De Rita: la crisi è “politeismo delle paure”



De Rita: la crisi è “politeismo delle paure”

ROMA – Giuseppe De Rita e le incognite della crisi. I problemi, i misteri, i rischi. E i conseguenti smarrimenti. Uno dei più autorevoli “lettori” della società italiana di fronte all’emergenza del momento, a ciò che lo studioso riduce ad un “politeismo delle paure” cui contrapporre il “monoteismo della speranza”.
Il presidente del Censis ne parla in una gremita basilica di San Giovanni in Laterano, parrocchia della sua prima infanzia, lui romano “monticiano”. L’occasione è l’incontro promosso dalla Diocesi di Roma sul tema “le sfide della crisi”, relatore anche monsignor Gianfranco Ravasi, uno dei più autorevoli biblisti. Presente, per l’introduzione e la conclusione, il cardinale Agostino Vallini.
De Rita parte da una considerazione generale: la società contemporanea ha perso soprattutto la linearità.
“Il carattere rettilineo s’è rotto sul piano politico con l’11 settembre – spiega il sociologo. “Con questa data entriamo in un mondo di grandi incertezze. Arrivano il fondamentalismo islamico, il terrorismo internazionale, emergono nuove potenze che rompono il monopolio statunitense: Pakistan, India, Brasile e soprattutto la Cina, destinata nei prossimi anni a diventare il maggiore competitore degli Usa. Un mondo di ansie è collegato alle oscillazioni del prezzo del petrolio come agli esiti di una spedizione in Afganistan”.
Lo studioso colloca la seconda frattura ad ottobre 2008, con la rottura della globalizzazione economica. Esplodono le bolle finanziarie, quelle bancarie, quelle del mercato immobiliare, del prezzo delle materie prime, ad iniziare da quello del grano. Si tenta di rinviare una crisi non più rinviabile. Non c’è più costernazione da parte dei protagonisti ma sorpresa, incertezza. Anche la logica comunicativa è drammatizzante. “E’ una crisi globale che parte nelle grandi banche d’affari statunitensi e arriva anche da noi, nel precariato, nell’economia – continua De Rita. “Ma noi abbiamo una sorta di ammortizzatori tradizionali, la famiglia, il lavoro sommerso, le realtà territoriali, il policentrismo, cioè l’essere un Paese con tanti soggetti diversi. E ciò, se aiuta la crisi, non può aiutare però la nostra percezione della crisi stessa. Cioè crediamo più alla paura della crisi che alla crisi stessa. Siamo un popolo impaurito, più che in vera crisi”.
Il presidente del Censis, ricordando anche recenti ricerche promosse dal suo istituto, sottolinea come l’Italia sia avvolta dalle paure. Parla di “galassia delle paure”. Ne elenca oltre una trentina, da quelle razionali, dalla salute al lavoro, a quelle immateriali, connesse soprattutto alle sofferenze, da quelle tradizionali, per lo più legate alla microcriminalità, a quelle che definisce “del sottoscala”, cioè dell’altro, dell’immigrato, dell’intolleranza, della perdita di identità, o legate al corpo.
Come uscirne? C’è chi esorta a non avere paura, a reagire al pessimismo. “L’hanno fatto, ad esempio, Roosvelt, Wojtyla, in tempi recenti anche il nostro presidente del Consiglio Berlusconi – ricorda De Rita. “Ma il problema vero resta come affrontare le paure. E non è certo il modo migliore, come purtroppo avviene di solito, di inseguire le paure stesse. Rincorrere le paure porta ad accrescere le stesse paure. Ad esempio – cita ancora il sociologo – per affrontare la paura dei ladri per un periodo abbiamo messo sbarre a tutte le finestre. Poi siamo passati ai sistemi di allarme. Quindi abbiamo chiesto una maggiore presenza della polizia. Siamo poi finiti all’esercito. Ancora, le impronte agli immigrati, le ronde, le telecamere. Ecco, le rincorse non risolvono i problemi, anzi rappresentano quanto di peggio c’è”.
La risposta, consiglia De Rita, deve essere monoteistica, affrontando cioè la radice unitaria delle paure. E lavorando sul fatto che esse sono costituite da emozioni, da tante emozioni, da ripetizioni di emozioni, ma non da sentimenti. “Noi razionali abbiamo paura dell’irrazionale, l’intelligenza ha paura della demenza senile, la società del novecento ha avuto paura del futurismo di Marinetti e degli hippies – continua. “La paura va quindi affrontata attraverso un meccanismo che abbia una sua possibilità di strada. Lavorare su questo significa fare speranza, e per farlo occorre adottare due atteggiamenti: il vigore, che è fatica costituita di una parte naturale e di una innaturale, e la pazienza, che è patire, anch’essa sintesi di naturale e innaturale”.
Insomma, tra politeismo delle paure e monoteismo della speranza, De Rita indica anche una strada trascendente, in grado di ridimensionare quelle soluzioni immanenti che vengono spesso sbandierate come panacee per tutti i mali.
(Giampiero Castellotti)

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