CULTURA/ Le croci stazionarie del Molise



Pubblichiamo un estratto da Franco Valente (www.francovalente.it), Gli architetti di Dio  (in preparazione)

Prima parte

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Roccamandolfi

Non so a chi spetti il demerito di aver inventato il termine di "croci viarie" per definire quelle croci che vediamo spesso nel territorio molisano in prossimità dei sagrati delle nostre chiese.
A ciò aggiungo l’altro demerito religioso-culturale dell’aver creato attorno a queste croci moderne leggende circa loro improbabili rapporti con quei Templari che spesso vengono scomodati quando non si sa di che parlare.
Senza tralasciare il demerito di coloro che le hanno addirittura arricchite di definizioni come quella di "croci bizantine" per indimostrabili caratteri stilistici orientali.
E poiché nel Molise ne esistono tante, qualcuno, non sapendo resistere al desiderio di associare cerimonie religiose alla pratica della transumanza, si è immaginata anche una religiosità pastorale che apparterrebbe ad una immaginaria devozione per la Croce di Cristo.
Avendone personalmente viste una discreta quantità e non essendo riuscito a convincermi della esattezza di tali interpretazioni, mi sono fatta l’idea che simili intuizioni sono del tutto campate in aria e che non esiste alcuna testimonianza antropologica o sociologica, e tantomeno letteraria o epigrafica, che attesti un qualsiasi rapporto tra chi praticava la transumanza e tal genere di rappresentazione.

Insomma che si tratti di croci della pastorizia transumante  o di una sorta di segnali strategici sugli itinerari dei Templari o addirittura di espressione del dominio bizantino è conseguenza di una esasperata e fervida fantasia. Mi vorranno, per questo, perdonare coloro che le hanno inserite in uno di questi contesti indimostrabili  e che, per questo motivo, non ritengo necessario citare.

Proverò, invece, a legare la loro origine più semplicemente ad una pratica fortemente condizionata dall’autorità religiosa che intendeva fare di ognuna di esse un punto di forza associando forme di liturgia a significati escatologici che, con il trascorrere del tempo, sono stati dimenticati o addirittura (nella maggioranza dei casi) neanche conosciuti.
Per arrivare ad una conclusione attendibile devo necessariamente fare alcune considerazioni preliminari che rientrano nel mio modo (certamente non originale anche se insolito) di interpretare gli aspetti esteriori di fenomeni religiosi secondo un metodo in cui l’espressione formale, qualunque essa sia, è conseguenza di fattori sincronici e di altri diacronici.

Ovviamente la necessità di essere sintetico mi costringe a saltare alcuni passaggi che, però, possono essere recuperati da chi ne abbia voglia andando a pescare in altri luoghi di questo sito virtuale o di aspettare una trattazione più puntuale su questo particolare aspetto delle nostre antiche realtà urbane.

Noi siamo abituati ormai a omogeneizzare il passato e difficilmente siamo in grado, se non facciamo prima una selezione critica, di distinguere nella storia dell’architettura e dell’arte i contesti in cui si collocano le singole espressioni.
Però, molto spesso, ci viene da pensare che il "contesto" sia una specie di frittata in cui i sapori si amalgamano tra loro fino ad escluderci dalla possibilità di conoscere le provenienze dei singoli componenti.

Si dirà che non vale la pena di scomodare lo strutturalismo per capire le nostre croci che, in effetti, sono semplicemente colonne (spesso di riutilizzo) sulle quali sono appoggiate rappresentazioni fin troppo consuete della tradizione cristiana. Ma se si segue un certo ragionamento ci si accorgerà che anche questi elementi rientrano in una visione religiosa alla base della quale vi è una significativa interpretazione teologica frutto di complesse valutazioni che il popolo recepisce passivamente per gli aspetti formali senza necessariamente infilarsi nelle problematiche escatologiche che ne hanno determinato la loro invenzione.

Non esiste una letteratura in merito. Della presenza delle croci nei nuclei urbani abbiamo testimonianze epigrafiche limitatissime che sicuramente non possono risolvere il problema temporale della loro origine. Osservando alcune funzioni liturgiche ancora praticate più per una sorta di continuazione passiva che non per una condivisione teologica, queste colonne sono il punto di riferimento di azioni processionali che partono dall’interno di una chiesa per girarvi intorno e ritornare all’interno della medesima chiesa.
Cerimonia che spesso viene ripetuta più volte accompagnandosi con canti o recitazioni liturgiche.
Quindi la colonna assume un significato particolare perché non si tratta semplicemente di un segnale che serva a fissare un percorso obbligato, quanto piuttosto il luogo fisico su cui è collocata una croce.
Ma quella croce è punto di riferimento rispetto ad un altro luogo da cui si parte per girarvi intorno. Quel luogo è l’interno della chiesa.
Quindi queste colonne e le croci che vi si appoggiano intanto esistono in quanto nelle immediate vicinanze vi è una chiesa.

La transumanza, i Templari ed i bizantini non vi hanno nulla a che fare.

Non sappiamo come fossero organizzate le comunità cristiane più antiche o comunque quelle "ecclesie" di un’epoca sicuramente collocabile nell’alto medioevo.

Troppo spesso siamo portati a ritenere che le prime chiese avessero una organizzazione prevalentemente sociale e che gli aspetti teologici avessero un’importanza minore. Alla luce delle testimonianze archeologiche relative ai monasteri benedettini più antichi e dei siti urbani di epoca longobarda si può sostenere sicuramente il contrario.
E’ certamente vero che l’organizzazione economica di una comunità costituisce il presupposto fondamentale per la sua sopravvivenza, ma la conformazione urbanistica o semplicemente architettonica, senza necessariamente escludere le necessità economiche, sembra conformarsi piuttosto alle esigenze teologiche.

In termini più semplici sembra che la forma architettonica delle chiese più antiche (ovvero delle chiese caratterizzate dalla presenza di una cripta e dalla terminazione absidata) si ponga in un particolare rapporto con lo spazio esterno che ancora non può essere definito con il termine oggi consueto di piazza..
In effetti si tratta di piccole comunità all’interno di realtà frammentate i cui componenti erano spesso vincolati essenzialmente da rapporti di vicinato che facevano capo ad un sedile o ad una piazza o ad un borgo anche esterno alla città.
Esse prendevano il nome di Staurite per il diritto della chiesa cui facevano riferimento di innalzare una propria croce.

Ora, anche se l’innalzamento in generale delle croci molisane su una colonna sia databile indifferentemente dal XIV al XVIII secolo, la loro esistenza non può che trovare riferimenti proprio dall’antica tradizione delle Staurite.
A noi ora non interessa specificamente andare alla ricerca precisa dell’anno in cui furono innalzate le singole croci, anche se in molti casi di esse conosciamo la data, ma quale possa essere il significato che si nasconde nella loro origine che indubbiamente deve legarsi al concetto di Gerusalemme terrena che viene attribuito all’edificio ecclesiastico che si concentra nella basilica, qualunque sia la sua dimensione fisica ed il luogo della Terra in cui sia collocata.

Dunque la basilica è il luogo fisico nel quale vengono collocati i corpi dei defunti e nel quale avverrà il giudizio finale quando su di esso scenderà la Gerusalemme Celeste nella quale sono collocate le anime dei morti in attesa del giudizio.
E se l’interno della chiesa, con l’abside in cui è collocato il simulacro pittorico del Cristo Pantocratore pronto per il giudizio definitivo, rappresenta il luogo della città di Gerusalemme, la colonna con la croce non è altro che il Golgota su cui è posta la croce di Cristo ed il cranio di Adamo che, secondo la concezione apocrifa e nell’ambito di una visione escatologica del processo di salvezza dell’intera umanità, fu sepolto proprio in quel luogo.

L’azione processionale che si svolge partendo dall’interno della chiesa per raggiungere la colonna e girarvi intorno per rientrare alla fine della cerimonia non rappresenta altro che la sintesi simbolica dell’uscita da Gerusalemme per raggiungere il Golgota e ritornare nel luogo in cui si attende il Giudizio Finale.
Queste croci sono molto particolari perché, pur essendo in pietra, sono una inconsapevole monumentalizzazione delle croci astili che avrebbero avuto origine dal famoso sogno di Costantino e che furono l’occasione di straordinaria produzione degli orafi sulmonesi alla fine del medioevo.

(CONTINUA)

AGNONE
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Tra le chiese medioevali più belle del Molise certamente va compresa quella di S. Emidio in Agnone. Pur se la tradizione attribuisce la sua fondazione genericamente a mercanti di Ascoli Piceno (che invocano questo santo come protettore della loro città), un culto per S. Emidio in Agnone è attestato almeno dal XIII secolo. I caratteri stilistici della facciata la fanno ritenere con una certa tranquillità del XIV secolo, con le trasformazioni di epoca successiva che sono abbastanza evidenti.
Una croce particolarmente interessante si trova da qualche anno appoggiata sul fronte della chiesa. Che il suo sito originario non fosse questo si ricava con assoluta certezza dalla circostanza che nella faccia nascosta che si appoggia alla facciata è presente una figura in bassorilievo, sicuramente una Madonna, che si riconosce solo per il rilievo che appare nel profilo.
E’ posta su una colonna ottagonale sistemata su un capitello trecentesco capovolto ed utilizzato come base. Con una originale soluzione la sezione ottagonale della colonna diviene quadrata per formare un capitello a base quadrata sul quale si appoggia una croce polilobata che contiene l’immagine di Cristo crocifisso nella parte centrale e rispettivamente S. Giovanni e Maria nei bracci trilobati.
In alto una colomba significa lo Spirito Santo che scende in soccorso di Cristo e in basso un cranio con due ossa incrociate ricorda la tradizione apocrifa secondo cui sul Golgota era sepolto Adamo che così riceve le gocce del sangue di Cristo.

CAROVILLI
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A Carovilli la croce stazionaria si trova all’esterno del paese davanti all’antica chiesa di San Domenico di Sora. Per guadagnare le indulgenze, si girava attorno alla bella croce stazionaria dai bracci gigliati, eretta nel 1811, se è credibile la data che è scolpita sulla sua base.

CASTELPETROSO
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Pressoché identica a quella di S. Angelo in Grotte è la croce stazionaria che è sistemata davanti alla chiesa di S. Rocco sulla strada subito fuori dell’abitato di Castelpetroso verso S.Angelo.
La croce  ripete nella forma quella di S. Angelo in Grotte e non vi sono dubbi nel ritenere che sia stata fatta dallo stesso lapicida che vi ha apportato solo qualche modifica. Sul fronte rivolto verso la chiesa vi è il Cristo crocifisso con il solito cartiglio con l’INRI, S. Giovanni sul braccio sinistro e Maria su quello destro.
Sul retro le variazioni sono minime perché sul braccio orizzontale a sinistra appare la scala mentre due lance sono sulla destra insieme alla colonna della flagellazione. In basso, invece del mantello dell’Ecce Homo è posta una tunichetta.
Più raffinata la colonna su cui poggia la croce perché è formata da un capitello corinzio con collarino su un fusto liscio con una base  arricchita da cornici classiche.
Il tutto poggiante su un alto basamento dalle quattro facce riquadrate da cornici rettilinee.

CASTELPIZZUTO
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A Castelpizzuto, per entrare al paese si deve girare attorno alla colonna circolare di una croce stazionaria che è innestata su un bel capitello trecentesco. Chi le ha cementato dietro un banale lampione della luce pubblica certamente non aveva alcun interesse a consentire che quella croce continuasse ad essere il riferimento ed il limite delle processioni che iniziavano e finivano nella vicina chiesa parrocchiale dedicata a S. Agata che ancora protegge le donne dalle malattie ai seni. La chiesa è dedicata a questa santa almeno dal 1594, come ricorda la data sulla facciata, ma il protettore di Castelpizzuto è S. Attanasio. Nessun segno aiuta a capire in che anno quella croce sia stata realizzata.

CHIAUCI
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Fuori della cinta muraria difensiva vi era solo una cappella dedicata a S. Sebastiano che, come al solito, in alternativa a S. Rocco, si trova sempre nelle vicinanze di una delle porte di accesso al paese. Ampliata nel 1860 per ospitare la confraternita del Santo Rosario, la chiesa fu trasformata secondo la moda neoclassica e non sembra avere nulla di particolarmente interessante.

CIVITANOVA DEL SANNIO
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Come una croce astile è quella di Civitanova del Sannio che mostra da un lato il Cristo patiens inchiodato, con il cranio di Adamo ai piedi ed il cartiglio dell’INRI in alto. Dall’altro lato il Cristo triumphans, benedicente, con la scritta Salvator, i quattro simboli del Tetramorfo (ovvero i simboli degli evengelisti) sui quattro bracci e l’Agnello crucifero al vertice. Cola di Civitanova l’aveva fatta scolpire per ricordare, non solo a Dio, che nel 1441 egli aveva commissionato quell’opera, con il beneplacito dell’Università locale che volle essere presente con lo stemma civico (quello che oggi non è più in uso) fatto da una fascia doppiamente cuneata in capo e tre palle nel campo inferiore.

FROSOLONE

Gran parte della chiese molisane, anche se di origine più antica, nel XVIII secolo furono modificate in facciata. Spesso con la formazione di un cornicione semiellittico accoppiato a due quarti di ellisse laterali, secondo un carattere stilistico molto particolare per essere diffuso in quell’epoca da Frosolone fino a Venafro, come la chiesa di S. Rocco. Assolutamente originale la croce stazionaria a forma di piramide affusolata con la sfera sulla punta che le sta davanti.

A Frosolone davanti alla Madonna delle Grazie vi è un’altra colonna con una tipica croce polilobata che è datata precisamente al 1732.

Sicuramente più consueta quella che ora si trova nel luogo dell’antica chiesa di S. Pietro Apostolo. Qui la data 1660 ricorda l’anno di realizzazione e la sottostante data 1825 ricorda che fu ricostruita dopo il funesto terremoto del 1805 che aveva fatto crollare anche al chiesa. Da un lato della cornice polilobata è il Crocifisso con i bracci che si concludono in forma cherubini e lo Spirito Santo raggiato che piomba dall’alto in forma di colomba. Sull’altro lato della Croce sta la Madonna Immacolata poggiata su una mezzaluna. Due leoni, una volta stilofori, fanno intuire che l’antica chiesa di S. Pietro era dotata di un protiro di cui si è persa ogni traccia.

GAMBATESA

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Nel 1701, ad opera del vescovo di Benevento Francesco Orsini (che, divenuto papa con il nome di Benedetto XIII, volle continuare a tenere il titolo di vescovo di Benevento) l’intitolazione a S. Nicola fu trasferita nella chiesa che si trovava subito fuori del paese e che originariamente era dedicata a S. Sebastiano.
Sul sagrato, poggiante su una colonna ottagonale, vi è una bella croce stazionaria che reca, a rilievo, da una parte Cristo crocifisso con le immagini di Maria e S. Giovanni sul braccio orizzontale e quelle dell’Angelo e del cranio di Adamo su quello verticale. Nella parte opposta il Cristo trionfante della Rivelazione con i simboli del Tetramorfo e degli evangelisti: L’Angelo, il Bue, il Leone, l’Aquila. E’ tra quelle più antiche della regione e ripete il carattere dell croci astili di provenienza abruzzese. Non esistono elementi per la sua datazione se non il carattere stilistico che la fa collocare alla fine del XIV secolo (A. TROMBETTA, Arte nel Molise attraverso il Medioevo, Cava dei Tirreni, 1984)

ISERNIA
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A Isernia l’unica croce stazionaria sopravvissuta è oggi malamente conservata all’interno del piazzale di un deposito di attrezzi per la nettezza urbana. Non ho elementi per dire dove esattamente fosse collocata in origine, ma molto probabilmente era davanti alla scomparsa chiesa di S. Ippolito di cui si ricorda l’esistenza solo nel nome della via che passa davanti all’Ospedale, nelle vicinanze della Taverna di Rufo.
E’ costituita da una colonna circolare in travertino (quindi una pietra locale) dalla base e dal capitello in forme neoclassiche che fanno ipotizzare una sua realizzazione ai primi del XIX secolo. Della croce originaria rimane un ferro arrugginito conficcato nella sfera che nella tradizione iconografica cristiana rappresenta l’universo su cui si colloca il simbolo del sacrificio di Cristo.

LONGANO
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Fuori dell’antico abitato di Longano sorge la chiesa a forma di tricora dedicata a S. Rocco. Rifatta in forme neoclassiche è sicuramente più antica, come sembrerebbe dalla croce stazionaria trecentesca la cui cornice circolare e la sottostante colonnina ottagonale sono murate in una vicina casa privata.

MACCHIAGODENA
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Davanti alla chiesa di S. Lorenzo sta ferma una bella croce stazionaria. La data del 1719, che si legge sul dado che regge la colonna, probabilmente si riferisce ad un suo rimontaggio, perché il carattere stilistico del Cristo Crocifisso e delle terminazioni trilobate farebbero pensare ad un’epoca più antica. La particolarità di questa croce, però, sta nel fatto che nella parte retrostante, verso la chiesa, non vi è la solita immagine del Cristo Trionfante o della Madonna Regina, ma quella del diacono Lorenzo che regge la graticola che servì per il suo martirio.

PESCHE
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Uscendo dalla chiesa di S. Maria del Rosario, una volta S. Croce, si apprezza la scenografica scalinata settecentesca che nel tempo ha risolto i notevoli problemi di differenza di quota permettendo ai fedeli di muoversi in processione per guadagnare indulgenze nel girare attorno alla croce stazionaria. Oggi questa è imprigionata assurdamente da un moderno sistema di cancellate e di muretti che l’hanno ridotta ad un anonimo elemento di arredo urbano. La croce, dai bracci con terminazioni trilobate, è assolutamente liscia e la sua base reca semplicemente la data 1736.

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Da questo punto, seguendo un’erta salita, si arriva alla fontana pubblica. Salendo ancora, superata una delle porte della parte alte del nucleo più antico, si raggiunge una piazzetta che domina la sottostante piana, fino ad Isernia. La particolarità di questo slargo è la serie di croci stazionarie che fanno da griglia visiva. Ne sono cinque, tutte diverse tra loro, poggianti su esili steli di pietra. Nessuna data ci permette di fissare l’epoca della loro realizzazione.

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La prima, dai bracci a terminazione di picche, presenta sulla faccia un calice sormontato da un cuore fiammeggiante e due iniziali VN/VC. Della seconda sopravvive solo l’asse verticale. La terza, l’unica su colonna circolare di provenienza romana, ha i bracci come la prima. Vi si vede il Cristo crocifisso con le braccia a Y con il sottostante cranio di Adamo. La quarta è la più semplice perché non ha alcun segno e le terminazioni dei bracci sono a punta. La quinta ha le terminazioni trilobate (su cui sono incise le iniziali VC/VM) con l’asse verticale che si allarga in forma quasi piramidale. Credo che una volta esse fossero singolarmente collocate davanti alle varie chiese scomparse di Pesche e poi siano state opportunamente raccolte in questo luogo.

POGGIO SANNITA
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Uscendo da Poggio Sannita, anticamente Caccavone, si raggiunge la chiesa della Madonna delle Grazie. Qui, in un caotico sistema di strade moderne, la colonna circolare di una croce stazionaria, ormai quasi dimenticata in una scarpata a lato del piazzale, ammonisce chi ha voglia di farsi ammonire, che una volta l’esterno della chiesa era sacro come il suo interno.

RIPABOTTONI
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Il carattere del basamento ottagonale che sorregge la colonna circolare fa ritenere che questa croce così come la vediamo sia frutto di una ricomposizione. Si può sostenere con sufficiente sicurezza che in origine fosse posta in altro luogo di Ripabottoni e sarei propenso a ritenere che il suo spostamento sia avvenuto nel XIX secolo in coincidenza di lavori di sistemazione delle aree antistanti la chiesa dell’Assunta. Probabilmente in origine era costituita solo dalla parte circolare della colonna.
La parte più antica è costituita in basso da un toro poggiante su un dado quadrato e in alto da un capitello vagamente corinzio.
La croce dai bracci polilobati presenta su una faccia l’immagine di Cristo crocifisso con ai lati le consuete figure di S. Giovanni a sinistra e la Madonna a destra.
In alto sembra di riconoscere la testa di un cherubino con le ali incrociate.

ROCCAMANDOLFI
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A Roccamandolfi un angolo urbano si caratterizza per un grande arcone che accoglie un croce stazionaria tra le più belle del Molise. Certamente sul piano scenografico la meglio collocata. Una croce di assoluta semplicità nel suo sviluppo simbolico dove la rigida articolazione degli scalini circolari si richiamano ad una geometrica interpretazione del Golgota e la squadrata perimetrazione dei sedili su tre lati evoca la comunità dei cristiani che si raccoglie attorno ad un Cristo Crocifisso racchiuso in una cornice circolare gotica poggiante su una sfera che è simbolo dell’Universo. Davanti il Cristo sofferente, sulla parte retrostante l’immagine del Cristo trionfante. Non si sa dove fosse collocata in origine.

ROCCASICURA
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I pezzi di una croce stazionaria ignobilmente smembrata è collocata in un giardino di una casa moderna senza che si sappia più il luogo di provenienza.

SALCITO
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Sicuramente difficile capire l’epoca di realizzazione della croce che sta fuori dell’abitato di Salcito. Sulla base quadrata da una parte appare la data 1595. Dalla parte opposta, invece, una epigrafe ricondurrebbe la sua realizzazione al 1881: VERA DIVOZIONE DELLA CROCE 1881.
Probabilmente a quella data corrisponde uno spostamento della croce che, anche in questo caso, probabilmente era originariamente collocata in altro luogo.
Su una faccia della croce polilobata vi è il Cristo crocifisso. Sui bracci sono rappresentati i simboli della passione. Lull’altro lato, al centro sta l’immagine della Madonna in piedi con il Bambino in braccio. Sui bracci della croce, che poggia su un capitello corinzio, tre grandi rose abbottonate. La colonna è rotonda ed ha un toro che appoggia su una sottile base quadrata.

SANT’AGAPITO
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A S.Agapito, non appena si sbuca verso l’esterno da uno dei pochi varchi della corona urbana medioevale, si passa per lo slargo della cosiddetta Croce bizantina, che di bizantino non ha proprio nulla, ma che costituisce un riferimento sicuro nella struttura stradale del paese. E’, come le altre croci stazionarie del Molise, un collage di pezzi di varie epoche con una colonna romana su cui si appoggia un capitello corinzio che regge una croce liscia dai terminali polilobati. Eè molto simile a quella che si trova davanti alla chiesa della Madonna del Rosario di Pesce e pertanto la sua realizzazione è collocabile negli anni Trenta del XVIII secolo.

S. ANGELO IN GROTTE
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A S. Angelo in Grotte, nel comune di S. Maria del Molise, una croce stazionaria è all’ingresso del paese dove era la chiesa di S. Barbara. Ha, secondo il modo più solito, i bracci con terminazioni polilobate. Sulla faccia principale vi è un Cristo crocifisso con i piedi inchiodati che sembrano poggiare sui capelli di una testa di cherubino. A sinistra e destra, su  cornici quadrilobate sono poste le immagini di Giovanni Evangelista e della madre Maria. Sul braccio centrale il cartiglio dell’INRI e più in alto il rozzo profilo di una colomba.
Sull’altro lato sono alcuni simboli della passione di Cristo: una scala e la canna con la spugna inacetata nel braccio di sinistra, i chiodi ed un martello in alto di quello centrale, il mantello dell’Ecce homo in basso, una spada e una fune attorcigliata alla colonna della flagellazione. Al centro un croce semplice poggiante su tre monticelli. Dalle lettere malamente sopravvissute della cornice sappiamo che fu un certo Bartolomeo il committente dell’opera.

S. GIOVANNI IN GALDO
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Come altre croci anche quella di S. Giovanni in Galdo sembra sia stata spostata da un altro luogo. Inserita tra due piccole teste a rilievo, la data 1775 che appare sul fronte della crocifissione attesta inequivocabilmente l’anno in cui fu realizzata. L’esile pilastro su cui si appoggia, sebbene abbia la base quadrata, è ottagonale. La croce, secondo il solito, è polilobata. Da un lato vi è l’immagine del Cristo i cui piedi appoggiano sul cranio di Adamo. In alto è il cartiglio con l’INRI.
Sul retro è l’immagine della Madonna Assunta con le braccia aperte e portata verso il cielo da una testa di cherubino ad ali spiegate che le sta sotto i piedi.

SESSANO DEL MOLISE
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Fuori dell’abitato, nei pressi della moderna casa di cura che è denominata "Cittadella di Padre Pio", sorge dal 1618 la piccola chiesa dedicata a S. Maria degli Angeli. Lo attesta la data posta sull’architrave sormontato anche dallo stemma che appartenne alla famiglia Castagna che in quell’epoca era feudataria di Sessano. Sul sagrato notevole è la croce stazionaria, sicuramente diversa dalle altre coeve che si trovano nel territorio. I bracci dalle terminazioni trilobate farebbero pensare ad una esecuzione più antica di quanto segnali la pietra basamentale dove è riportata la data del 1735. Su una faccia è la rappresentazione del Cristo crocifisso con un Angelo in alto, S. Pietro e S. Paolo ai lati e la Madonna che è ai piedi. Dall’altro lato la parte centrale è occupata dall’immagine della Madonna con un personaggio che indossa una tunichetta con una calzamaglia nella parte alta della Croce, mentre a destra e sinistra sono rappresentati due monaci incappucciati. Il collarino del capitello porta una serie indecifrabile di lettere SADMSGIIII. Il tutto poggiante su una esile colonna circolare.

VENAFRO
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Croce stazionaria davanti a S. Nicandro di Venafro.
La notizia più antica sui Santi Nicandro e Marciano deriva indirettamente dal Breviarium Syriacum del 411 dove si racconta del loro martirio avvenuto nel 303 nella Mesia ad opera di Galerio Massimiano a seguito dell’editto di Diocleziano contro i cristiani. Se una certa letteratura esiste sulle vicende dei Santi, nessuna notizia sicura sull’origine della chiesa ci è pervenuta. Sicuramente un luogo di culto ove si conservavano le reliquie dei Santi Martiri, e che potrebbe anche coincidere con la basilica attuale, esisteva già nell’VIII secolo, perché il duca Arechi II (758-778), quando costruì la grande basilica di S. Sofia a Benevento, vi fece trasferire un braccio del corpo di S. Nicandro. Alcune reliquie in quell’epoca furono portate anche nella chiesa di Montevergine.
La croce stazionaria che si trova a qualche decina di metri dall’attuale portale è molto simile a quella di via S. Ippolito ad Isernia e il suo carattere fa immaginare che sia stata realizzata tra il XVIII e XIX secolo. Non vi è riportato alcun elemento epigrafico che possa far capire l’epoca precisa di realizzazione e chi ne sia stato il committente.

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Croce stazionaria a lato della Cattedrale di Venafro
Secondo Cosmo De Utris (C. DE UTRIS, Gli annali di Venafro, ms. XIX sec., Vol.I) la grande pietra circolare su cui poggia la colonna della croce stazionaria è uno degli elementi che attesterebbe che la cattedrale di Venafro fosse impiantata su un tempio che in origine diversamente orientato: Il fronte del tempio antico de Gentili era verso mezzo giorno di rimpetto l’ara o sia grande pietra rotonda col cerchio di rilevato che ancora vi si osserva, e le colonne dell’atrio anche si vedono in quella parte. Col tratto del tempo si rifabricò la Chiesa, ed il suo fronte fù rivolto verso Oriente giusta il rito de Cristiani, a differenza de Gentili che lo ponevano a mezzo giorno. Col sasso quadrato fù rifatto quel lato di Chiesa che prima erano al fronte del Tempio…
Si tratta di una grande pietra erratica che contiene un canaletto circolare che ha fatto ritenere che si trattasse di un’ara per sacrifici e che il solco rozzamente scanalato servisse a raccogliere il sangue delle vittime.
In realtà si tratta di un blocco calcareo che doveva essere ancora lavorato definitivamente per diventare la base di una grande colonna. Era stato semplicemente sbozzato e nella parte superiore si era tracciato il primo segno del cerchio che avrebbe dovuto costituire il riferimento geometrico per il lapicida.
In epoca successiva, e non sappiamo esattamente quando, su questa base fu inserita una colonna granitica proveniente da un tempio romano per divenire la base di una croce stazionaria nelle immediate vicinanze del portale laterale della cattedrale.
La croce metallica che ancora malamente vi si vede non reca alcun elemento utile per capire da chi sia stata commissionata.

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Altre croci si trovano nel territorio Molisano come quella di Torella del Sannio o di Gildone o di S. Biase di cui riporto immagini tratte dai volumi di Wanda e Carmen Conte, di Salvatore Ricciardelli e di Michele Tanno.

 

 

L’AUTORE

 

Franco Valente, architetto, è nato nel 1946 a Venafro dove ha frequentato il liceo classico e dove vive.
Laureato con lode in architettura a Roma con una tesi sul restauro del Centro Antico di Venafro, ha collaborato al corso di Restauro di Gaetano Miarelli-Mariani alla Facoltà di Architettura.

E’ l’esecutore di uno dei grappoli di uva sulla facciata della facoltà di Valle Giulia ed ha fatto parte del gruppo che piantò l’albero di fico nel cortiletto dell’Aula A (1968).

E’ stato eletto quattro volte Presidente dell’associazione culturale "Il Gruppo di Venafro" che dal 1968 si preoccupa della tutela e della salvaguardia del patrimonio artistico e culturale del Molise ed attualmente ne è il Presidente.

Dal 1976 è Direttore Generale dell’IACP della Provincia di Isernia.

E’ stato eletto due volte Presidente dell’Ordine degli Architetti della Provincia di Isernia.

E’ stato Ispettore Onorario per i Beni Culturali per la Valle del Volturno e componente della Commissione Provinciale del Ministero per i Beni Culturali per la formazione dei vincoli ex lege 1497/39.

E’ stato Direttore Onorario Reggente della Biblioteca Storica Comunale di Venafro "De Bellis-Pilla"

E’ Direttore Onorario di Palazzo De Utris, centro di Coordinamento Culturale per il Centro Storico di Venafro

E’ Vice-Presidente della sezione molisana dell’Istituto Italiano dei Castelli.

E’ componente del Consiglio Scientifico Nazionale dell’Istituto Italiano dei Castelli.

Ha pubblicato i seguenti volumi di storia dell’architettura, dell’arte e dell’urbanistica:
VENAFRO – Origine e crescita di una città – (400 pagg.) – 1979 (1.000 copie – esaurito)
ISERNIA – Origine e crescita di una città – (400 pagg.) – 1982 (2.000 copie – esaurito)
IL CASTELLO DI VENAFRO (insieme a G. Morra) – (160 pagg.) – 1992 (2.000 copie – esaurito – Ristampate 1.000 copie nel 1999)
S. VINCENZO AL VOLTURNO – arte e architettura – (196 pagg.) – 1995 (3.000 copie in italiano – esaurito – 1.000 copie in inglese)
ALBRECHT DURER E SUOI CONTEMPORANEI (insieme a D. Cimino) – (64 pagg.) – 1998 (2 ristampe 1.000 copie)
LUOGHI ANTICHI DELLA PROVINCIA DI ISERNIA (150 pagg.) (2.000 copie – esaurito) – 2003
IL CASTELLO DI GAMBATESA (192 pagg.) (2.000 copie – esaurito)

Ha in corso di pubblicazione o in preparazione:
CASTELLI, ROCCHE E CENTRI FORTIFICATI DEL MOLISE
ARCHITETTURA ED ARCHEOLOGIA NEL MOLISE: QUALE TUTELA?
IL CASTELLO DI MONTERODUNILE CHIESE DI VENAFRO
CAPIRE PIETRABBONDANTE – architettura ed urbanistica
I SANNITI
I NUCLEI URBANI FORTIFICATI NELLE TERRE DI S. VINCENZO
LUOGHI ANTICHI DELLA PROVINCIA DI CAMPOBASSO

Ha pubblicato numerosi saggi tra i quali:
1972 – Nel borgo medioevale di Venafro
1975 – Il XVII secolo a Venafro
1976 – Enrico Pandone personaggio del Cinquecento
1977 – La Cattedrale e le formelle dell’Annunziata di Venafro
1978 – Reliquiarii trecenteschi a Venafro, Isernia e S. Pietro Avellana
1982 – Isernia tra V e X secolo
1983 – Le terre di S. Vincenzo ed il Castello di Cerro al Volturno
1984 – Gli affreschi di S. Maria delle Grotte a Rocchetta
1985 – Architettura ed iconografia cristiana a S. Vincenzo al V.
1986 – Il territorio di Colli a Volturno
1987 – Teatri ed anfiteatri romani nel Molise
1988 – L’impianto urbanistico della Venafro romana
1989 – Il mito di Issione in una pietra di Isernia
1989 – Considerazioni sull’archeologia venafrana
1990 – Appunti per una storia dell’arte nel Molise
1990 – Castelli, rocche e cinte fortificate nel Molise
1991 – Da Creta a Pietrabbondante – I parte
1992 – Da Creta a Pietrabbondante – II parte
1994 – Battista della Valle e la cultura militare del 500
1998 – I Sanniti – Tra mito e storia
2001 – Francesco Lucenteforte
2001 – Il castello di Pentime
2002 – L’Abate Desiderio e l’architettura del Molise
2002 – Un castello per venti cavalli. Il Castello di Venafro
2003 – La rocca di Roccapipirozzi
2005 – Le pitture della Cripta dell’Annunziata di Jelsi

Ha scritto su numerose riviste specializzate occupandosi di arte, architettura ed urbanistica.

Ha progettato e diretto lavori di recupero di grandi parti dei seguenti Centri Storici molisani:
Venafro, Carovilli, Miranda, Pietrabbondante, Roccapipirozzi, S. Agapito, Vastogirardi.
E’ responsabile dei lavori di Restauro dell’antica Abbazia di S. Vincenzo al Volturno.
E’ stato Progettista e Direttore dei Lavori del restauro del Castello Pignatelli di Monteroduni.
E’ stato progettista e direttore dei lavori di consolidamento e parziale restauro del Castello di Macchia d’Isernia.
E’ Progettista e Direttore dei Lavori del Museo delle tradizioni popolari a S. Pietro Avellana
E’ Progettista del Restauro dell’Anfiteatro di Venafro.
E’ stato coordinatore della Progettazione degli interventi di riparazione del nucleo antico di Casacalenda
E’ progettista del recupero e della riparazione del Castello di Rotello
Collabora al restauro del Castello di Letino (CE) e del Centro Antico di S. Pietro Infine (CE)
Ha collaborato al Piano di Recupero del Centro Storico di Venafro.
E’ progettista e direttore dei lavori per il recupero mediante consolidamento e risanamento igienico-funzionale nel Centro storico di Venafro di circa 40 appartamenti dell’IACP.
Nel centro storico di Venafro ha progettato e diretto lavori di recupero di immobili vincolati ex-lege 1089/39: Palazzi De Utris, Fiondella, Colicchio, Mancini, Del Prete, Macchia-Nola, De Lellis-Vitale, Armieri, Siravo.

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