Povera agricoltura italiana, dal censimento una quasi Caporetto



E’ il quadro di un mondo agricolo indebolito quello che esce dal sessantesimo censimento dell’agricoltura, svoltosi tra il 24 ottobre 2010 e il 31 gennaio 2011 e diramato dall’Istat nei giorni scorsi. Il rilevamento, che si riferisce al 2010 (con dati ancora provvisori), offre la possibilità di un’analisi tendenziale, fotografando una comparazione con il censimento precedente, datato 2000.
In sintesi, nel decennio si registra la preoccupante scomparsa di un terzo delle aziende agricole su territorio nazionale (800mila su due milioni e 400mila), una perdita di un milione e mezzo di ettari di superficie aziendale totale e di circa 300mila ettari di superficie agricola utilizzata. La zootecnia, in particolare, registra un crollo del numero di aziende pari a quasi il 70%. Ad esclusione di qualche segnale positivo – ad esempio una certa dinamicità nel processo di ricomposizione fondiaria, la crescita dei volumi aziendali per affrontare la competizione sui mercati internazionali e una maggiore professionalizzazione assicurata dal raddoppio di laureati (oggi al 6,6%) alla guida di aziende agricole – più che di ristrutturazione del settore primario occorre prendere atto, purtroppo, di un certo immobilismo complessivo ormai strutturale, ma soprattutto dello smantellamento di alcuni comparti, con ricadute gravi anche sul fronte ambientale.
I numeri, impietosi, mettono in risalto non soltanto come sia mancata negli ultimi decenni una politica strategica e lungimirante per l’agricoltura italiana (a fronte di provvedimenti-tampone, estemporanei, il più delle volte comprensivi di finanziamenti in ottica clientelare), ma anche come non si abbia avuto il coraggio di dar vita a riforme capaci di ammodernare la filiera, di valorizzare i territori in modo integrato, di favorire l’ingresso – o il ricambio – giovanile nel comparto agroalimentare (siamo ad appena il 2,5% di titolari con meno di 30 anni per le imprese agricole, crescita di appena lo 0,4% rispetto ad un decennio fa), onorando un settore che ha sempre agito da traino per l’immagine italiana nel mondo. L’auspicio è che tenendo conto di quanto emerso dal censimento si avvii un percorso di costruzione di adeguate politiche nazionali.
Vediamoli nel dettaglio, allora, questi numeri.
LE IMPRESE – Il primo dato che emerge dal censimento Istat è la considerevole contrazione dell’agricoltura nel suo insieme. E’ la conseguenza di un processo pluriennale di concentrazione dei terreni agricoli e degli allevamenti in un numero sensibilmente ridotto di aziende, frutto prevalentemente dell’andamento dei mercati e delle politiche comunitarie.
Nel decennio 2000-2010, nel dettaglio, le aziende agricole sono diminuite del 32,2%, attestandosi a quota 1.630.420 (al 24 ottobre 2010) rispetto ai 2,4 milioni rilevati all’inizio del periodo di indagine. Insomma sono scomparse 800mila aziende in un decennio.
A subire gli effetti della crisi sono soprattutto le piccole e medie imprese: una conferma viene dalla crescita, nel decennio, della dimensione media aziendale, passata da 5,5 ettari a 7,9 ettari (+ 44,4%), segno di un gran numero di inglobamenti. Si conferma, in sostanza, il trasferimento alle aziende agricole attive e più grandi delle superfici agricole utilizzate dalle aziende cessate e, in misura minore, i terreni investiti a boschi annessi alle aziende o non utilizzati. La forte pressione competitiva internazionale induce in sostanza ad un naturale rafforzamento delle unità produttive.
Le grandi imprese la fanno da padrone anche per superficie agricola utilizzata: ben il 54,1% del totale nazionale (rispetto al 46,9% di dieci anni fa) è coltivato da grandi aziende che possiedono non meno di 30 ettari di terreno. Consequenziale il crollo di numero delle aziende con meno di un ettaro di superficie: oggi rappresentano il 30,9% del totale rispetto al 42,1% del 2000.
Oggi, in conclusione, l’8% delle imprese agricole gestisce il 63% dei terreni coltivabili.
I NUMERI REGIONALI – Ora più della metà delle aziende (54,6%) è concentrata in cinque regioni: in cima alla lista la Puglia con oltre 275mila, segue la Sicilia con 219mila, la Calabria con 138mila, la Campania con 137mila e il Veneto con 121mila unità.
Sul fronte della dimensione media aziendale per regione, la Sardegna presenta il dato maggiore (19,2 ettari di Sau per azienda), superando la Lombardia (18,4 ettari). I valori minimi si registrano in Liguria (2,1 ettari), Campania e Calabria (4), Puglia (4,7). Tutte le regioni del Sud hanno una dimensione media inferiore a quella nazionale, ad eccezione della Basilicata (9,9 ettari di Sau per azienda).
A fronte di una Superficie aziendale totale (Sat) pari a 17.277.023 ettari (-8% nel decennio) e di una Superficie agricola utilizzata (Sau) di 12.885.186 ettari (-2,3%), il 46% di quest’ultima si concentra in Sicilia (1.384.043 ettari), Puglia (1.280.876), Sardegna (1.152.756) Emilia-Romagna (1.066.773) e Piemonte (1.048.350).
LA ZOOTECNIA – Anche per il settore zootecnico i dati provvisori segnalano una tendenza alla concentrazione degli allevamenti in un numero minore di aziende, ma di maggiori dimensioni. Le aziende zootecniche risultano equamente distribuite tra le ripartizioni geografiche, anche se emergono specializzazioni regionali. L’incidenza del settore zootecnico su quello agricolo varia da regione a regione. A Bolzano alleva animali il 48,3% delle aziende agricole, in Lombardia il 39,7%, in Valle d’Aosta il 38,6% e in Sardegna il 33,4%. In Puglia, al contrario, solo il 2,2% delle aziende agricole è di tipo zootecnico.
Senza grandi variazioni il numero complessivo di animali allevati: 5,7 milioni i bovini (-6,1% rispetto al 2000), 9,6 milioni i suini (+11,6%) 7,5 milioni gli ovini e caprini (-3,2%) e 195,4 milioni gli avicoli (+14,1%).
Le aziende con bovini (59,2% delle aziende zootecniche complessive) sono 124 mila, in calo rispetto al 2000 (-27,7%).
Oltre la metà (50,2%), con quasi i tre quarti del patrimonio bovino (70,4%) sono localizzate al Nord: la Lombardia ha 15 mila aziende e 1,5 milioni di capi allevati, il Veneto 13 mila aziende e 826 mila capi e il Piemonte 13 mila aziende e 816 mila capi. Nel complesso queste tre regioni detengono circa il 55% del patrimonio bovino italiano. In crescita rispetto al 2000 è il settore bufalino, con 358 mila capi soprattutto tra Campania (261 mila capi allevati in 1.406 aziende) e Lazio (63 mila capi, 590 aziende).
I LAVORATORI – Crolla anche la forza lavoro impiegata in agricoltura: meno 31,6% negli ultimi dieci anni. Le persone impegnate nell’attività agricola e zootecnica sono oggi 2,5 milioni, con una quota ancora rilevante di conduttori (42,4%) per quanto tendenzialmente in calo. Si riduce anche la forza lavoro familiare, dall’81,4% al 78,4%.
In sostanza le unità aziendali sono di tipo individuale o familiare (96%), con il conduttore che gestisce direttamente l’attività agricola (95% dei casi), con terreni di proprietà sua o dei suoi familiari (65,5% dei casi). Tuttavia, la struttura fondiaria è molto più flessibile rispetto al passato, grazie al maggior ricorso a forme diversificate di possesso dei terreni, orientate sempre più all’uso di superfici in affitto o gestite a titolo gratuito: la Sau in affitto cresce del 52,4%, passando dal 24,5% al 39,4% nel decennio e quella in uso gratuito del 76,6%.
Da segnalare l’incremento della “quota rosa” (dal 30,4% del 2000 al 33,3% del 2010), anche sull’onda degli incentivi per l’imprenditoria femminile.
DUE REALTA’ LOCALI – Interessanti ratifiche del quadro nazionale vengono dalle realtà locali.
Nelle Marche, ad esempio, dove operano 46mila aziende agricole (calo del 24,4%), si conferma il forte ruolo del settore agricolo nel presidio del territorio e del paesaggio: quasi il 70% della superficie nella regione è gestita da aziende agricole. Ciò fa capire come l’abbandono del comparto equivalga ad un danno enorme per l’ambiente e per il paesaggio.
In Umbria le aziende agricole, oggi 36mila, diminuiscono di quasi un terzo (-30,4%), soprattutto nella provincia di Terni, così come la superficie agricola totale e quella agricola utilizzata. Decresce drasticamente il numero degli allevamenti, mentre aumenta la superficie media delle imprese e il numero di capi allevati per azienda. Anche qui, i fattori di speranza sono collegati alla diminuzione dell’età media dei produttori, all’aumento delle quote rosa, all’incremento al ricorso in affitto dei terreni.
I COMMENTI – Il ministro delle Politiche agricole, Saverio Romano, sottolinea quale elemento di speranza soprattutto la crescita dimensionale delle imprese. “Da un’analisi dei dati emergono alcune tendenze che si sono accentuate in maniera particolarmente evidente negli ultimi anni – evidenzia Romano – prima fra tutte quella relativa alla massiccia riduzione del numero delle aziende agricole”. Il fatto che a questa contrazione non corrisponda una pari riduzione delle superfici utilizzate “è un segnale evidente di come si vada verso una graduale concentrazione, visto che in parallelo è aumentata l’estensione media dei terreni posseduti dalla singola impresa, condizione divenuta determinante per consentire agli imprenditori di mantenersi competitivi. Si tratta di un fenomeno che investe tutti i settori dell’agroalimentare e con il quale bisogna fare necessariamente i conti, soprattutto per quanto riguarda le aziende zootecniche”.
Per Andrea Ferrante, presidente nazionale dell’Aiab, l’Associazione italiana per l’agricoltura biologica, il quadro “fotografa tendenze da tempo in atto nel settore, ma stupisce per la loro entità e ci restituisce un’istantanea dell’agricoltura italiana a dir poco preoccupante. Siamo di fronte a una pesante perdita della superficie agricola utilizzata pari a 300mila ettari, a una perdita di superficie aziendale totale di un milione e mezzo di ettari, nonché in presenza di una gravissima perdita del numero delle aziende, che negli ultimi dieci anni si sono ridotte di circa un terzo. Numeri che non denunciano solo una radicale ristrutturazione del settore primario, ma che puntano il dito verso un vero e proprio abbandono delle zone rurali, verso una erosione di terre fertili per un mal concepito uso del suolo e, soprattutto, verso una politica incapace di investire nell’agricoltura e nella preziosa opera di presidio del territorio che le aziende agricole offrono alla collettività. Sul fronte dell’abbandono del territorio la situazione è particolarmente grave in regioni come la Liguria, la Valle d’Aosta e il Friuli Venezia Giulia – caratterizzate da una grande vulnerabilità idrogeologica, dove la presenza di tessuto agricolo è fondamentale – che negli ultimi dieci anni hanno visto rispettivamente una contrazione delle aziende del 46,1; del 41,2 e del 33%. Se possibile – prosegue Ferrante – la situazione è ancor più grave per la zootecnia. Con un crollo delle aziende dedite all’allevamento di quasi il 70% tra il 2000 e il 2010, i dati Istat testimoniano di un vero e proprio smantellamento dell’agricoltura mista che coniuga virtuosamente allevamento e coltivazione e di una sua sostituzione con un sistema basato su allevamenti intensivi e industrializzati e a forte concentrazione territoriale. Sistema che non solo crea problemi per la gestione dei reflui rivelandosi ambientalmente insostenibile, ma che non regge neanche dal punto di vista economico. Proprio il settore zootecnico, infatti, è il più indebitato dell’intero comparto agroalimentare nazionale”.

(Giampiero Castellotti – “Agricoltura Moderna” e “Forche Caudine”)

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