Pubblichiamo una delle tantissime mail ricevute da nostri iscritti e simpatizzanti a proposito della festa del Palacavicchi. Complimenti al lettore soprattutto per l’ottimo italiano.
Non sarà la battaglia dei numeri e delle tante sedie vuote a decretare un bilancio di successo o meno della festa dei Molisani che ha avuto luogo al Palacavicchi di Ciampino. Con la regia ufficiale di un ex consigliere regionale molisano (che forse mira a togliere quellex dal biglietto da visita) e quella più proficua e meno ufficiale di un consigliere comunale romano, appartenente ad una famiglia di imprenditori del commercio enogastronomico ed abituato ad organizzare eventi mangerecci del genere per comunità regionali, parrocchie e centri anziani. Per la serie: i voti non conoscono carte d’identità nè credi.
L’innegabile vulnus della passerella sta nel mancato coinvolgimento della gran parte dei molisani a Roma. E degli stessi romani, che perlomeno avrebbero avuto l’occasione della conferma del Molise, visto che uno dei più deprecabili giochi di moda è quello di negare la realtà del nostro territorio (su internet gira la battuta che la parola Molise nello Scarabeo non sia valida). Con precise responsabilità di qualcuno che, a livello pubblico, riceve uno stipendio proprio per impegnarsi a far conoscere la nostra regione agli altri.
Tutto ciò è la dimostrazione che non siano sufficienti tanti manifesti affissi (abusivamente) sui muri della Capitale o roboanti annunci della vigilia con la certezza di conquistare 10mila presenze per calamitare interesse e presenze fisiche in un salone. La maggior parte dei romani ha preferito mangiare a casa propria, andare allo stadio, ai centri commerciali, al limite a messa più che sentirsi il solito discorsetto politico che dalla tribuna spera di intrigare la crema degli spettatori.
Il punto fatale è che l’aggregazione e la credibilità sono elementi che si conquistano con il paziente lavoro quotidiano. Ciò che esattamente non è stata in grado di fare la politica (romana e molisana) a Roma. Né associazioni che sorgono nel corso di vigilie elettorali. Perché la politica nemmeno ha più il coraggio di mettere un logo di partito sul manifesto di un evento. Ed è necessario andare a prendere le persone a casa con i pullman, addirittura ad oltre 200 chilometri di distanza, per riempire una sala e riscuotere qualche applauso a pancia piena.
Al di là della diserzione di massa delle associazioni molisane a Roma (e s’è sentita), che hanno trasformato levento in un soliloquio, l’innegabile colpo docchio è stato offerto da un costoso trasferimento di massa dal Molise a Roma: 20 pullman di persone attratte dalla gita (e che poi si lamentano quando l’ospedale vicino casa chiude), tantissimi sindaci e amministratori con seguito (costretti ad aumentare le aliquote Imu per racimolare qualche soldo), una cinquantina di operatori commerciali con la speranza spesso tradita di fare buoni affari tra gli stessi corregionali, decine e decine di ragazzi costretti ad indossare costumi folkloristici tanto per dimostrare che c’è anche un Molise “adeguato ai tempi”, gli immancabili vertici della Regione i cui cognomi continuano ad essere sconosciuti alla maggior parte dei romani. Una vera e propria transumanza dai monti in pianura per svernare, sperando nei tempi migliori. Ma anche il tempo ha recitato la sua amara poesia: la mattinata di sole che ha accolto la kermesse sè trasformata in una serata di pioggia, vento e freddo come raramente accade nella Capitale. Allegoria elettorale?
<div class="