COMMENTI/ Cogne, Avetrana e la “mala television”



Eravamo convinti che il “limite della decenza” fosse stato già abbondantemente raggiunto col “trattamento mediatico” riservato all’infanticidio di Cogne e superato in occasione dei delitti di Garlasco e Perugia.
Stando alle cronache che giungono da Avetrana, invece, occorre ammettere di essersi clamorosamente sbagliati.
Di fronte l’altare del “voyeurismo” pubblico (e la cassa privata dello “share”) stiamo assistendo all’ennesima “messa in scena” di un orrore senza fine, ad un’informazione “urlata” che nega ogni forma di “rispetto” nei confronti del dramma di una quindicenne ammazzata.
Quando, quel caldo pomeriggio del 26 agosto, Sarah Scazzi è scomparsa nel nulla, nessuno si sarebbe immaginato che il suo caso avrebbe suscitato tanto clamore.
Tutto, però, è improvvisamente cambiato (in un certo senso, “degenerato”) quel 6 ottobre scorso, quando il corpo dell’adolescente pugliese è stato rinvenuto nelle campagne di Avetrana, immerso in un pozzo, dopo la “confessione shock” dello zio, Michele Misseri.
Negli stessi momenti del ritrovamento, in diretta tv, a “Chi l’ha visto” c’era Concetta Serrano, madre di Sara Scazzi, in collegamento proprio da casa Misseri.
E’ durante la trasmissione che arriva la notizia che nessuno mai si sarebbe aspettato.
Ed è a questo punto, però, che è accaduto “l’inqualificabile”: gli autori del programma, piuttosto che spegnere le telecamere e avvisare la madre con il massimo riserbo delle notizie d’agenzia che pervenivano, hanno deciso di proseguire la diretta.
Federica Sciarelli, allora, dinanzi lo sguardo pallido, scioccato, pietrificato della madre di Sarah, le comunica in diretta di ritrovarsi nella casa del presunto omicida della figlia.
Costringere la signora Concetta a condividere (anche solo per “interminabili minuti”) un momento di comprensibile disperazione (indipendentemente dall’assenza di lacrime, reagendo ogni persona “a modo proprio” alle emozioni…) davanti l’occhio vigile e ossessivo delle telecamere è stata un’ulteriore, crudele e gratuita “violenza” ai danni della famiglia Scazzi.
Il risultato auspicato dal programma è stato, ovviamente, raggiunto: boom di ascolti e grande visibilità su tutti i media.
Ma a quale prezzo?
Trasformato in vera e propria “telenovela non-stop”, gettato nel “tritacarne televisivo”, del caso Scazzi (la cui vita privata, oramai, in molti conoscono meglio di quella del proprio vicino) si è fatto una “polpetta informe” con cui saziare la “curiosità famelica” di milioni di annoiati telespettatori.
Uno Mattina, la Vita in Diretta, Porta a Porta, L’Arena, Mattino Cinque, Pomeriggio Cinque, Matrix, Domenica Cinque, Quarto Grado, Speciale Studio Aperto… Non c’è stata trasmissione in Italia che non abbia interrotto la propria programmazione ordinaria per dedicarsi quasi totalmente al caso mediatico più “in” del momento, realizzando ore ed ore di diretta dall’ormai famoso cancello marrone di via Grazia Deledda.
Via Grazia Deledda, improvvisamente, è divenuta ben più nota di via Condotti a Roma o di Corso Buenos Aires a Milano: centinaia di antenne paraboliche hanno intralciato la via di casa Misseri e inviati fissi di Tg, giornali e trasmissioni tv hanno impiantato le tende dinanzi la casa degli orrori, “brandendo microfoni come armi” contro qualsiasi malcapitato (o curioso…) l’attraversasse ed esercitandosi in pedinamenti di parenti, amici, conoscenti.
Inarrivabile “gran maestro” dell’accanimento mediatico si è confermato Bruno Vespa, il quale, non ha resistito alla tentazione di far debuttare in scena un altro suo plastico: quello di casa Misseri (con tanto di palme nane e macchinine).
Rivali agguerriti della “Vespa più rumorosa d’Italia”, però, non sono mancati: personaggi come Barbara D’Urso e Massimo Giletti si sono improvvisati giornalisti d’inchiesta (mestiere nobile, ma oramai privato della sua originaria “dignità”…) alla ossessiva ricerca di scoop ridicoli e rivelazioni inesistenti.
Nemmeno la domenica televisiva ha offerto alcuna tregua ai telespettatori: durante “L’Arena”, su Rai1, si è arrivati al punto di “sceneggiare” l’interrogatorio di Michele Misseri, scritturando un attore con tanto di cappellino da pescatore.
Alla fine di tutto, come se non bastasse, abbiamo dovuto assistere anche alla collettiva “folgorazione sulla via di Damasco” di tutti quei conduttori tv che, dopo aver abbondantemente attinto al caso per riempire i propri palinsesti, d’improvviso hanno cominciato a interrogarsi sui presunti “eccessi” dei mass-media nella trattazione del caso Scazzi!
La verità è una sola: Sarah Scazzi è stata ammazzata una sola volta (non sappiamo ancora esattamente da chi…) ma “violentata” innumerevole volte dai media.
La sua memoria è stata “scarnificata” da una miriade di “avvoltoi” (affamati d’effimera gloria e visibilità…) e lasciata “marciare” al cospetto dell’auditel.
Il “circo mediatico” si è ormai avviato, e nessuno potrà arrestarlo (almeno finché non diminuirà l’incasso dei bagarini!).
Nella Savana, quando un animale è debole o ferito, viene subito sopraffatto da branchi di iene affamate o da avvoltoi. Questo è quanto succede anche in tv, allorquando i mass-media infieriscono senza pietà su corpi innocenti per il proprio tornaconto.
Lo scorso 26 ottobre il Tg2 ha mandato in onda un servizio nel quale ha denunciato un tentativo d’estorsione compiuto da un consulente legale della Procura di Taranto, dichiaratosi disponibile a vendere tre foto del garage di casa Misseri (che farebbero parte degli atti d’inchiesta) in cambio di 10 mila euro (cifra poi ridotta a soli 8 mila).
Ma come si può arrivare a speculare in modo così “meschino” sulla morte di una innocente?
E quanti altri tentativi simili sono andati in porto?
In un’intervista a Tele Norba, l’ex portavoce della famiglia Scazzi, Valentino Castriota, ha denunciato che Sabrina è stata ripetutamente “pagata” dai media nazionali per le sue continue comparsate televisive.
Perché queste dichiarazioni sono state praticamente “censurate” dal resto dell’informazione?
Quanto sono stati pagati i “presenzialisti” nelle tv nazionali di familiari, avvocati e consulenti delle famiglie Scazzi e Misseri?
Chi (e a quale prezzo) ha venduto l’esclusiva dei 6 diari di Sarah al giornale “Panorama”?
Lo scorso 10 ottobre un utente di facebook (registratosi oltraggiosamente come “Sarino Scazzi”) è riuscito a pubblicare in rete una presunta foto del corpo di Sarah, nudo e disteso su un lettino d’obitorio! La foto è stata prontamente rimossa, ma i dubbi restano. Si tratta di una foto vera? E, se sì, com’è possibile che foto evidentemente scattate dai medici legali possano diventare di pubblico dominio?
Un altro gravissimo fatto, inoltre, è stato la divulgazione delle audio-registrazioni degli interrogatori di Michele Misseri e della figlia Sabrina. Perché ciò dovrebbe scandalizzare?Anzitutto perché si tratta di un illecito (gli atti d’indagine dovrebbero restare secretati almeno fino alla conclusione delle indagini preliminari); in secondo luogo, perché ogni imputato ha diritto a difendersi “nei processi” e non anche ” al di fuori” di essi (ossia, dalla “gogna mediatica”); infine, perché alla diffusione di tale materiale si è provveduto senza nemmeno l’accortezza di omettere i particolari più scabrosi.
Mario Calabresi (direttore de “La Stampa”), trovatosi anch’egli tra le mani gli audio degli interrogatori di Avetrana, ha deciso, piuttosto, di buttarli via. Il motivo? Semplicemente perché non aggiungevano nulla a quanto già abbondantemente “detto” e “letto” sulla vicenda. Pubblicarli sarebbe stato (come, difatti, è stato) solo un atto compiacente la “sadica morbosita” del pubblico, pronto a infilare la testa “più in fondo possibile” in quel pozzo dove Sarah è stata sepolta.
Pazienza per il “garantismo”, che sarebbe dovuto nei confronti di persone ancora semplicemente indagate (principio di cui molti si sciacquano abbondantemente la bocca ogni sera prima della preghierina!). Pazienza per la privacy, di cui in molti “a sproposito” si elevano a paladini (scoperto che Sarah aveva non uno ma ben sei diari, il Corriere del Mezzogiorno si è divertito a girare un video sfogliandone uno per darlo “in pasto” al pubblico, mentre Panorama ne ha già acquistato i diritti in esclusiva). Pazienza per la tutela dell’immagine dei minori (le immagini, i video, i dettagli più intimi, le insinuazioni più scabrose su Sarah – che ricordiamo essere appena 15enne – hanno fatto il giro dell’etere in qualsiasi fascia oraria!).
Di tutto e di più è stato “detto” e “letto” sui protagonisti di questa vicenda, creando e disfacendo mostri con una disinvoltura disarmante.
E se Sabrina fosse innocente, ad esempio? Chi la risarcirebbe del linciaggio mediatico subito?
Molti hanno fatto appello al “diritto di cronaca” per giustificare (se non rivendicare) la campagna giornalistica costruita attorno al caso di Avetrana.
Nessuno può mettere in discussione il diritto di “fare informazione”, anche in presenza di tragici casi di cronaca.
La vera questione, però, è un’altra: cos’è cronaca? Cos’è informazione?
E’ cronaca, ad esempio, anticipare “a tutti i costi” le risultanze delle indagini, avallando “tesi e contro tesi”, col risultato che, nel giro di un mese, è cambiato più volte sia il nome del presunto assassino – prima Michele, poi Sabrina – sia il movente dell’omicidio – prima le molestie dello zio, poi la gelosia di Sabrina – sia il luogo del delitto – prima il famigerato garage, poi l’interno di casa Misseri – che le modalità del delitto – prima per strangolamento, ora per soffocamento?
C’è modo e modo di fare informazione.
Dei fatti di cronaca, anzitutto, se ne dovrebbero occupare solo trasmissioni di stampo giornalistico (non anche programmi d’intrattenimento) e se ne dovrebbe dibattere solo con esperti (non con ospiti e “tronisti” di professione!).
Raccontare fatti, inoltre, è cosa ben diversa dal “sostenere tesi” o dal “fare il tifo” per una verità piuttosto che un’altra.
I giornalisti non sono detective, né giudici: non spetta a loro individuare i colpevoli o valutare la sussistenza di responsabilità penali.
Compito dei cronisti è solo quello di raccontare i fatti, mettendo in rilievo i soli elementi “incontrovertibili” disponibili: in caso contrario, non si fa informazione né cronaca giudiziaria, bensì “qualcos’altro” (ad esempio, gossip o mero voyeurismo).
“Solo il pubblico è sovrano!”. Questo è il responso con cui, di frequente, chi fa televisione difende il proprio operato, appellandosi agli ascolti. Ma il successo (in termini d’ascolti) di una trasmissione può giustificare qualsiasi eccesso?
Il pubblico televisivo, anzitutto, non sempre dispone di molte alternative: se si da uno spazio totalizzante ad una notizia, è fisiologico che (se non altro, per pigrizia) molti si sintonizzeranno sui propri consueti canali senza la briga di cercar di meglio in qualche canale monotematico digitale.
Chi può affermare con certezza, inoltre, che “alti ascolti” siano indice dell'”elevata qualità” di un programma o dell’apprezzamento del pubblico nei suoi confronti?
Compito della tv, infine, può essere solo quello di assecondare in toto gusti e “perversioni” della maggioranza dei telespettatori?
Se così fosse, perché “Pomeriggio Cinque” non manda in onda la ricetta del “gatto a vapore”, oppure “Porta a Porta” estratti delle avventure cinematografiche di Rocco Siffredi?
Pur se discutibili agli occhi di alcuni, tali scelte garantirebbero un’audience mai raggiunta prima.
Se si considera che, secondo gli ultimi dati Demos sull’informazione, il “piccolo schermo” continua ad essere il principale mezzo d’informazione per oltre l’80% degli Italiani, si capisce bene come la televisione, se non educa, inevitabilmente diseduca.
E il risultato di questa “diseducazione” è che:
– mentre negli anni del dopoguerra la tv italiana, pur con due soli canali Rai, ha rappresentato una formidabile arma di istruzione di massa (di divulgazione della lingua nazionale) e di unificazione del Paese (di costruzione di un’identità nazional-popolare);
– in questi anni, l’Italia, pur con 7 canali nazionali (oltre che una miriade di tv locali, numerosi canali digitali e sempre nuove pay-tv), si sta imbarbarendo sempre più, patendo addirittura gli effetti di un crescente “analfabetismo di ritorno”!
Molti spiegano il crescente interesse della pubblica opinione per i casi di cronaca come un segno di profonda “umanità”, di “empatia” verso la vittima.
Ma quanto c’è d’empatia (e quanto di mera curiosità, un po’ voyeuristica) di fronte al gusto per l'”efferatezza” e per i particolari più macabri?
Quanti di coloro che hanno seguito il caso Scazzi in tv, ad esempio, si sono sinceramente commossi piuttosto che appassionarsi al caso cercando di indovinare l’assassino o intuire il movente?
Ci sono giornalisti che, per giustificare l’attenzione mediatica su i casi di cronaca, sentenziano in maniera spavalda (e, probabilmente, eccessiva): “Senza le nostre telecamere la verità giudiziaria non emergerebbe mai!”.
E’ innegabile che molti casi di cronaca rimangono irrisolti se (o finché!) non interviene la pressione mediatica sulle Procure (vedi il caso Claps, risolto, dopo ben 17 anni, solo dopo una meritoria inchiesta giornalistica). Ciò non basta, però, a giustificare tutto quello che è avvenuto ad Avetrana.
Una cosa è tenere accesi i riflettori, pungolare forze dell’ordine e magistratura affinché si adoperino al massimo per la risoluzione di un caso controverso; tutt’altro è, invece, attuare un vero e proprio “sciacallaggio mediatico”, spesso finendo con l’ostacolare (piuttosto che agevolare) le indagini (come avviene con la divulgazione di atti d’indagine).
Molta gente si è convinta, alla fine, che l’attenzione mediatica su Avetrana sia giustificata dalla mancano di altre notizie meritevoli d’attenzione.
Di problemi reali (del tutto trascurati dall’informazione), invece, se ne potrebbero citare “a bizzeffe”. Quanti lavoratori precari, per fare un esempio tra i tanti possibili, sanno che, secondo gli ultimi dati dell’Inps, non matureranno mai il diritto alla pensione (ossia, se oggi versano dei contributi previdenziali, lo fanno solo per garantire una pensione a chi una pensione già “ce l’ha”!)?
I media hanno costruito una scala delle priorità a proprio uso e consumo, del tutto al di fuori della realtà, finendo col fare affezionare il pubblico a vicende si drammatiche ma prive di alcuna “rilevanza collettiva”. Ad Avetrana, allora, gli stessi si sono serviti della cronaca per attuare la cosiddetta “strategia della distrazione”: tenere la pubblica opinione all’oscuro dei profondi mutamenti (sociali, economici e politici) del Paese, così da impedirgli di formarsi una propria opinione critica.
Un esempio?
Lo scorso 7 novembre la notizia del giorno era certamente una: la rottura tra il Cavaliere e Fini, dopo l’atteso discorso di Perugia di quest’ultimo.
Eppure qual è stata la notizia più “chiacchierata” del giorno? Ancora il “giallo di Avetrana”!
Un comunicato della redazione del Tg1 ha spiegato come, visti gli ultimi sviluppi clamorosi (l’ennesima versione dei fatti fornita da Michele Misseri agli inquirenti il giorno prima), lo speciale Tg1 della sera si sarebbe occupato del caso Scazzi.
L’edizione delle 13:00 del Tg2, a ruota, ha dedicato alle vicende avetranesi quasi il doppio del tempo riservato alla politica!
Ma qual è il “senso giornalistico” di queste scelte editoriali?
In Italia è in atto un’inarrestabile tendenza alla “spettacolarizzazione” dell’informazione: il giornalismo preferisce l'”enfasi” all’approfondimento, l’indugiare in particolari scabrosi alla lucida analisi, finendo con l’essere complice (più o meno inconsapevolmente) di un processo di “degenerazione morale”…
La vita delle persone comuni viene, senza molti scrupoli, trasformata in “spettacolo”, smarrendo il “senso del pudore” e mettendo in mostra le peggiori “miserie umane”.
La tv italiana (grazie al contributo decisivo dei reality) si va sempre più trasformando nel “buco di una serratura”: una tv a misura di “guardoni”, specchio di un’Italia malata, di una società che ha perduto il senso dell’umanità.
Se è giusto definire “sciacalli” certi giornalisti, poi, come definire quei milioni di telespettatori appassionatisi al caso di Avetrana come ad una qualsiasi “telenovela argentina”?
E come qualificare la sfilza di “idioti” che hanno fatto la fila (spesso con i figli sotto braccio!) non per portare un fiore sulla tomba di Sarah ma per farsi fotografare “in pellegrinaggio” dinanzi il cancello dei Misseri?
La visibilità, l’immagine, l’apparire, non rappresentano necessariamente un “male”…
Come sosteneva l’intellettuale francese Guy Debord, la nostra vita è composta sia di “interiorità” (la vita spirituale) che di “esteriorità” (la vita sociale).
È compito della cultura (nelle sue più varie forme) regolare e far convivere queste due insopprimibili componenti umane.
Ad Avetrana, però, quella che Debord definiva già negli anni ’60 la “società dello spettacolo”, sembra aver del tutto distrutto l’interiorità in nome dell’esteriorità!

(Gaspare Serra – http://gaspareserra.blogspot.com/)

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