Acqua e terra, risorse del futuro



LARINO (CAMPOBASSO) – “Acqua e terra. Le risorse per un futuro Molise” è il titolo del convegno che ha avuto luogo a Larino nei giorni scorsi. Riportiamo la relazione del professor Rossano Pazzagli che ha aperto la manifestazione. Un evento partecipato da un pubblico attento che ha fatto onore all’iniziativa promossa da Larino Viva e dal Partito dei Comunisti Italiani-Federazione della Sinistra. Un incontro intenso, che affrontato questioni di vitale importanza per Larino ed il Molise, che rischiano, entrambi, di perdere il patrimonio più importante, il territorio. Un patrimonio, altresì, fondamentale per avviare quel nuovo tipo di sviluppo di cui ha bisogno il Molise per scongiurare i rischi, sempre più evidenti, del nucleare e di altri insediamenti produttivi antitetici alle caratteristiche ed ai bisogni del territorio. Insediamenti che vanno contro ogni logica di una programmazione che ha una sola possibilità di esprimersi e dare risposte: utilizzare e spendere le risorse proprie del territorio che sono la ricchezza della biodiversità; della terra fertile per produzioni di qualità e tipiche; della cultura e della storia; del paesaggio e dell’ambiente e, tutte insieme, la forza delle nostre tradizioni, cioè un passato lontano che sa cogliere il presente e guardare al futuro delle nuove generazioni.Un incontro ricco di spunti che ha saputo stimolare gli interventi dei presenti e rendere più ricco il dibattito e il confronto.
L’INTERVENTO DEL PROFESSOR ROSSANO PAZZAGLI
La natura e l’uomo – che di essa fa parte (ma che con lo sviluppo moderno ne è diventato anche estraneo, finendo spesso in posizione di alterità) – sono stati i motori primi delle trasformazioni che hanno generato l’ambiente intorno a noi: l’agricoltura, il paesaggio, la trama dell’insediamento, l’urbanizzazione, l’industria.L’ambiente, il paesaggio e i beni culturali non sono soltanto una eredità storica. Essi costituiscono ormai risorse essenziali di un modello di sviluppo alternativo rispetto a quello seguito fino ad oggi.
Indico subito tre esigenze di fondo nell’affrontare tali problematiche:
1) conoscenza del processo di costruzione di questo patrimonio;
2) critica dello sviluppo contemporaneo
3) rilancio del ruolo pubblico e del concetto di “bene comune”, di cui l’acqua costituisce un esempio molto significativo.
La conoscenza aiuta a comprendere le forme necessarie della salvaguardia e della valorizzazione del territorio, indicando concrete possibilità di sviluppo sostenibile.La crisi come opportunità. L’attuale crisi economica, da cui si rischia di avere una ripresa senza occupazione, è una crisi strutturale. Essa è anche crisi di un modello che ha generato disparità, disuguaglianze, selezione sociale e territoriale, un modello che è servito ma che ora non funziona più, anzi è degenerato ulteriormente, causando danni anche alla democrazia.Eravamo abituati a due secoli di crescita economica continua, collegata all’affermazione del sistema capitalistico di produzione a partire dalla rivoluzione industriale inglese nel Settecento. Vista alla scala planetaria essa ha reso possibile un travolgente incremento demografico, ma non ha risolto il problema dei diritti umani e delle disuguaglianze, che anzi si sono accresciute e sono diventate ancora più visibili nel mondo globale. Ha generato un crescente squilibrio tra popolazione e risorse, tra vita umana ed ecosistema, riaprendo scenari di tipo maltusiano.Contraddizioni enormi, rispetto alle quali ci sentiamo piccoli e impotenti. L’impotenza, assieme ad altre angosce, incertezza e precarietà, sono i sentimenti prevalenti nel mondo globale, un atteggiamento che si misura in modo diffuso e preoccupante tra i giovani. Ma la misura di questa impotenza può ridursi e la profondità del sentimento si attenua se ci collochiamo su una scala locale, di una regione o di una subregione, in una dimensione non troppo macro per essere analiticamente e coscientemente percepita, né troppo micro per sfuggire al paradigma della complessità. Oppure se si recupera una visione storica più lunga, cioè una successione temporale di fasi e di eventi che rappresentino almeno le grandi tappe della civiltà europea e mediterranea: l’età greca e quella romana, dalle quali discende l’eredità dell’antico; il cristianesimo e la Chiesa, l’Europa feudale e quella della rinascita urbana, il Rinascimento e il primato italiano con la successiva modernità da cui prendono corpo la nuova scienza, la nuova politica, la nuova economia. Poi la fine dell’antico regime, l’Illuminismo e la rivoluzione francese, l’industrializzazione… fino alle luci e alle ombre del “secolo breve”, come è stato chiamato il Novecento. In tutte queste “età” si è accumulata una immensa quantità di fatti, architetture, paesaggi, prodotti, tradizioni… un insieme di straordinaria portata che può essere definito come capitale culturale. Culturale e ambientale, il nostro vero capitale.Dilatare l’ottica del tempo e focalizzare quella territoriale: è questa l’azione necessaria per identificare, comprendere e valorizzare ogni singolo bene, ogni pezzo di patrimonio. Di qui scaturisce la necessità di conferire ai problemi la concretezza e la dimensione territoriale, in un’ottica locale che non significhi localismo e separatezza, ma visione d’insieme e integrazione, consapevolezza delle identità intese non come dato immutabile, ma come processo dinamico.Il territorio è un bene storico ed è l’espressione più evidente e immediata dell’identità di un luogo. Come tale, quindi, deve essere trattato e non come un supporto fisico su cui appoggiare in modo incessante le nostre suppellettili. C’è un legame profondo tra la storia culturale e il futuro di un popolo o di un luogo. Tra cultura e politica, tra storia e politica. Un legame spezzato da riannodare.Il paesaggio, cioè l’incontro sempre fecondo tra conformazione naturale dei luoghi e attività antropiche, rappresenta la sintesi più eloquente tra natura e storia.In virtù di questo incontro l’Italia possiede un patrimonio vasto di beni culturali, ambientali, gastronomici… : il mare, le coste, le città e il reticolo dei borghi, l’esteso territorio rurale sono lo spazio ideale per una integrazione delle politiche culturali e ambientali. In un tale contesto anche le feste, le tradizioni e i modi di vita possono divenire elementi attrattivi. Collegando la storia, la cultura e la società in cui le persone vivono quotidianamente, emerge una gamma di luoghi e situazioni nelle quali è possibile beneficiare di uno heritage inteso come patrimonio culturale, che comprende una commistione di elementi tangibili o intangibili: edifici e monumenti storici, siti produttivi, paesaggi tradizionali, eventi e pratiche popolari, stili di vita (tra cui la gastronomia), ecc.Il Molise è una piccola regione con un grande patrimonio rurale, che per me significa – in senso più lato – culturale.
Se noi leggiamo il Molise utilizzando questa ottica, cioè l’ottica delle risorse intese come combinazione di fattori naturali e segni antropici, ci accorgiamo che essa è indubitabilmente una regione che non solo è abbastanza ben dotata, ma che dispone anche di una ancora buona capacità di documentazione di queste risorse, a cominciare dalle persistenze storiche, dai beni culturali (materiali e tradizioni) e dai giacimenti gastronomici. Questi, oltre a costituire elementi chiave per segmenti specifici dell’offerta turistica, costituiscono, nel loro insieme, il patrimonio di base per lo sviluppo del settore turistico in Molise.
Semmai bisognerebbe chiedersi come mai questa buona dotazione di risorse naturali (si pensi all’abbondanza di acqua) e antropiche non abbia innescato nel passato durevoli processi di sviluppo. Ma qui il discorso si farebbe lungo e complesso e lo rinviamo ad un’altra eventuale iniziativa.
Tornando su un livello più generale, nella parte finale del Novecento, dopo la ridefinizione del ruolo delle città in chiave turistica e l’intenso sfruttamento delle coste, si è verificato un processo di riscoperta e valorizzazione del territorio rurale. Una forma assai diffusa è stata quella dell’agriturismo, collegato a comparti agricoli di qualità ed ai principali prodotti tipici, agricoli (vino, olio, ortaggi, frutta, ecc.) e artigianali. In diverse aree della penisola si sono così disegnate relazioni in parte inedite, che vanno dalla costa verso l’interno, anche attraverso la riutilizzazione di antichi percorsi , es. ai flussi della transumanza (tratturo, il mondo dei tratturi) e di altre migrazioni stagionali (minerarie, forestali, ecc.). Da connessioni del passato, questi circuiti interni possono oggi definire nuove relazioni sul territorio: direttrici lungo le quali possono radicarsi anche momenti produttivi di tipo agricolo-rurale di qualità, che in modo sinergico aggiungono valore al territorio e di questo si avvantaggiano.L’agriturismo, quando riesce a rispettare i vincoli della principalità dell’attività agricola, come previsto dalle normative nazionali e regionali, rappresenta un esempio di turismo sostenibile, collegando la problematica turistica a quella strategica della sostenibilità dello sviluppo, così come è venuta definendosi a livello mondiale dal Rapporto Bruntland (1987) in poi e in particolare a partire dalla conferenza di Rio de Janeiro.
La riscoperta del territorio ha però bisogno di riconoscere la centralità dell’agricoltura, di una buona agricoltura, e di abbandonare l’ossessione della crescita.Insistere oggi sui temi della crescita ad ogni costo, significherebbe prorogare una incomprensione storica ed ignorare lo squilibrio non più sostenibile tra uomo e risorse. Il paradigma della crescita non può più essere sufficiente per rispondere alla crisi strutturale di un sistema basato proprio sulla crescita. Per quanto ci riguarda, la crescita ha significato tra le altre cose un crescente e continuo consumo di suolo, risorsa basilare per l’agricoltura e per l’uomo.Il consumo di suolo ha significato in primo luogo alterazione del paesaggio, frattura del consolidato equilibrio tra città e campagna, nuovi costi ambientali in termini di uso delle risorse naturali, ridefinizione delle identità sociali.
Una tale analisi deve costituire la base per identificare come prioritario l’obiettivo della riduzione del consumo di suolo e la conservazione del paesaggio nel quale si inscrivono i valori ambientali e storici della comunità locale.Appare dunque indispensabile favorire il mantenimento di preziosi patrimoni ambientali e culturali, comprese le tradizioni e i modi di vita ancora oggi documentabili: un insieme di caratteri originari (territoriali e sociali) che possono essere recuperati anche come risorse economiche, ma soprattutto in chiave identitaria e di resistenza culturale ai processi omologanti della globalizzazione contemporanea, fino a costituire la base di una nuova visione non globale e neanche strettamente locale, ma glocale per riprendere l’efficace concetto elaborato da Mander e Goldsmith e più recentemente da Bauman.
Così, anche le politiche turistiche non vanno più misurate solo in termini di prodotto interno lordo e di occupazione, ma anche sul piano della cultura imprenditoriale e della mentalità: l’insediamento di nuove imprese, l’incremento del flusso turistico, le produzioni agricole di qualità, la modernizzazione di alcuni servizi strategici, il recupero dei beni culturali, rappresentano altrettanti fattori di cambiamento, che devono essere accompagnati da un crescente impegno per la formazione e i servizi alle persone, mentre dal punto di vista dell’organizzazione territoriale occorre sempre di più passare da una visione polarizzata e gerarchica ad un sistema di luoghi e funzioni sempre più integrato all’interno dei rispettivi contesti regionali ed in grado di dialogare con i contesti più ampi, nazionali o internazionali.In tale contesto gli elementi centrali di questa qualità possono essere proprio i beni culturali diffusi, i prodotti tipici, il paesaggio, i boschi e i centri storici, l’archeologia industriale, le tradizioni e, sulla costa, spiagge e servizi.
Tutto ciò deve essere maggiormente integrato, con l’obiettivo di promuovere un turismo equilibrato e consapevole, in simbiosi con le attività e la cultura locale. Una visione del turismo non settoriale, dunque, che superi l’idea di sempre nuovi insediamenti edilizi e di un mercato del lavoro più largo sì, ma anche sostanzialmente precario e dequalificato.Ogni territorio deve porsi l’obiettivo di conservare una propria originalità, di nutrire una propria identità attraverso una osmosi tra apertura e tradizione. Il che significa prima di tutto analizzare e capire, poi salvaguardare la propria immagine storica sul piano culturale, infine elaborare un progetto che possa realmente coniugare i caratteri identitari con i valori ambientali regionali e locali, per integrarsi compiutamente nel più vasto orizzonte mediterraneo.Il governo del territorio. Oggi in Molise appaiono ancora deboli i processi di pianificazione territoriale, di qualificazione e di integrazione dell’offerta enogastronomia e turistica. La frammentazione delle esperienze e la sporadicità dell’azione non consentono ancora di parlare di un vero e proprio sistema turistico regionale. In questo senso occorre richiamare, accanto al ruolo indispensabile dell’iniziativa locale e delle forze endogene, l’importanza delle politiche regionali e locali, sullo sfondo di un sostegno ancora necessario da parte delle politiche nazionali ed europee. Se il territorio è una risorsa (la risorsa), allora diventano decisive, prima ancora delle politiche turistiche, delle buone politiche territoriali e ambientali, a partire da quelle urbanistiche, con la definizione di una sorta di “statuto del territorio” fondato sugli elementi cardine dell’identità regionale e che disciplini le regole dell’insediamento, della salvaguardia e della tutela del patrimonio storico e ambientale come fondamenti essenziali dello sviluppo.
Attraverso questa via (la costruzione di uno statuto del territorio) si possono riconoscere le funzioni delle risorse territoriali anche come elemento educativo e formativo, non solo delle persone (in particolare dei giovani), ma dell’identità collettiva di una terra che aspira ad una ritrovata fiducia nel proprio futuro.In conclusione, non ci sono ricette predefinite, ma c’è bisogno mi pare – di una nuova ottica e di un rinnovato legame tra cultura e politica, che sappia realmente coniugare la dimensione produttiva con quella territoriale, la sfera economica con quella sociale e culturale. Affinché ciò avvenga, anche lo sviluppo rurale e turistico dovrà rispettare tre condizioni fondamentali: partire dalla società, assicurare la sostenibilità ambientale, realizzarsi entro una cornice di indirizzi e regole pubbliche definita dal basso. Esso deve cioè coniugarsi con i temi della democrazia e della partecipazione anch’esse colpite da una crisi quasi più preoccupante di quella economica.
Su questi tre assi fondamentali dovrà basarsi il rafforzamento delle politiche pubbliche, in modo da creare uno scenario entro il quale possano dispiegarsi anche strategie e disegni imprenditoriali. E soprattutto una ritrovata fiducia nelle potenzialità del territorio.

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