Agnone (Isernia): alle origini della ‘Ndocciata



Agnone (Isernia): alle origini della ‘Ndocciata

Nei giorni scorsi l’amico Guerino Mattei, giornalista toscano da anni residente a Roma, ha pubblicato uno splendido pezzo su Agnone nel quotidiano L’Avanti. Lo pubblichiamo a beneficio dei tanti agnonesi sparsi per il mondo che seguono il notiziario della nostra associazione.
In Agnone, centro montano dell’Alto Molise in provincia di Isernia, noto per la sua millenaria produzione di campane, la tradizione natalizia si lega al fuoco più imponente che si conosca al mondo. Chi ha assistito a questa spettacolare quanto suggestiva processione di fiamme e scintille racconta di una lunga, interminabile emozione poco descrivibile se non vissuta dal vivo. Una emozione che anche Giovanni Paolo II volle far vivere ai romani ed ai pellegrini di tutto il mondo accogliendola in piazza San Pietro nel 1996.
L’origine della tradizione del fuoco che “infiamma” la vigilia di Natale ad Agnone si perde nella notte dei tempi. Da principio la “‘Ndoccia” (fonema dialettale che sta per “grande torcia”) faceva parte certamente della ritualità pagana legata alla scadenza solstiziale del 21 dicembre. È noto infatti l’antico legame che l’uomo ha con il fuoco, ritenuto sin dall’alba della sua comparsa come fonte primaria di vita, elemento fecondatore e purificatore della natura; al pari sono noti agli studiosi i fuochi rituali che dalla Persia alla Normandia, dalla Russia al Galles, gli antichi abitatori dell’Europa e del vicino Oriente accendevano in onore del Dio Sole durante la notte più lunga dell’anno.Anche gli antenati degli attuali abitanti di Agnone, gli Osci e i temibili Sanniti che per secoli contesero a Roma il dominio dell’Italia centro meridionale, erano legati al fuoco, ai suoi significati e alle sue suggestioni. È da questo legame che deriva certamente la tradizione ultramillenaria del fuoco solstiziale che in Agnone, nel cuore dell’Appennino abruzzese-molisano, si è evoluta nella ‘Ndocciata. Rito dedicato al sole ed al suo ciclo annuale fatto proprio dal cristianesimo e divenuto per questo fuoco in onore al Dio che nasce, al Cristo Luce e Salvatore del mondo.
Da documenti scritti (per lo più giornali locali) si hanno testimonianze di questa tradizione magico-rituale, quale è giunta fino a noi, fin dai primi anni dell’Ottocento. Come si legge dal libro di Domenico Meo – “Le ‘Ndocce di Agnone: i fuochi della Vigilia di Natale” -, i padri-protagonisti di questa tradizione sono i contadini. Un rito agreste dunque colmo di significati simbolici, parte del linguaggio della semplicità contadina. Ad esempio: “Mentre la ‘Ndoccia ardeva – scrive lo studioso – si traevano auspici: se soffiava la borea si prevedeva una buona annata, al contrario se tirava il vento. Se schioppettava andava bene, altrettanto se la fiamma era consistente: spari e fuochi, come ci insegna la storia delle tradizioni popolare, sono contro le streghe, considerate un vero e proprio male della società rurale”. A proposito del simbolismo legato alla tradizione del fuoco, i più anziani ricordano quando con la ‘Ndoccia coglievano l’occasione “pe fa la cumbarsa” (fare la comparsa), cioè fare bella figura agli occhi delle ragazze. Il giovane innamorato soleva portare la ‘Ndoccia sotto la finestra della ragazza che aveva scelto come sposa, e se quest’ ultima si affacciava il matrimonio era possibile, altrimenti un secchio d’acqua spegneva la torcia e l’ardore dell’innamorato…
Anticamente, come oggi, la ‘Ndocciata di Agnone si svolgeva nella tarda serata del 24 dicembre. Le maestose fiaccole, infatti, servivano con molta probabilità anche ad illuminare il cammino dei contadini che dalle zone rurali si portavano sino al paese per assistere alla messa natalizia di mezzanotte. Negli anni Trenta del Novecento i contadini ancora solevano sfilare spontaneamente per le vie del centro cittadino con in spalla ognuno la grande torcia fatta spesso con le proprie mani. Ma il secondo conflitto mondiale portò anche alla fine – o meglio ad una sospensione – di questa antica abitudine. La tradizione fu felicemente ripristinata nei primi anni Cinquanta dalla Pro Loco di Agnone che, per incentivare la partecipazione all’iniziativa, organizzò una gara con premi. Da allora possiamo dire che per la ‘Ndocciata fu un crescendo continuo in imponenza del rito e attaccamento degli agnonesi ad esso. Oggi il 24 dicembre è un giorno simbolo della tradizione agnonese e un appuntamento irrinunciabile per migliaia di turisti che provengono da ogni dove.
Le ‘Ndocce sono costruzioni alte oltre tre metri che anticamente come oggi, se assemblate, assumono la caratteristica forma a ventaglio o a raggiera. Si tratta in questo caso di torce multiple, di numero pari, variabile da due fino a oltre venti fuochi. Esse vengono trasportate da due o più portatori in costume contadino: caratteristica di esso è la storica “cappa”, mantello utilizzato soprattutto dai pastori, tagliato a ruota con il bavero alto, agganciato al collo, di colore nero. Il materiale utilizzato per la fabbricazione delle ‘Ndocce è l’abete bianco, reperito quasi esclusivamente nel bosco di Montecastelbarone, una splendida foresta a nord di Agnone. Gli alberi prescelti sono individuati dagli agenti del Corpo forestale dello Stato tra quelli malati, abbattuti da calamità naturali o secchi. I tronchi sono ripuliti dalla corteccia e tagliati in sottili listelli di circa un metro e mezzo di lunghezza, legati tra loro a mazzo e sovrapposti fino a raggiungere l’altezza di alcuni metri. Questa sovrapposizione di listelli è arricchita nel suo interno da steli secchi di ginestra, che faranno ardere la ‘Ndoccia, caratterizzando il rituale anche sonoramente con il loro crepitìo. Questa pianta viene scelta per motivi di carattere logistico e tradizionale. L’abete è una pianta resinosa e di facile combustione, ma è anche l’albero-simbolo del Natale per molte popolazioni nordiche soprattutto di origine celtica non del tutto estranee alla tradizione agnonese. Inoltre il legno di abete non è difficile da trasportare e, se ben secco, è ricco dei rumorosi scoppiettìi che al momento dell’accensione fanno la differenza fra una buona ‘Ndoccia e una non riuscita.
Da secoli i protagonisti della ‘Ndocciata sono i potatori. Divisi in gruppi provenienti dalle contrade rurali di Agnone, gli uomini che sfilano con le grandi torce ardenti sulle spalle si sfidano ogni anno per la conquista del trofeo artistico dello “‘Ndocciatore”, realizzato anni fa dallo scultore Ruggiero Di Lollo. Cinque sono i gruppi che negli ultimi anni hanno animato la ‘Ndocciata. La contrada di “Sant’Onofrio” è certamente il gruppo più antico. Prende il nome dalla zona montana a nord di Agnone ed è formata da oltre 150 elementi tra uomini e donne. Il gruppo che rappresenta Agnone centro è quello denominato “Capammonde e Capaballe”, nome che sta ad indicare la parte alta della cittadina altomolisana. Composta da oltre 100 persone, questa formazione è la più giovane per età media. La contrada “Colle Sente” può definirsi il gruppo di “alta quota”. Proviene infatti da un nucleo abitato situato a ovest di Agnone oltre i mille metri di altitudine. La contrada “Guastra”, anche se appartiene amministrativamente al comune di Capracotta, è legata da sempre a questa tradizione agnonese. Infatti fino a qualche anno fa gli abitanti di questo gruppo di case rurali accendevano torce ardenti vicino agli usci la sera della vigilia di Natale. Infine “San Quirico” rappresenta il territorio rurale di Agnone più a valle, è il gruppo meno numeroso della ‘Ndocciata ma particolarmente agguerrito e legato a questa tradizione.
La sera del 24 dicembre all’imbrunire centinaia di portatori di tutti i gruppi si riuniscono all’ingresso settentrionale di Agnone; la tensione è evidente, le emozioni si risvegliano e si rinnovano. Il segnale per l’accensione delle gigantesche torce e per la partenza è dato dal rintocco della campana più grande di Agnone, posta sul campanile di Sant’Antonio, il più alto della città. Uno, due rintocchi poi nelle strade si fa silenzio e il corteo si avvia. Davanti a tutti ci sono gli stendardi dei gruppi e le scene di vita contadina animata soprattutto da donne e bambini: poi il fuoco. Iniziano a sfilare i bambini con ‘Ndocce singole, a volte leggermente più piccole delle misure riservate agli adulti. I portatori sono solo uomini. Alla ‘Ndocciata non c’è età, il più piccolo portatore che si ricordi aveva due anni, mentre il più anziano sfiorava gli ottant’anni. Avvolti nei loro grandi mantelli scuri i portatori ogni anno procedono in un ordine prestabilito. Dopo le torce singole ecco quelle a due. Subito dopo entra in scena il vero e proprio esercito di portatori con in spalla quattro grosse torce: è il cuore forte della ‘Ndocciata. Le emozioni crescono, il fiume di fuoco si fa maestoso e ora si dipana sotto gli occhi degli spettatori che affollano il corso principale di Agnone.
La città si incendia e più di qualcuno piange. Nella mente si affollano i ricordi dell’infanzia, i pensieri vanno a chi non può assistere anche quest’anno all’immenso fuoco di Natale, perché è lontano, perché non c’è più. Arrivano i portatori con otto torcioni, poi i “ventagli” infuocati con 10, 12, 16 fiamme sulle spalle di uno o due uomini. Ma un’altra sorpresa: ecco i più forti, quelli che vogliono dimostrare alle donne ed ai propri “rivali” di essere i migliori. Giovani dal fisico robusto che in una sfida dal sapore mitico e dalla suggestione unica si sono caricati di 18 o 20 enormi fiaccole. Camminano sicuri nascondendo lo sforzo anche quando non ce la fanno più. E danzano. Danzano al centro della piazza roteando su se stessi simili a pavoni dalla gigantesca coda di fuoco. Mostrano a tutti la loro forza, il coraggio e la maestosità delle fiamme che li circondano. È il rito antico che si ripete. L’immagine ancestrale che richiama significati che sembrano persi ma che in realtà sono sempre presenti: fertilità, forza creatrice e purificatrice del fuoco, preghiera dell’uomo verso le forze dell’ignoto raggiunte attraverso le grandi fiamme delle ‘Ndocce.
Questi giovani non lo sanno ma sono i continuatori di liturgie vecchie quanto il rapporto fra l’uomo e la natura. E il fiume di fuoco va avanti, riempie il corso cittadino, è lungo chilometri, sembra non finire mai. Mentre scrosciano gli applausi la memoria di molti risale a quell’ 8 dicembre del 1996, quando in onore di Giovanni Paolo II gli agnonesi “incendiarono” piazza San Pietro omaggiando il Santo Padre, che aveva visitato Agnone un anno e mezzo prima, in occasione del cinquantesimo del suo sacerdozio. Le parole del Papa affacciato eccezionalmente di sera alla finestra del suo studio, furono piene di commozione e gratitudine: “Grazie di questo spettacolo, grazie per il falò della fratellanza – disse tra l’altro il Pontefice -. Grazie alla diletta città di Agnone… il fuoco purificatore che i vostri padri accendevano in occasione del solstizio è divenuto segno di Cristo, di Gesù luce del mondo. Le crepitanti fiaccole ci ricordano che Cristo è la vera Luce. Possa il fuoco trasformarvi in portatori di gioie per il Natale, ad Agnone ed al Molise tutto”. C’era quasi tutta la popolazione molisana ad ascoltare quelle parole sotto il colonnato del Bernini, in un’atmosfera magica, surreale, indimenticabile. Negli anni successivi altre tre volte la ‘Ndocciata si è svolta l’8 dicembre in edizioni straordinarie legate a particolari ricorrenze. Come è avvenuto nel 2000 in occasione dell’Anno Giubilare o nel 2004 per la celebrazione del seicentesimo anniversario della proclamazione di Agnone a Città Regia. L’appuntamento della tradizione resta e resterà per sempre quello della Vigilia di Natale. Quel 24 dicembre all’imbrunire, quando ogni agnonese – che si trovi in patria o negli angoli più sperduti del mondo – udendo i rintocchi del campanone di Sant’Antonio accende la propria ‘Ndoccia interna che è fuoco di fede e di attaccamento alle proprie antichissime radici.
Quest’anno, nell’ambito delle celebrazioni del quattordicesimo anniversario della ‘Ndocciata a Roma , verrà tenuta una edizione straordinaria. L’appuntamento è per l’8 dicembre 2010 alle ore 18 lungo il corso cittadino. La manifestazione, come da tradizione, verrà riproposta la sera della grande vigilia agnonese il 24 dicembre alle ore 18 ed a seguire la 51esia edizione della rappresentazione della Natività a cura del Cenacolo Culturale Francescano “C. Carlomagno”. Abbiamo raccontato la storia. Le emozioni vanno vissute personalmente sul posto.
GUERRINO MATTEI

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