Albergo diffuso, “destagionalizzazione” del turismo



Albergo diffuso, "destagionalizzazione" del turismo

ROMA – Se ne parla da tempo e spesso la conoscenza è più basata sul "sentito dire" che non sull’esperienza diretta. Eppure il fenomeno degli "alberghi diffusi", emerso un decennio fa, è in rapida crescita. Soprattutto in quelle aree meno battute dai tradizionali flussi turistici.

Per capire, in sintesi, di cosa stiamo parlando, può essere utile la definizione di un dizionario qualificato della lingua italiana come lo Zingarelli. Alla voce "albergo diffuso" sentenzia: "Complesso di piccole strutture alberghiere dislocate in edifici vicini con servizi di ricevimento, ristorazione e amministrazione unificati". Quindi, quale albergo, presenta le caratteristiche classiche della ricettività: dispone di alcune camere, di un servizio di accoglienza (da 10 a 16 ore al giorno), di un servizio di ristorazione (interno o su convenzione), di prestazioni di assistenza diurna, serale e notturna.

Ma tale tipologia di ricettività si differenza da quella di un albergo tradizionale, ma anche di un agriturismo o di un residence, in primo luogo per il "contesto" coinvolto.

Giancarlo Dall’Ara, docente di marketing turistico all’Università di Perugia e consulente di numerosi enti locali, è considerato il padre della materia, colui che per primo ne ha sviluppato il modello. Preziosa, allora, la sua spiegazione.

Per Dall’Ara, un albergo diffuso è composto innanzitutto da un complesso di case collegate tra loro, precisamente "da minimo due edifici dai quali è possibile raggiungere il punto di accoglienza e la sala colazioni a piedi, in modo rapido ed agevole, senza essere costretti ad usare la macchina per fare colazione". Abitazioni e camere non pensate per i turisti – precisa Dall’Ara – ma per i residenti: quindi vani più spaziosi ed in grado di garantire maggiore privacy. Dall’Ara va oltre. L’albergo diffuso, secondo l’esperto di marketing, è composto da due reception: una interna, cioè le case che costituiscono "in rete" la ricettività vera e propria, ed una esterna, il paese che le ospita. E qui sta la novità: nelle ampie possibilità di interazione con gli abitanti e di animazione in stile locale, cioè un intero paese coinvolto in un progetto turistico attraverso la propria storia, la propria cultura, la propria tradizione.

Ecco allora che il presupposto di un buon albergo diffuso non è legato soltanto alla capacità imprenditoriale dei promotori ma soprattutto alla loro propensione alla cooperazione e al coinvolgimento attivo dei soggetti presenti nel territorio: oltre ai proprietari delle case, che danno vita a questa originale formula di ricettività, anche i ristoratori locali, le aziende agricole, i laboratori artigiani, le società di servizi, gli organizzatori di eventi, i comunicatori, gli enti locali, chiamati ad esempio a concedere in uso i locali di accoglienza. Insomma tutto un complesso di soggetti che costituisce il "prodotto-paese".

L’albergo diffuso finisce per essere non soltanto un modello di ospitalità originale ma anche uno strumento di sviluppo turistico del territorio.

Se il termine "albergo diffuso" ha origine in Friuli nel 1982, all’interno di un gruppo di lavoro che aveva l’obiettivo di recuperare turisticamente case e borghi ristrutturati a seguito del terremoto degli anni settanta, il modello di ospitalità "albergo diffuso" è stato messo a punto da Giancarlo Dall’Ara per essere calato perfettamente nelle caratteristiche "calde e relazionali" dell’ospitalità italiana. E’ stato riconosciuto in modo formale per la prima volta in Sardegna con norme che risalgono al 1998.

Le realtà locali, specie quelle meno toccate dai maggiori flussi turistici, sono rimaste affascinate da una proposta concepita per offrire agli ospiti l’esperienza autentica e naturale di vita di un centro storico di una città o di un paese, potendo contare su tutti i servizi alberghieri. Cioè su accoglienza, assistenza, ristorazione, spazi e servizi comuni per gli ospiti. In sostanza l’ospite alloggia in case e camere che distano non oltre 200 metri dal "cuore" dell’albergo: lo stabile nel quale sono situati la reception, gli ambienti comuni, l’area ristoro.

Altro aspetto importante, sottolineato con forza dai promotori, è la "sostenibilità" del modello, legato ad un vero e proprio "stile di vita" basato sulla serenità sociale e sulla qualità totale: non essendo necessarie nuove costruzioni ma soltanto il recupero e la riorganizzazione dell’esistente, non c’è infatti alcun impatto ambientale. Inoltre può offrire un contributo per evitare lo spopolamento dei borghi, rivitalizzando attività ricettive e professionali.

La proposta dell’albergo diffuso, inoltre, si muove nella direzione di recupero del patrimonio artistico e culturale dei centri minori, perseguito con tenacia sia dalla politiche comunitarie sia da quelle nazionali e locali, valorizzando la potenzialità per incrementare il reddito e l’occupazione dei piccoli centri, per mantenere o incrementare la popolazione, senza contaminare cultura, ambiente, identità dei luoghi.

Infine la dimensione complessiva dell’albergo diffuso permette di articolare la proposta (è ampia la gamma delle opzioni in termini di comfort, di caratteristiche architettoniche, di ubicazione), di personalizzare i servizi, di aumentare il coinvolgimento degli ospiti, di avviare il processo di fidelizzazione e di sviluppare il passaparola.

In Italia opera da anni l’Associazione nazionale degli alberghi diffusi (Adi), promossa dallo stesso professor Dall’Ara. Il sodalizio ha sede a Campobasso (cell. 338-6719153).

Nei giorni scorsi l’Adi, in occasione dell’incontro nazionale degli alberghi diffusi promosso ad Urbino, ha effettuato una ricerca sul fenomeno con lo scopo di realizzare la radiografia di tale modello di ospitalità sempre più di tendenza.

L’indagine ha messo in luce alcuni interessanti aspetti che caratterizzano questa innovativa formula di ospitalità. In primo luogo la destagionalizzazione: cioè le strutture ricettive orizzontali, che forniscono tutti i servizi alberghieri agli ospiti, lavorano tutto l’anno indipendentemente dal clima e dalla posizione geografica. Gli alberghi diffusi lavorano sia con il turismo individuale sia con il turismo organizzato. Quest’ultimo proviene principalmente dai tour operator (canale che incide per circa il 22% della clientela degli alberghi che lavorano con il turismo organizzato), di poco inferiore il ruolo delle agenzie di viaggio (15%). L’attività di comunicazione è affidata prevalentemente ad internet e al passaparola, considerati come canali di marketing rispettivamente dal 90% e dall’80% delle strutture. Per quanto concerne i tempi di prenotazione, a fronte di una quota superiore al 55% di prenotazioni a ridosso di data, gli alberghi diffusi possono contare anche su un 35% di clientela che preferisce muoversi con discreto anticipo. Nell’80% dei casi il soggiorno dura in media dalle 2 alle 3 notti; nel 20% dei casi la durata media è dalle 3 alle 6 notti.

Riguardo infine alle risorse umane, la metà dei titolari degli alberghi diffusi proviene dal settore alberghiero, l’altra metà è alla prima esperienza in campo ricettivo. Il 50% dei gestori è laureato, il 50% conosce lingue straniere, il 30% frequenta corsi d’aggiornamento.

Spiega il professor Dall’Ara: "L’albergo diffuso è un po’ casa e un po’ albergo, per chi non ama i soggiorni in hotel. L’aggettivo "diffuso" denota dunque una struttura orizzontale, e non verticale come quella degli alberghi tradizionali che spesso assomigliano ai condomini. L’albergo diffuso si rivolge ad una domanda interessata a soggiornare in un contesto urbano di pregio, a vivere a contatto con i residenti, più che con gli altri turisti, e ad usufruire dei normali servizi alberghieri, come la colazione in camera o il servizio ristorante. L’albergo diffuso si è rivelato particolarmente adatto per valorizzare borghi e paesi con centri storici di interesse artistico ed architettonico, che in tal modo possono recuperare e valorizzare vecchi edifici chiusi e non utilizzati, ed al tempo stesso possono evitare di risolvere i problemi della ricettività turistica con nuove costruzioni".

In Molise la presenza di alberghi diffusi soci dell’Associazione è particolarmente rilevante. Si va da Palazzo Ducale Carafa di Jelsi alla Locanda Alfieri e alla Residenza Sveva a Termoli, dalla Sorgente di Macchiagodena fino alla Piana dei mulini di Colle d’Anchise.

Nel Lazio sono due: il Settelune di Montelanico, a sessanta chilometri da Roma verso la Ciociaria e Villaretrosi ad Amatrice, provincia di Rieti.

(Giampiero Castellotti)

 

 

L’immagine in alto è di Jelsi (Campobasso). Quella centrale è della struttura "La piana dei mulini" di Colle d’Anchise (Campobasso). In basso un particolare di Agnone (Isernia). 

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