parole dell’autore, “una sua volgare e vomitevole caricatura“.
La satira dell’autore diventa brillante quando descrive l’allestimento della villa, con particolare riferimento alla biblioteca, perché, lo leggerete, si tocca il culmine di un’ipocrisia che finge interessi elevati per darsi toni ed atteggiamenti di un’autenticità in realtà inesistente.
È come l’immagine, se ci riflettete, di tanta parte della società odierna in cui il conformismo opportunistico oscura ormai la spontaneità!
Il contro narratore nella descrizione di questa festa fa riferimento alla “Cena di Trimalchione” di Petronio
Io devo dirvi che, leggendola, ho pensato immediatamente alle scene molto simili nel film “La grande bellezza” di Paolo Sorrentino.
In queste pagine i personaggi sembrano come immersi in un sistema etico senza regola alcuna, dunque volutamente indeterminato e perciò incapace perfino di rispetto umano per la dignità dell’altro.
In taluni personaggi e segnatamente nel “sor Franco”, come lo chiama l’autore a mio avviso intenzionalmente in certe pagine, affiorano solo in maniera fugace e superficiale i segni sul dubbio di un’autocoscienza che s’interroga sul valore dell’esistenza.
Nella stessa direzione va il turbamento di Carmen, inserita in una relazione sessuale con il protagonista vissuta unicamente sul piano erotico e legata alla cura di una bellezza fisica che, quando declina, mette in crisi facendo scoprire, lo scrive testualmente l’autore, “l’implacabilità e la dura indifferenza del tempo nelle vicende umane“.
Lo stesso protagonista vive con profondo disagio la costruzione caratteriale e l’inserimento nel mondo del lavoro e nella società; è volitivo sul piano della crescita culturale, ma c’è in lui qualcosa che ostacola la maturazione di attitudini, d’interessi e della stessa realizzazione dei sogni; appare legato al sesso come espressione erotica di legami affettivi fugaci, ma incapace d’innamoramento e di amore sentimentale profondo e duraturo che vada oltre la fisicità e sia capace di cogliere la condivisione piena dell’esistenza in tutti i suoi aspetti con un’altra persona; è proteso, tuttavia, con continuità alla ricerca, come scrive l’autore, di “una piacevolissima, ritrovata ed illimitata libertà” personale, come del rapporto creativo con la forte vena pittorica e con gli amici veri ritrovati nel suo ambiente di origine.
Attraverso un grande flash back affettivo su attitudini ed interessi adolescenziali ed un forte momento onirico kafkiano di confronto con la sua personalità da adolescente durante un incubo febbrile in cui a mio avviso la vena letteraria dell’autore raggiunge la punta massima sul piano narrativo, lo scrittore sembra aver colto il punto focale della personalità del protagonista, umanamente sempre più enigmatica e controversa fino al declino sul piano fisico ed all’impossibilità espressiva, ma artisticamente ricca e multiforme come nella tela in cui ritrae Laura e riesce in effetti a descrivere in modo significativo l’esistenza nella sua incoerenza e profonda contraddittorietà.
È proprio nei temi della creatività della persona sul piano culturale, della libertà come presupposto dell’esistenza e dell’amicizia nel rapporto privilegiato con l’altro che io ho colto gli elementi fondamentali della riflessione di Angelo di Toro in questo suo nuovo, interessante e complesso romanzo.
Su di essi credo egli abbia dato il meglio di sé e scritto delle pagine davvero molto attraenti e stimolanti per la riflessione.
Parlando degli aspetti tematici vedete che sono stato volutamente indeterminato sulla vicenda raccontata per lasciarvi tutto lo scorrere della stessa avviluppata intorno a persone, situazioni ed ambienti creati volutamente dall’autore per intessere storie e problematicità esistenziali capaci di affascinare chi legge, ma anche di condurlo alla riflessione tematica.
Vi ho già accennato di questa costruzione originale ed innovativa sul piano strutturale del romanzo che insiste su due voci narranti.
La tecnica espositiva è quella di un racconto privo d’interruzioni che io definirei “senza fiato” perché ha la funzione di spingere la lettura in una dimensione temporale continua.
Questa esigenza è così prevalente nell’autore che egli volutamente rompe gli schemi classici di coesione e connessione testuale, quali l’articolazione in sequenze, per dare alle parti del testo legami nuovi e costrutti sintattici nella realizzazione dei periodi che, sebbene volutamente lontani da modelli e regole standardizzate, costituiscono mezzi innovativi per ottenere una comunicazione efficace e legata a registri linguistici sempre più informali.
Ci troviamo davanti ad una narrazione dall’intreccio articolato in anticipazioni, retrospezioni e flash back, ma sicuramente dotata di una velocità coinvolgente, anche se paradossalmente intervallata da brevi passaggi dialogici come da ampie e stupende descrizioni di soggetti, ambienti e situazioni nelle quali c’è una ricerca terminologica davvero molto curata.
La narrazione, prevalentemente in terza persona, ma talora anche in prima, come i tempi verbali al passato, sembrerebbero parlare di una storia sicuramente legata a ricordi dell’autore e, per così dire, conclusa.
In realtà la fluidità della dimensione spazio-temporale, la singolarità delle associazioni, i campi semantici utili a porre in risalto le problematiche affrontate e tutte le categorie sensoriali e meta sensoriali presenti nel volume rimandano a mio avviso ad un presente nel quale continuano ad essere vissuti da tanti gli elementi della vicenda e dei soggetti del romanzo.
L’analisi psicologica dei personaggi è cruda, potente, tagliente, spesso sarcastica ponendoci davanti persone di volta in volta ridicole, comiche, tragiche ed in ogni caso profondamente umane nelle loro ipocrisie e nelle certezze che pongono a fondamento della loro esistenza.
Si tratta di uno stile narrativo piacevolmente sorprendente in uno scrittore come Angelo di Toro finora piuttosto schivo nell’uso di passaggi descrittivi, avendo fin qui privilegiato quelli narrativi e riflessivi.
Lo forma non è quella asciutta dei primi volumi pubblicati, ma volutamente aulica, raffinata e decisamente ricercata nel linguaggio, la cui ricchezza è in una terminologia varia, articolata, fine e funzionale.
Il lessico, raramente metaforico e direi mai eufemistico, preferisce la comunicazione diretta che in molti passaggi appare davvero raffinata.
La costruzione ampia ed innovativa dei periodi è propria di uno scrittore che sa padroneggiare gli stessi attraverso un uso estremamente corretto ed efficiente della punteggiatura, rendendo perciò scorrevole e piacevole la lettura.
Si tratta in definitiva di uno stile tendenzialmente, per così dire, diretto e veloce, evocativo ed elegante, dunque profondamente ricercato nelle finezze soprattutto lessicali e descrittive.
Una narrazione avvincente e lineare tiene l’interesse e l’attenzione del lettore sempre legati a vicende particolari di un vissuto che in ogni caso è parte, certo, non della vita di tutti, ma sicuramente di un numero consistente di esseri umani.
Qualcuno ha scritto che leggere ti allarga la ricchezza esistenziale integrando e confrontando la tua con quella dei personaggi del libro letto.
È decisamente vero anche con questo romanzo di Angelo di Toro che ci catapulta nella vita di Antonio Aloisi e ci permette di fare un viaggio molto bello in questa vicenda del protagonista, nella quale ovviamente entriamo confrontandoci in libertà e spirito critico con essa e con i principi che la ispirano a partire dai valori che orientano la nostra.
Se la lettura, l’ascolto della musica, il godimento e la fruizione di un’opera d’arte, come io credo, non sono un obbligo o un dovere, ma un piacere tra i più affascinanti della vita per arricchirne la bellezza ed il senso, la relazione con questo libro di Angelo servirà a rendercene pienamente coscienti.
Immergersi allora nella storia da lui raccontata ci renderà sicuramente assai coinvolti tra pagine che scorrono a grande velocità davanti agli occhi.
Ringraziando tutti per l’attenzione e lasciando la parola all’autore ed a voi per altre riflessioni, si fermano qui le impressioni della mia lettura del romanzo “Un amico” di cui spero aver dato con sufficiente chiarezza gli elementi che più mi hanno piacevolmente colpito.
Grazie a tutti voi davvero per l’attenzione ed auguri ad Angelo per un successo lusinghiero che sicuramente questo romanzo merita e che sono certo arriverà molto presto.
(Umberto Berardo)
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