E se il voto a “fratecugine” battesse quello di protesta?



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Sono ore febbrili nell’abitualmente placido e sonnacchioso Molise. Probabilmente nemmeno un guru del marketing avrebbe potuto avvalorare una tornata amministrativa nella più piccola regione del Mezzogiorno come un test – e che test – per il governo nazionale. Ammesso che lo diventi. Perché, onestamente, con questi quarti d’ora che stiamo vivendo, ci crediamo poco. Ma illudersi non costa nulla.

E chi avrebbe potuto profetizzare, più proficuamente per i destini regionali, l’occasione del 22 aprile 2018 per l’accensione di splendidi e inaspettati siparietti per la promozione del territorio? Una saga di lettere ai giornali, editoriali, dichiarazioni, filmati per sottolineare una regione piccola ma inaspettatamente “bellissima”. Non solo frasi di circostanza – ed un po’ ruffiane – dei big politici catapultati dall’alto sulle montagne tra Campobasso e Isernia. Colpiscono, viceversa, le cronache di inviati e di opinionisti delle maggiori testate nazionali, condite di riferimenti storici, artistici, paesaggistici. Chissà quanti libri riaperti per l’occasione, o il solito clic su Wikipedia (ma, lo affermiamo da generazione analogica, certamente meno affidabile).
Prendiamo quello che ha fatto egregiamente (e inconsapevolmente) Diego Bianchi, in arte Zoro. Ha compiuto un goloso tour gastro-ideologico tra Termoli, Bojano, Macchiagodena e Vastogirardi, trasmesso nella sua trasmissione “Propaganda live” su La7. Variopinto e succulento itinerario per fortuna al di fuori dell’immancabile diktat dell’assessore di turno, con obblighi di Alto o Basso Molise a seconda dei natali e dei feudi elettorali. Beh, con sana ironia e capacità di sintesi, il conduttore romano- romanista è riuscito a surclassare qualsiasi (costoso) progetto turistico faraonico fuoriuscito da qualche cassetto istituzionale della Regione Molise, frutto di materie grigie assortite. Zoro infioretta Zalone tre a zero (risultato da omaggio doveroso ai colori giallorossi).

Persino Floris e la Gruber hanno dato spazio alla piccola regione. E Oscar Farinetti, ospite quasi casuale della rossa giornalista altoatesina, ha colto l’occasione per ricordare i pomodorini molisani e le cipolle di Isernia. Marketing territoriale allo stato puro dal signor Eataly.
Dopo il piccolo-grande successo per il minuscolo e “bellissimo” Molise, come finirà, invece, per i futuri vertici politici regionali?
A sintetizzarlo – filosofando un po’ – lo scontro è tra due “anime di voto”. C’è il voto di pancia, di solito utilizzato nelle prove nazionali, quello che è fuoriuscito diretto e lampante lo scorso 4 marzo: la parola d’ordine è stata discontinuità, condita quindi di tanta protesta e una montagna di richieste di cambiamento. A beneficiarne sono stati i Cinque Stelle, che legittimamente – specie in Molise – si presentano come “il nuovo”. C’è però, poi, il voto tradizionale, quello che fiorisce soprattutto nel Mezzogiorno quando si rinnovano parlamentini locali, sia un consiglio comunale sia quello regionale. Come si fa, in sostanza, a dire no al parente, all’amico, al datore di lavoro, al compaesano, al sindaco? Qui montano le alchimie più incredibili, si mettono in moto le transumanze oceaniche, si moltiplicano i “salti della quaglia” da sinistra a destra (in particolar modo oggi), ma anche viceversa.
Se la prima anima del voto, sorretta dai venti di protesta, premia i Cinquestelle, la seconda apporterà linfa al centrodestra, che non a caso si presenta con una coorte di liste da moltiplicare per una folla di candidati. La speranza, per la politica cosiddetta tradizionale, è riposta nella famiglia. Nella cara e vecchia “famiglia”, mai così rivalutata come in queste circostanze…

(Giampiero Castellotti)

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