ROMA – In Italia il grado di decentramento tributario è limitato e ancora lontano da Paesi federali come Germania e Spagna
Nei Paesi federali le entrate tributarie si dividono quasi equamente tra Stato centrale ed amministrazioni periferiche; diversamente, nei Paesi unitari (o “quasi federali” come l’Italia) lo Stato fa la parte del leone, in quanto sono di sua competenza circa l’80% delle tasse versate annualmente dai cittadini.
È questo il principale risultato di un’analisi realizzata dal Centro studi “Sintesi” di Venezia, con l’obiettivo di verificare il grado di decentramento fiscale nei principali Paesi europei; nello specifico, due federali (Germania e Spagna) e due non federali (Francia e Italia).
Gli ultimi dati pubblicati dall’Eurostat, relativi all’anno 2009, fotografano una situazione molto chiara, anche se ciascun Paese rappresenta un caso a sé stante con peculiarità che non sempre sono riconducibili a mere analisi economiche e finanziarie.
In Italia il 79,1% delle entrate tributarie (quindi non sono considerati i contributi sociali) si riferisce alle amministrazioni centrali, mentre il rimanente 20,9% è costituito dai tributi “propri” di Regioni ed enti locali (Irap, Ici, addizionali Irpef, tassa automobilistica, tassa asporto rifiuti).
Le amministrazioni periferiche, per far fronte a rilevanti competenze di spesa (si pensi alla sanità, all’assistenza sociale, ai trasporti) beneficiano, oltre alle proprie entrate tributarie, anche di flussi finanziari provenienti dalle amministrazioni centrali (trasferimenti e quote di tributi erariali). A tale proposito, la riforma approvata dal Parlamento nel 2009 (legge n. 42) e in corso di attuazione intende favorire la responsabilizzazione di Regioni ed enti locali rafforzandone l’autonomia impositiva e trasformando i trasferimenti in tributi “propri”. In questo modo, nell’arco di qualche anno, l’Italia dovrebbe avvicinarsi al grado di decentramento di Paesi federali come Spagna (54,4%) e Germania (49,3%), distanziandosi sempre più da un sistema di finanza derivata come quello francese (20,7%).
L’Italia paga un decennio di immobilismo nell’attuazione del nuovo titolo V della Costituzione (2001), riforma che ha concesso più poteri e responsabilità alle Amministrazioni periferiche. Nel 2000. il grado di decentramento era pari al 20,6%, ovvero solo lo 0,3% in meno rispetto al 2009. È stato un decennio in cui tale percentuale è oscillata senza crescere in maniera stabile e consolidata; oltretutto, negli ultimi anni si è assistito ad una graduale erosione della quota di tributi locali sul totale complessivo a seguito dei blocchi alle aliquote e all’abolizione dell’Ici sull’abitazione principale.
In Spagna, invece, le riforme istituzionali di inizio decennio si sono concretizzate subito in maggiori risorse per le Autonomie locali; prova ne è che il grado di decentramento tributario è praticamente raddoppiato nell’arco di pochissimi anni. La Germania si conferma un Paese a tradizionale vocazione federale, in cui Stato centrale e Lander (con gli enti locali) di fatto si dividono equamente la torta delle entrate tributarie. Negli ultimi anni anche la Francia ha progressivamente fatto registrare una crescita del grado di decentramento, a conferma di una tendenza che riguarda ormai molti Paesi europei.
“È necessario avvicinare il nostro Paese ai modelli istituzionali dei Paesi europei federali. L’attuazione della legge sul federalismi fiscale – affermano i ricercatori del Centro studi Sintesi – dovrà prioritariamente costruire un assetto istituzionale e finanziario il più possibile legato ad entrate autonome e direttamente manovrabili da Regioni ed enti locali. È anche attraverso questo modo che si realizzerà una migliore gestione della cosa pubblica, avvicinando cioè la cosa tassata alla cosa amministrata”.
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