TEMI/ Nucleare, l’importante è non dimenticare



TEMI/ Nucleare, l’importante è non dimenticare

Un poco convincente Tsunehisa Katsumata, amministratore delegato della Tokyo Electric Power Co. (Tepco), l’ormai nota società giapponese che gestisce le centrali nucleari, nel corso di una conferenza stampa assicura che gli effetti di Fukushima “saranno stabilizzati in circa nove mesi”.
Secondo i tecnici giapponesi, le radiazioni emesse dall’impianto saranno abbattute nel giro di tre mesi. Quindi comincerà l’operazione di “copertura” dell’intera struttura per contenere le radiazioni. Un piano per gradi, insomma. Con l’obiettivo finale di permettere ai residenti di tornare nelle proprie case, decontaminando la zona e “normalizzando” la situazione.
Chiusa la pratica (almeno nelle intenzioni), se ne apre un’altra. La Tepco non rinuncia all’intenzione di attivare il reattore più potente al mondo (8.212 megawatt).
Mentre l’indice di gravità dell’incidente nucleare di Fukushima è stato portato da cinque a sette (il massimo livello della scala internazionali Ines, analogo a Cernobyl), nei governi europei le posizioni sul nucleare si presentano a macchia di leopardo. Segno dell’ennesima – e cronica sul questo fronte – mancanza di una strategia comune del vecchio continente.
La posizione che più preoccupa l’opinione pubblica nordeuropea è quella del governo polacco. L’esecutivo di Donald Tusk ha programmato da oltre un anno due siti (i primi nel Paese), della capacità di 3 mila megawatt ciascuno: uno a nord, in Pomerania, e l’altro a est, nell’entroterra di Nowe Miasto.
A capo del progetto della nuova centrale vicino Danzica (a 200 chilometri dal confine tedesco) c’è l’ingegnere Teresa Kaminska, 55 anni, militante nelle file di Solidarnosc ed ex ministro. Nuclearista convinta, minimizza i fatti giapponesi, sottolineando come abbia ceduto “una sola centrale su cinquanta” e comunque “non si sia verificata alcuna rilevante fuoriuscita di materiale radioattivo”.
L’unica centrale programmata in passato in Polonia, quella di Zarnowiec, è rimasta incompiuta dopo il trauma di Chernobyl, che colpì profondamente anche la popolazione polacca. Molti polacchi ricordano ancora lo iodio stabile somministrato quotidianamente ai bambini nelle scuole per saturare la tiroide, impedendo a quello radioattivo fuoruscito dal reattore di fissarsi nella ghiandola.
Secondo un sondaggio promosso dal “Newsweek” sul cantiere di Danzica, il 60% dei polacchi sarebbe fortemente contrario.
Sulla stessa linea nuclearista, anche la Repubblica ceca, con sei reattori attivi. Il primo ministro Petr Nečas difende l’atomo, sottolineando come il suo Paese “aderisca a rigidi trattati internazionali sugli standard di sicurezza, per cui non c’è alcun motivo per cedere agli allarmismi”. A fine marzo 2011, il governo ha completato il bando di gara internazionale per potenziare la centrale di Temelìn, 3.400 megawatt totali dagli attuali 1.923. Il cantiere per il primo dei due reattori partirà nel 2013.
Nuclearista anche il governo olandese. Nei Paesi bassi è attiva la sola centrale di Borssele, dotata di un reattore di tipo Pwr da 482 megawatt e il cui funzionamento è assicurato fino al 2034. Ma non manca l’intenzione, nonostante Fukushima, di ampliare la centrale di almeno mille megawatt. Il ministro dell’Economia e vicepremier olandese, Maxime Verhagen, ha comunicato al Parlamento il via imminente alle procedure per iniziare a costruire un secondo reattore, come previsto nel piano del 2009.
Sia in Polonia sia in Repubblica ceca e Olanda, l’attivazione dei cantieri è accompagnata da proclami di attenzione alla sicurezza e di finalità legate a crescita e competitività economica.
Di tutt’altro avviso altri governi europei, sollecitati anche dalle imponenti manifestazioni di piazza.
In particolare quello tedesco che ha chiuso, seppur temporaneamente, sette reattori (per un totale di 7.194 megawatt), che porta a diciotto quelli chiusi. In fondo la Germania stava già abbandonando la strada del nucleare dal 2001, a favore delle rinnovabili (il rapporto con le energie alternative era di 5 a 1 nel 1995, sceso a 1,3 a 1 lo scorso anno). Anche se la quota di energia nucleare sul totale è ancora al 26%. Ma gli stessi 1.800 operatori del settore premono da tempo per una riconversione rapida in ambito ecologico.
Ciò spiega perché il presidente del Land del Brandeburgo, Matthias Platzeck, ai confini con la Polonia, faccia pressione su Varsavia per un ripensamento sul nucleare.
Anche la Svizzera, dove sono presenti quattro centrali (con cinque reattori) che assicurano il 39,5% dell’energia elettrica prodotta in totale nel Paese (seconda fonte energetica), il ministro dell’Ambiente, Doris Leuthard, ha comunicato che “verranno sospese le tre procedure delle domande di autorizzazione per le nuove centrali nucleari finché non sarà stata fatta un’analisi approfondita degli standard di sicurezza”, riaccendendo di fatto il dibattito sul tema. Nel 2007 il governo svizzero aveva annunciato una nuova politica energetica che contemplava la costruzione di nuovi impianti nucleari.
Marcia indietro persino in Francia, fortezza storica dell’energia nucleare nel mondo. Nel Paese transalpino, l’atomo – presente in 19 centrali per un totale di 58 reattori – genera il 75.17% dell’energia elettrica totale. Attualmente è in costruzione il terzo reattore da 1.650 megawatt dell’impianto Flamanville a Cotentin, in Normandia (alla costruzione partecipa anche l’Enel per il 12,5%): proprio su tale cantiere pende la spada di Damocle della moratoria.
In Francia si è alla vigilia di importanti scadenze elettorali. Gli antinuclearisti, nella società civile, hanno un peso crescente, suffragato anche dai risultati dei Verdi alle ultime elezioni. “Sortir du nuclear” è una federazione di 875 gruppi francesi antinuclearisti cui sono associate oltre 35mila persone. E cresce notevolmente anche il movimento ambientalista di Daniel Cohn Bendit, contrario all’atomo.
In Spagna, Luis Zapatero conferma la chiusura, nel 2013, dell’impianto più vecchio, quello di Garzona, ordinando, come il governo inglese di David Cameron, revisioni a tappeto delle centrali attive.
E l’Italia? Il ministro dello Sviluppo economico, Paolo Romani, ha annunciato una moratoria di un anno per il ritorno alle centrali. Ma la sinistra punta sulla scadenza referendaria.
Nichi Vendola, nel corso di un comizio ad Assisi per l’apertura della campagna elettorale dell’esponente sindaco di centrosinistra Carlo Cianetti, ha accusato l’esecutivo di “fingere di riflettere sulla costruzione in Italia di centrali nucleari esclusivamente per boicottare l’esito del prossimo referendum”.
Di certo, l’esperienza di Fukushima ha riacceso interrogativi non solo sulla sicurezza degli impianti, ma anche sulla radioattività comunque presente, sullo smaltimento delle scorie, sul mercato dell’uranio (in via di esaurimento) che incide sulla geopolitica soprattutto africana, sull’uso di acque di fiumi e mari per il raffreddamento del processo, sulla militarizzazione del territorio su cui sorge una centrale, sul fatto che le scorie e altri materiali vengano utilizzati per costruire bombe.
Intanto, all’Aurum di Pescara, è stata inaugurata lo scorso 17 aprile la mostra fotografica “Chernobyl, 25 anni dopo”. Il fotografo Stefano Schirato, autore degli scatti, è tornato in quella città per raccontare non solo le conseguenze dirette dell’incidente, ma anche l’increscioso traffico di materiale radioattivo. Per non dimenticare.

(Giampiero Castellotti)

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