Capre molisane



ROMA – Le incerte sorti del Molise? Affidiamole ad una capra. Sì, ad uno dei più buffi ma preziosi animali da cortile. E tra i più intelligenti, curiosi e adattabili, secondo quanto assicurano gli etologi. Che in fatto di parlare agli animali non sono da meno di San Francesco. In quanto a simpatia, poi, il quadrupede non è messo così male, grazie soprattutto a quella singolare barbetta.
Ode alla capra molisana, insomma. Cocciuta come i padroni. Ma soprattutto, per quanto inconsapevolmente, regina della biodiversità.
No, non c’è alcun riferimento politico nella scelta. E nemmeno mera provocazione. Tutt’altro. La materia zoologica, per quanto non sarà delle più interessanti, è questione di non poco conto nell’economia e nell’immagine di un territorio. E’ "tipicità", parola che tutti amano pronunciare quale panacea per ogni male. Certo, in epoche in cui agli olezzi da campagna si prediligono gli ammorbamenti da centri storici, l’esercizio del potere surclassa quello del podere. E anche un simbolo faunistico potrebbe passare in secondo piano. Ma cosa sarebbe la Roma senza il lupetto, la Juve senza la zebra, il Napoli privo di ciuccio e la Lazio senza aquilotto?
E il Molise? Nell’eterno dibattito sull’identità territoriale, la fauna locale molisana è purtroppo avara di aiuti. Cioè tra le intense rogne che accompagnano la regione sannita, c’è anche la penuria di razze autoctone. Tante "vecchie fattorie" sparse sul territorio, ma con fauna rigorosamente d’importazione. Il Molise, terra agricolissima, è colonizzato da animali forestieri. Se non fosse, appunto, per una capra.
Prendiamo, ad esempio, i numerosi bovini che solcano ciò che rimane dei tratturi. Sono per lo più di razza bruna alpina. Insomma, roba padana. Mucche in avanscoperta. Più che di federalismo si tratta di vero e proprio imperialismo con il fazzolettone verde al collo. Così come le lumache. Anch’esse alpine, che dividono la piazza molisana con la Helix pomatia. Ma il loro nomadismo da caravan, con casetta sulle spalle, non ha alcunché di sannita. Peccato, comunque, perché il loro legame con la terra e il loro incedere indolente rappresenterebbe niente male i molisani.
E l’orgoglio sudista, allora? Dove l’andiamo a pescare? Ci sarebbero, ironia della sorte, i paffuti conigli di razza bianca. Sono quelli che si beccano il freddo delle montagne molisane. E per resistere hanno pesi tra i quattro e i sette chili. Minivitelli. Meridionalisti fino al midollo, almeno nella grossa mole. E quale simbolo di prolificità. Ma sono notoriamente anche l’emblema della codardia. Forse non a caso appartengono alla "razza comune italiana", come certificano gli etologi. Meglio allora lasciar perdere la ricerca di dna molisano.
Orientiamoci, allora, verso le simpatiche oche da cortile. La razza più presente in Molise parla romano: è la cosiddetta "oca di Roma", omaggio alle celebri colleghe del Campidoglio. E’ l’animale comune bianco allevato nell’Italia centrale, con appendice sannita. In Molise c’è pure la razza romagnola ma, assicurano gli esperti, è meno elegante di quella romana. Vòi mette: la Capitale, ahò…
Poi abbiamo immigrazione ante litteram. La faraona grigia è di stirpe africana. Nessuna soddisfazione anche dal fagiano, gruppo Phasianus colchicus colchicus, origini asiatiche, probabilmente mongole. Eh, quanta strada sull’asse Ulaanbaatar-Campobasso. Il tacchino, si sa, è "made in Usa", mentre per il Germano reale il nome è tutto un programma. Certo, il pollo è razza italiana, ma comune a tutte le regioni. Eppoi, proprio polli…
E le pecore, il classico "alipecuri" sanamente burinozzo? In effetti ci sarebbe la pecora Pagliarola: c’è chi giura che abbia origini molisane (forse l’ha capito dal belato?). Ma, pronto, c’è l’immancabile cugino vicino di casa che ne rivendica i natali abruzzesi. Vabbé, tenetevi pure la pecora dopo Celestino quinto. Tanto è diffusa anche in Umbria, Lazio e Campania. Quindi, niente tipicità. Per cui, niente pecore. L’Appenninica, poi, arriva sino alla Toscana e all’Emilia-Romagna. E la Merinizzata, con "vello bianco serrato", unifica l’Italia. Eh sì, non rimane che la capra.
Sorpresa delle sorprese, infatti, la "Grigia molisana" è la portabandiera della regione. Parola dell’Atlante della biodiversità zootecnica italiana. Detta anche "Grigia di Campobasso", è allevata in tutta la regione Molise, in particolare nell’area delle minoranze linguistiche, cioè Montefalcone, Acquaviva Collecroce, San Felice del Molise e Montemitro, e a Castelmauro. Minoranza delle minoranze. Il registro anagrafico di razza è stato attivato nel 2002, dieci anni dopo la convenzione di Rio.
La descrizione che ne fa l’Atlante è da scheda tecnica di "Quattroruote" per berline di lusso. "Taglia medio-grande, testa a tronco cono, occhio pronunciato, con iride sempre nelle tonalità del marrone chiaro, cornuta e barbuta, con buona muscolatura, non pesante, torace profondo, arti ben appiombati, con unghioni compatti e robusti, apparato mammario molto bene attaccato all’addome con solidi legamenti, quarti sviluppati e terminanti in buoni capezzoli". Insomma, un mito. E vogliamo poi mettere l’ottimo formaggio caprino. Lo yogurt. O il preziosissimo latte di capra? Certo, nell’inflazionato trangugiare pinte di latte microfiltrato – dove anche le scadenze sono sempre più diluite – non tutti sono in grado di cogliere le soddisfazioni degli effluvi da stalle di paese. Ma ci sarà pure una ragione se già Carlo Magno impose per legge agli agricoltori l’obbligo di coltivare novanta specie di piante in via di estinzione per evitarne la scomparsa. Biodiversità, appunto. E se a Capracotta, con il fiorire della bella stagione, compaiano le più belle ragazze del Molise.
Allora al diavolo le farfalle quali improbabili simboli della regione molisana. Ostracismo a selvaggi cavalieri e butteri trippardoni che emulano il Far West, con effetti da Spaghetti Western. Veli pietosi su rodei e caroselli, giostre e tornei come se Mainarde e Matese fossero diventati il Gran Canyon. Affidiamoci alla tenace capretta. Alta al garrese fino a 76 centimetri. Sessanta chili di bontà. Diabolica fino al punto di rappresentare lo stesso Satana, che in Molise "starebbe da Dio". Un satiro doc con zampe e corna caprine. Ma, principalmente, dalle incomparabili pulsioni sessuali.

(Pierino Vago)

(foto: Consdabi.org)

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