“Sotto la minaccia di diecimila Vajont”



"Sotto la minaccia di diecimila Vajont"

CAMPOBASSO  – Le dighe sottoposte al controllo del Servizio Nazionale sono soltanto 800, mentre circa 10 mila invasi sfuggono a questa manutenzione ordinaria perché considerate dalla legge non sufficientemente grandi. Per rientrare tra quelle vigilate le dighe debbono infatti superare i 15 metri di altezza o contenere almeno 1 milione di metri cubi d’acqua: una situazione che taglia fuori dal controllo la maggior parte degli invasi in tutto il Paese e mette a rischio la popolazione», rivela Lucio Ubertini, docente di Costruzioni Idrauliche alla Sapienza di Roma.

«Si tratta – sottolinea l’ex presidente del Gruppo nazionale per la difesa dalle catastrofi idrogeologiche, già direttore dell’Istituto di Ricerca per la protezione idrogeologica – di potenziali bombe d’acqua che richiedono una manutenzione accuratissima se si vogliono evitare disastri come il Vajont e Stava».

Non è tutto: «Oltre un terzo delle grandi dighe presenti in Italia ricadono in zone classificate sismiche; molte di queste sono state progettate e realizzate in assenza di specifiche verifiche nei confronti dei carichi sismici». Infine: addirittura un centinaio sono prive di collaudo, ma risultano attive – grazie ai nulla osta governativi – in regime ultraventennale di provvisorietà. In sostanza: nessun controllo sistematico ed elevata pericolosità.

In Molise la diga del Liscione di acqua ne contiene a volontà. È stata costruita dal 1967 al 1974. Tira avanti con un’ autorizzazione del ministero Lavori Pubblici risalente al 10 gennaio 1977. Particolare non trascurabile: «La struttura non è mai stata collaudata», conferma l’Ente risorse idriche Molise. L’Erim ha segnalato – in forma riservata e segreta – alla prefettura di Campobasso che l’onda di piena dell’invaso potrebbe spazzare a mare l’intera valle del Biferno, ove ci sono molti centri abitati, tra cui Termoli, una cinquantina di industrie – tre delle quali di natura chimica ad elevato rischio ambientale secondo la direttiva Seveso – lo stabilimento Fiat e la centrale Sorgenia. Soltanto il 27 maggio 2008, con disciplinare numero 163, l’Azienda speciale della regione Molise ha pubblicato il bando «Collaudo statico delle opere con funzione resistente della diga del Liscione».

Nel capitolato speciale d’appalto si legge: «Al fine dell’emissione del certificato di collaudo previsto dall’art. 14 del DPR 1363/59 da parte della Commissione collaudatrice, è necessario acquisire e fornire alla medesima Commissione il certificato di collaudo statico». Il finale è tutt’altro che rassicurante: «Il collaudo sarà eseguito in base alle norme vigenti negli anni ’60 in cui fu eseguita la progettazione della diga».

Non è l’unico caso. Solo a qualche chilometro in linea d’aria, ma in Puglia, sorge la diga del Fortore. «Nella provincia di Foggia, comunque colpita dal terremoto, seppure non compresa nel decreto, c’è un allarme crescente e – temo – motivato, relativamente allo stato della diga di Occhito, che è a due chilometri dal paese di Carlantino. La diga è entrata in funzione agli inizi degli anni ’70 e non è mai stata collaudata. L’invaso della diga ha una capienza di 300 milioni di metri cubi, ma finora, proprio a causa del mancato collaudo, è stata riempita fino ad un massimo di 180 milioni di metri cubi», scrive in un’interrogazione parlamentare il senatore Pagliarulo.

Sempre nel 2002, il professor Giuseppe Spilotro, ordinario di Geologia applicata presso l’università della Basilicata, annota in uno studio: «La frana di Carlantino minaccia il lago di Occhito». Qui, proprio nell’area sensibile, le regioni Puglia e Molise intendono costruire la diga di Piano dei Limiti. La mano dell’uomo non perdona. Da Nord a Sud i dati del ministero dell’Ambiente raggelano: «Ammontano a 6.633 i comuni con zone ad elevato rischio idrogeologico, per una superficie totale di 29.517 chilometri quadrati».

Nell’Italia dai piedi d’argilla, la Cassa per il Mezzogiorno ha finanziato ben 12 dighe e progettate 35 senza che finora esse abbiano fornito una sola goccia d’acqua, per una spesa complessiva di 2 mila miliardi di lire. In caso di pioggia persistente o improvvisa gli invasi incompiuti e quelli privi di verifiche, tecnicamente obsoleti ed insicuri, mai sottoposti a collaudo e controlli tecnici adeguati, potrebbero sbriciolarsi cancellando vite umane e infrastrutture.

L’invaso di Campolattaro – progettato nel 1960 – rappresenta un grave fattore di rischio per un’ampia area del beneventano. E’ arduo comprendere come un bacino, che avrebbe come livello massimo dell’acqua 380 metri sul livello del mare, possa servire a irrigare terreni che si trovano sopra i 400 metri d’altitudine. La parte destra della diga, realizzata in terra e non in cemento armato, è stata sottoposta a uno studio della facoltà di geologia di Benevento, perché frana. Sotto l’invaso si trova l’area di sviluppo industriale della città. L’acqua dovrebbe giungere dal Tammaro, che negli ultimi anni ha subito continue captazioni e derivazioni.

(Gianni Lannes – La Stampa)

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