ICONE/ Nilla Pizzi, emblema del Belpaese



Ciò che rimane di Sanremo, per noi algidi e acuti osservatori, è un solo quadro devozionale: Nilla Pizzi. Altro che regine istituzionali e principi diseredati, re del pop e presunti monarchi del soul. Per la vera ed eterna “regina” della canzone italiana, che naviga risolutamente verso i 91 anni, è bastata l’autoironia di un vestito solenne, una voce inossidabile, l’umanità di un’età che lascia tracce (ma non nella presenza impeccabile e professionale) per sotterrare le tante giovani aspiranti colleghe con il mito dell’originalità e della dirompenza.
Lei, eccentrica sin dal nome – Adionilla al posto di Dionilla della nonna, sbagliato all’anagrafe -, allontanata dalla radio per la voce troppo sensuale, un curriculum proiettato più al futuro che al passato (dell’Italietta piccola e bigotta), volutamente ricco di scandali e di amori tempestosi con un campionario di mariti lasciati, flirt con direttori d’orchestra e colleghi che tentano il suicidio dopo che lei li “accanna” da comunista convinta e femminista d’avanguardia, un marito scippato alla rivale Carla Boni, viaggi costantemente intercontinentali (con premi in tutto il mondo) e canzoni eseguite in una miriade di lingue, è l’emblema assoluto di una passione vera che Sanremo si sogna da un pezzo.
Autoironica come poche (indimenticabile la partecipazione a “Mai dire gol” con Aldo Giovanni e Giacomo o la reinterpretazione di “Grazie dei fiori” in chiave rap con la boyband “2080” o ancora i duetti con Platinette), attrice, ha sempre offerto momenti di spensieratezza con le sue canzoni immortali. Uno spirito indomito. D’esempio all’Italia intera.

(Pierino Vago – 21 febbraio 2010)

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