“Reddito di residenza”, il Molise è davvero alla frutta
Il Molise ha varato il cosiddetto “Reddito di residenza”, cioè 700 euro al mese per tre anni a chi abbia intenzione di spostare la residenza e avviare un’attività in un comune molisano con meno di duemila abitanti. Della serie: se vuoi venire in Molise, in paesetti in via di spopolamento, ti paghiamo pure. Perché, di fatto, sappiamo che è un sacrificio. Ne sono coscienti persino le istituzioni, che hanno stanziato 473mila euro complessivi, che potrebbero diventare di più in caso di forti adesioni all’iniziativa.
La proposta, presentata da un consigliere regionale di maggioranza sicuramente con le migliori intenzioni per combattere spopolamento e disoccupazione ormai quasi cronici, ha ottenuto il via libera da parte della Giunta regionale, ma sta sucitando molti “mal di pancia” principalmente proprio tra i residenti dei piccoli comuni, i quali si domandano perché la loro “resistenza” non debba essere ricompensata, mentre chi “viene da fuori” trova questo sostanzioso regalo. Lamentele che hanno qualche ragion d’essere, secondo noi.
In effetti questo “Reddito di residenza” presenta più criticità che elementi di ottimismo. Perché mira in modo davvero forzoso – e anche un po’ visionario – ad alzare di qualche unità il numero dei residenti di comuni ormai spopolati. E la strada appare davvero tortuosa. Facciamo qualche esempio.
Il primo caso potrebbe essere quello di un molisano residente di un centro sopra i duemila abitanti che decide di spostare residenza e dare il via ad un’attività in un centro limitrofo sotto i duemila residenti per ricevere il contributo. Ergo, che beneficio otterrebbe il Molise se una persona residente a Bojano decidesse di avviare un’attività a Spinete o a Sant’Elena Sannita, paesi ormai totalmente spopolati, di fatto senza sbocchi di mercato per un negozio ma anche per uno studio professionale? L’unico scopo per l’improvvisato e un po’ sprovveduto imprenditore sarebbe quello di acquisire questo beneficio economico di 700 euro per tre anni, di fatto puro assistenzialismo. Alla fine avremmo un residente in più a Spinete o a Sant’Elena Sannita, ma uno in meno a Bojano.
Secondo caso: i promotori parlano di opportunità per far tornare a vivere nel paese d’origine coloro che se ne sono andati via da anni, cioè gli ex emigrati. Ma se la stragrande maggioranza di queste persone non è tornata più a vivere nel paese d’origine – tra l’altro ormai gli ex emigrati sono pochi, perché le case sono passate a figli o nipoti nati altrove – ci saranno ragioni valide, cioè l’aver costruito altrove un mondo di interessi professionali, di affetti, di beni materiali e immateriali. Anche qui: che senso ha pagare una persona per farla tornare in un paese dove non è voluta tornare? Il rientro sarebbe davvero disinteressato o forse i 700 euro al mese farebbero la differenza? Perché pagare una persona per farla tornare a vivere, ad esempio, a Filignano, paese che in un secolo è passato da circa 3.500 residenti agli appena seicento odierni? Che tipo di attività potrebbe avviare?
I numeri, tra l’altro, quasi sempre sono bugiardi quando si affronta il problema degli spopolamenti. Molti piccoli paesi hanno maggioranze di residenti-fantasma: la ragione del mantenimento di una residenza è spesso fiscale per garantire status di “prima casa” a quella del paese e quindi non pagarci l’Imu.
Questo sostegno economico, insomma, rischia di determinare più danni che benefici, generando situazioni posticce, artificiali, fasulle.
Il Molise, viceversa, avrebbe bisogno di visioni d’insieme e non di operazioni spot per singoli paesi.
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