Dalla Duras a Platone, la casa stimola riflessioni



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CAMPOBASSO – È uscito da dodici giorni e ha già esaurito tutte le copie distribuite a Campobasso l’ultimo libro di Simonetta Tassinari “La casa di tutte le guerre”, edito da Corbaccio.
Presentato venerdì 23 gennaio nell’aula magna del Liceo Scientifico “Romita” di Campobasso, la scuola in cui l’autrice insegna Storia e Filosofia, il romanzo ha già ricevuto commenti positivi da pubblico e critica.
Dopo il saluto del dirigente scolastico dell’Istituto, Anna Gloria Carlini, ci ha pensato l’amica e collega Adele Fraracci a dare un primo assaggio del libro, un racconto ironico e allo stesso tempo profondo, una storia che si basa su una vicenda realmente accaduta agli inizi del Novecento, che parla di sentimenti e tocca temi importanti come l’emigrazione, l’amicizia, l’amore, il rapporto tra le generazioni.
La giornalista Ida Santilli ha approfondito il significato che la casa assume nella narrazione. La casa che dà il titolo al romanzo, sopravvissuta al primo e al secondo conflitto mondiale, ha combattuto una guerra ancora più difficile, contro un amore contrastato, un amore grande che è finito però tragicamente e che rimane sempre sullo sfondo di tutta l’intera vicenda. La casa è il nucleo degli affetti tra i vecchi e i giovani per dirla con Pirandello che vuol dire confronto, conflitto generazionale che si sviluppa in una girandola di fatti ed eventi, ma casa anche e soprattutto come epicentro emotivo ed esistenziale (“La differenza tra una casa e un mausoleo è terribilmente lieve. Un viso che prima c’era, e poi non c’è più; un rumore di passi, una risata danno senso alle opere umane. Se vengono a mancare, rimangono mura, quadri e silenzio”).
L’autrice parte da un luogo – la casa di famiglia di Rocca San Casciano, borgo della Romagna Toscana – per raccontare una storia a forti tinte rosa (la nonna Mary Frances, Bea la governante, la zia Prospera, la selvaggia Lisa, l’alternativa zia Maggie). Marguerite Duras in un interessante libro intervista dal titolo I miei luoghi affermava che “solo le donne abitano i luoghi, li possiedono. Solo le donne sono capaci di attingere a un corredo di emozioni e dargli una forma. Gli uomini, malati di parole, invece, li attraversano (passeggiano) incapaci di ascoltare la solitudine e il silenzio”. Con grande efficacia e padronanza di stile e di linguaggio, la Tassinari ce ne dà una dimostrazione (“Una casa tanto grande, spropositata e tutto sommato sprecata per le poche persone che ormai la abitavano”).
“La scrittura è una potente signora che seppur dotata di un corpo piccolissimo e invisibile compie le opere più divine “. Il celebre detto di Gorgia credo si possa ben applicare a questo lavoro della Tassinari che presente degli straordinari agganci con l’attualità che viviamo facendoci comprendere che le mura della casa non sono una trincea che divide, hanno un carattere poroso che connette, facendo percepire il senso di un “dentro” e di un “fuori” in una dinamica che è poi la dinamica della nostra vita, che si alimenta di questa perenne oscillazione di idee, di affetti, di esperienze di sensazioni. Fraracci tira in ballo Platone e chiede all’autrice: “Come vive in te l’atto di scrittura, l’amore per la scrittura? Quanto e come ha inciso sulla storia narrata?”.
L’autrice fa muovere i suoi personaggi regalando al lettore un esaustivo affresco degli anni Sessanta (il riferimento al romanzo “La notte in cui sparì l’ultimo pollo” è inevitabile: molte sono le analogie con il penultimo romanzo oltre all’ambientazione) è l’estate del 1967 dei capelloni “comunisti” e di Patty Pravo che canta Qui e là, con atmosfere che rimandano al cinema di Pupi Avati e di Federico Fellini: i giochi di strada, il cinema dai frati con i ragazzini del paese, il profumo del ragù la domenica mattina, le visite alla bisbetica zia Prospera, i ricevimenti del mercoledì con gli amici matusa della nonna. Leggiamo e ci sembra quasi di vederla quella piazza Garibaldi sulla quale si affacciano i portici e dove si svolge il mercato del mercoledì, dove arrivano le giostre per la festa di San Tribulzio.
Le vicende familiari sono narrate nel contesto di un’Italia che stava costruendo il suo futuro di paese che aveva saputo superare l’immane tragedia della guerra e si scopriva negli anni del miracolo. L’autrice ce lo fa notare introducendo nella narrazione alcuni beni di consumo: la Giulia super blu, l’Ovomaltina, la Nutella.
Il dibattito ha stimolato una riflessione sul rapporto tra le generazioni. Negli anni Sessanta esisteva un canale comunicativo efficace che legava padri e figli, nonni e nipoti. Cosa succede oggi? Il dialogo denso di esperienze e di valori non rischia di “evaporare” e diventare sterile a causa di una mediazione tecnologica fredda e fuorviante? La risposta dell’autrice è no. “Il rapporto nonno-nipote è prezioso”, ha affermato. “Più libero del rapporto tra genitore e figlio. Possono cambiare i canali comunicativi ma non la natura del legame, l’affetto e i valori su cui si fonda”.

(Testo di Ida Santilli
foto di Rossella De Rosa)

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