ROMA/ “Fotografia migrante”, quando gli stranieri eravamo noi



ROMA – Nella Capitale due mostre raccontano gli Italiani all’estero: “Not Paved with Gold” di Vincenzo Pietropaolo, dedicata alla comunità italiana a Toronto degli anni Settanta del Novecento, e “Nosotros los Gringos” di Maria Zorzon, che riscopre l’italianità dei giovani discendenti di emigrati in Argentina
Presso il Foyer dell’Aula Magna della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’ateneo Romatre (via Ostiense 234, Roma) è possibile assistere alle mostre “Fotografia Migrante: Nosotros los Gringos” di Maria Zorzon e “Not Paved with Gold” di Vincenzo Pietropaolo, a cura di Manuela Fugenzi.
La prima esposizione offre, tramite lo sguardo rivolto agli italiani nel mondo di Maria Zorzon, italo-argentina di origine friulana, e Vincenzo Pietropaolo, italo-canadese di origine calabrese, inusuali opportunità di relazione tra spettatori, “medium” fotografico e la memoria migrante. Dalla nascita della fotografia, i migranti del mondo sono sempre stati tra i fruitori e produttori di fotografia più attivi. A maggior ragione oggi, dove la pratica del fotografare, sostenuta dalla tecnologia digitale, risponde in modo efficace al bisogno di comunicare, mantenere legami, condividere, come la presenza della fotocamera nei telefoni cellulari e il fenomeno Facebook confermano. Nel tempo la fotografia si è dimostrata il luogo privilegiato in cui permanenze e perdite dell’identità si manifestano o si rivelano. Oppure fonte di documentazione storica, che al nostro contemporaneo torna a rivolgersi, interrogandolo.
“Not Paved with Gold” di Vincenzo Pietropaolo testimonia con intensità ciò che è accaduto e oramai scomparso: le occasioni di vita della comunità italiana a Toronto in un tempo cruciale, gli anni Settanta del Novecento. Quella prima generazione di emigrati dal sud contadino del dopoguerra esigeva il sostegno della comunità e i gesti e riti quotidiani, la vita di relazione, la lingua parlata esprimevano sia la volontà di mantenere inviolato un confine identitario di fatto non ancora varcato – la propria provenienza -, sia le spinte e le lacerazioni del processo di adattamento. “Si diceva, ed era creduto dagli emigranti più ingenui, che le strade in America fossero asfaltate con l’oro. Quando però arrivavano scoprivano subito tre cose: primo, che non erano asfaltate con l’oro (not paved with gold); secondo, che le strade non erano asfaltate affatto; e terzo, che avrebbero dovuto asfaltarle loro…”. Il recupero di questa memoria propone – oggi e qui, in Italia – la possibilità di trasformare la consapevolezza del nostro passato in empatia con i migranti del nostro presente, così che il tema della cittadinanza arriva, più direttamente, a riguardarci tutti.”Nosotros los Gringos” di Maria Zorzon legge invece nel contemporaneo, nei discendenti della prima emigrazione italiana – quella di fine Ottocento – le tracce di un’identità italiana forse perduta, ma insieme intimamente presente. Tra il 1879 e il 1880 si stabilirono nel Nord-Est di Santa Fé, Argentina, circa duecento famiglie emigrate da alcuni paesi contadini del Friuli e fondarono le colonie di Avellaneda e Reconquista, lavorando quella larga fascia di terre agricole tra il fiume Paraná ad est e la Cuña Boscosa ad ovest. L’isolamento dovuto alle grandi distanze e la mancanza di infrastrutture determinò nei gringos un’identità particolare, che Zorzon ha voluto esplorare.
La sua è una prospettiva artistica e insieme un’indagine antropologica e una ricerca identitaria, che espande ulteriormente lo sguardo, proponendo allo spettatore di riflettere sulla realtà del cambiamento, dell’integrazione, del divenire “altro” da ciò da cui si proviene, della relazione con lo spazio, il tempo del proprio vivere, le radici della propria storia.
La mostra resterà aperta fino al 7 maggio.
Fonte dell’articolo, un comunicato di ItalPlanet News.

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