Cristianesimo: una fede che cede al nichilismo?



Già Ida Magli nel suo saggio “Dopo l’Occidente” si è interrogata sul futuro del Cristianesimo, incapace a suo dire di difendere i valori propri da una desertificazione della civiltà occidentale dove a prevalere sarebbe ormai la tecnocratica dominazione del profitto.
L’analisi è ripresa in maniera assai più articolata nel Saggio “Cristianesimo, la religione dal cielo vuoto” di Umberto Galimberti, appena uscito per i tipi di Feltrinelli.
È una trattazione davvero molto articolata sulla funzione e sul ruolo del Cristianesimo in particolare in rapporto al mondo occidentale. Galimberti d’altronde è una mente tra le più acute nel panorama culturale italiano.
Dopo una lettura accurata del sacro nel mito e nella religione, l’autore dedica una corposa parte centrale del testo al Cristianesimo, al suo rapporto con il sacro, al conflitto con la ragione, la filosofia, la scienza, l’arte, la musica e la danza. L’ultima parte del volume si occupa dei percorsi di ricerca del sacro nelle antiche e nelle nuove fedi.
La tesi fondamentale di Galimberti è che il Cristianesimo, attribuendo tutto il bene a Dio ed il male a Satana e costruendo la teologia sui concetti logici della cultura greca, avrebbe desacralizzato il sacro portando Dio sulla Terra ed eliminando così la trascendenza.
Che il Cristianesimo abbia spesso nella storia abbandonato l’autenticità del messaggio evangelico per vincolarsi ai concetti della cultura greca ed alla civiltà dell’Occidente corrisponde al vero; non crediamo invece che, come l’autore afferma, l’incarnazione di Dio significhi un congedo dal sacro e dalla trascendenza, perché in tal modo si dimentica che i Cristiani affermano l’idea di un Dio uno e trino.
Molto riduttivo ci appare francamente il restringimento del Cattolicesimo dopo il Concilio Vaticano II a due Chiese, quella sacrale e l’altra umanistica, identificate rispettivamente nelle posizioni di Gianni Baget Bozzo e di Benedetto Calati. In realtà la Chiesa come popolo di Dio è allo stesso tempo una e molto articolata e non è riducibile, come fa l’autore, a limitate posizioni teologiche o umane; non si può poi dimenticare la Chiesa missionaria che sta portando il messaggio evangelico in tutto il modo e che nel volume è del tutto ignorata, mentre forse oggi è quella più vicina all’insegnamento di Gesù.
Non riteniamo neppure si possa accettare la contrapposizione che si delinea tra un cristianesimo metafisico fondato sulla Rivelazione ed uno ermeneutico rivolto al dialogo ed alla carità, perché la fede in Dio si fonda su entrambi gli assunti.
Titolare poi un paragrafo “Il relativismo di Joseph Ratzinger” fondando un presunto relativismo culturale del papa su alcune sue affermazioni concernenti le responsabilità del Nazismo ci sembra francamente inaccettabile, così come non è condivisibile l’affermazione che il relativismo aiuti gli uomini a dialogare “senza minacciose verità assolute alle spalle che ne pregiudicano la comunicazione”.
La verità di Dio annunciata nella Bibbia, più che compromettere il dialogo, siamo convinti che riesca a promuoverlo e, insieme ad esso, fonda l’amore tra gli esseri umani al di là di qualsiasi meticolosa disquisizione sulla natura di tale verità; siamo solo noi, infatti, che togliamo il fondamento essenziale dell’annuncio evangelico quando vogliamo a tutti i costi dare prevalenza ad affermazioni dogmatiche che finiscono per dividere i cristiani tra di loro e di essi con quelli che non credono, come tante volte è accaduto storicamente.
Sulle disquisizioni relative al rapporto fede-ragione colpiscono le affermazioni che “per dar senso al dolore popoli e generazioni hanno fatto del cristianesimo la loro religione e del crocifisso il loro simbolo” ed ancora “Tra fede e ragione, infatti, non c’è coincidenza e tantomeno subordinazione perché, come ci ricorda Hume, la fede affonda le sue radici in quella dimensione irrazionale a cui l’uomo ricorre quando la ragione non offre sufficienti ancoraggi nella conduzione della propria vita” .
Non è così!
La fede è affidamento al messaggio di un Dio che offre principi e valori specifici su cui fondare la propria vita al di là poi di qualsiasi prospettiva escatologica che per taluni erroneamente può diventare l’unico motivo fondante della religione.
D’altronde lo stesso Galimberti riconosce più avanti nel volume che la figura del “senso” all’esistenza viene proprio dalla tradizione giudaico-cristiana ed è pensata inscritta in un disegno di redenzione e salvezza che poi ha fatto nascere la storia ed ha dato un significato al tempo.
Interessante sul piano culturale la parte del libro che si occupa delle diverse ricerche del sacro nelle suggestioni delle antiche e delle nuove fedi.
Nell’epoca della tecnica, che sembra soddisfare tutte le aspirazioni dell’uomo, il nichilismo”il più inquietante degli ospiti” starebbe portando alla fine della storia e della civiltà dell’Occidente, ma anche alla morte di Dio, così come affermato da Nietzsche in “Frammenti postumi”.
È questa sostanzialmente la tesi fondamentale del volume di Galimberti che conclude il lavoro chiedendosi se l’Occidente ed il Cristianesimo sono ancora in grado di varcare le soglie del nulla e della notte nera che ci circonda per dare ancora un senso alla vita.
In proposito noi pensiamo che l’obiettivo di chiunque voglia essere in dialogo con la verità, con gli altri e con il mondo debba immaginarsi nel trovare i mezzi capaci di allontanare il dolore ed il male, che non è vero oggi siano accettati dai cristiani come forme di espiazione delle colpe, e di seguire principi e criteri di vita in grado di costruire la giustizia e di dare felicità ad ogni essere umano.
Tanti come noi queste finalità le apprendono dal messaggio evangelico che sarà capace, con la coerenza della fedeltà di vita di tanti uomini autentici, di bucare la notte nera del non senso che ci circonda e di dare continuità alla civiltà umana.

(Umberto Berardo)

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