Il Molise “colonizzato” da ‘ndrangheta e camorra



Il Molise “colonizzato” da ‘ndrangheta e camorra

Ci sono bravi giornalisti molisani, come Paolo De Chiara, che lo denunciano da tempo. Ci sono state dichiarazioni di pentiti della camorra che hanno indicato anche il Molise come territorio di sversamenti clandestini, con esiti probabilmente drammatici in termini di inquinamento. Ed ora la relazione semestrale della Dia conferma l’interesse dei gruppi calabresi nei «gangli strategici dell’economia, dell’imprenditoria e della pubblica amministrazione» del Molise, parallelamente alle infiltrazioni camorristiche.
Pur privilegiando, nella nostra attività promozionale della regione d’origine, notizie positive – sempre troppo poche, ahinoi – non possiamo sottacere. La politica molisana è stata incapace di frenare il diffondersi del malaffare anche in una terra che fino a vent’anni fa veniva appellata “isola felice”, nonostante circondata dalla criminalità organizzata della provincia di Caserta, dai fiumi di droga del Cassinate, dalla delinquenza foggiana.
Ora la relazione al Parlamento della Direzione investigativa antimafia (Dia), inerente l’attività svolta nel primo semestre 2017, si parla di «significative presenze segnalate in Molise». Di fatto, nonostante i forti segnali già emersi negli anni scorsi, nel primo semestre 2017 «continuano a cogliersi importanti segnali sia di radicamento che espansionistici fuori dalla Calabria, in entrambi i casi finalizzati a permeare i gangli strategici dell’economia, dell’imprenditoria e finanche della pubblica amministrazione», come si legge nel documento. 
Le cosche della ‘Ndrangheta «per quanto saldamente presenti nella regione d’origine – si legge nella relazione – appaiono sempre più interconnesse con altre aree del territorio nazionale, specie del centro nord. Tali condizioni hanno stimolato l’evoluzione strutturale, strategica e “culturale” dell’organizzazione, che ha affinato l’interazione tra la vocazione “militare” e quella “affaristica”». 
Si parla anche della Camorra in questo importante documento. Se è vero, come sottolinea la relazione, «non si registra una stanziale presenza di sodalizi, nonostante la contiguità con la Campania», le aree potenzialmente più critiche, dove si sono verificati episodici tentativi di penetrazione nella realtà criminale locale, «sono la fascia adriatica e le zone del Sannio-Matese, per la prossimità di questa area alle zone di influenza dei Casalesi». 
Praticamente si presterebbero come territori d’espansione per il mercato degli stupefacenti e il riciclaggio, ovvero come rifugio per latitanti. «Sintomatica del concreto rischio di infiltrazione nell’economia locale – scrive sempre la Dia – è la confisca, eseguita nel mese di aprile dalla Guardia di finanza, di beni mobili ed immobili e quote societarie, per circa 320 milioni di euro, nei confronti di due fratelli, inseriti nel clan napoletano Contini. Tra i beni confiscati, figurano due impianti di distribuzione di carburante ubicati in provincia di Isernia, ed un analogo impianto, con annessi bar e tabaccheria, in provincia di Campobasso».
Insomma, alla vigilia della campagna elettorale per il rinnovo dell’amministrazione regionale, il Molise si presenta anche in questo modo. E le colpe debbono ricadere anche su parte di una classe politica che ha fatto davvero poco per preservare il territorio nella sua integrità. Tra l’altro, essendo in grave crisi il tessuto economico (ciò che ne rimane), il Molise non è tanto un’opportunità d’investimento o di riciclaggio – certamente marginale – ma, appunto, luogo per far nascondere i latitanti o spacciare stupefacenti. 
Una trentina d’anni fa, proprio su “Forche Caudine”, il nostro Fabio Scacciavillani sottolineava nella sua schiettezza che sarebbe bastato un serio posto di blocco stabile a Venafro, porta d’accesso alla regione, per limitare infiltrazioni del malaffare. Ora non resta che piangere sul latte versato.
(G.C.)

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