Anniversario del 25 aprile: nel segno di Mario Brusa



Mario ha 18 anni. Viene dal Molise, s’è trasferito a Torino con la sua famiglia. Fa il meccanico. E’ nel fiore della vita.
Dopo l’armistizio entra nel movimento di liberazione, aggregandosi, con il nome di battaglia “Nando”, alle Bande Pugnetto. Opera nell’entroterra ligure e sulle montagne piemontesi. Ferito in combattimento, viene arrestato, ma riesce a fuggire.
Viene di nuovo ferito (ad una gamba) nel corso di un’azione che lui stesso comanda. Nonostante l’infermità, partecipa ai successivi combattimenti.
Durante l’assalto ad un convoglio ferroviario tedesco sulla linea Milano-Torino, tra Brianzé e Livorno Ferraris (29 marzo 1945), è ferito per la terza volta, gravemente. Tre compagni lo portano in un covo. Ma nel corso della notte, i quattro vengono scovati da alcuni elementi del Rau, Reparto arditi ufficiali.
Imprigionati a Livorno Ferraris (Vercelli), vengono processati e condannati a morte.
Melania Brusa, sorella di Mario, in un libro racconta la storia di suo fratello: “Fu scelto, insieme ad altri tre, dal comandante e mandato a Livorno Ferraris per bloccare un treno di soldati tedeschi che transitava lungo la ferrovia Torino-Milano. L’azione di sabotaggio riuscì; furono fatti scendere i militi nazisti. Ma uno, ubriaco, sparò e ferì Mario ad una gamba. I nazisti poterono così disperdersi per la campagna. Mario fu aiutato dai suoi compagni e caricato su un calesse. Si rifugiò in una cascina; qui sarebbe dovuto arrivare un camion partigiano per portarlo all’ospedale di Cocconato. Una donna fece la spia. I fascisti della “Monterosa” lo catturarono e con lui Francesco Bena di Crescentino, Vittorio Suman di Caresanablot e Giuseppe Gardano di Trino. Facevano parte della Divisione Patria. I quattro partigiani furono condotti al municipio di Livorno Ferraris e presto fucilati. Mario, in realtà, per le leggi di guerra avrebbe potuto salvarsi perché ferito. Invece, nonostante il dolore, tentò di organizzare uno scambio per salvare la vita dei condannati. Ma non andò in porto, e lui volle morire con i suoi compagni. Sorretto da loro, si recò al plotone di esecuzione cantando l’inno d’Italia”.
La mattina del 30 marzo Mario Brusa Romagnoli è condotto con i tre compagni in piazza Vittorio Emanuele II (oggi piazza Galileo Ferraris) a Livorno Ferraris e fucilato da un plotone d’esecuzione composto da militi del Rau.
Nelle poche righe che scrive su un pezzo di carta e lascia nelle mani del prete locale, che gli si avvicina prima della fucilazione, c’è la dignità forte di un ragazzo molisano di Guardiaregia, il quale,  insieme agli altri compagni partigiani, grida “Viva L’Italia” davanti al plotone d’esecuzione.
“Papà e Mamma, è finita per il vostro figlio Mario, la vita è una piccolezza, il maledetto nemico mi fucila; raccogliete la mia salma e ponetela vicino a mio fratello Filippo. Un bacio a te Mamma cara, Papà, Melania, Annamaria e zia, a Celso un bacio dal suo caro fratello
Mario che dal cielo guiderà il loro destino in salvo da questa vita tremenda. Addio. W l’Italia – scrive Mario.
Mancano appena 26 giorni al 25 aprile.
Americani e partigiani libereranno l’Italia dopo pochi giorni. Sarà come una nuova primavera per il nostro Paese che avrebbe scelto la Repubblica, adottato una Costituzione e garantito il pluralismo democratico che si fonda sulla divisione dei poteri.
Della famiglia Brusa Romagnoli, Mario non è stato il solo caduto per la libertà. Altri due suoi fratelli, Filippo di 24 anni e Teobaldo di 18, si sacrificano seguendo gli insegnamenti del padre Giuseppe Brusa che, negli anni della dittatura, per sfuggire ai fascisti, lascia il Piemonte e si trasferisce in Molise, dove incontra la molisana Nicolina Romagnoli, che sarà sua moglie.
A Mario Brusa Romagnoli (un cui scritto è riprodotto nel volume della Einaudi “Lettere dei condannati a morte della Resistenza”) è intitolata una scuola a Guardiaregia. Nel sessantesimo della Liberazione, nel 2005, un suo fratello, nato nel dopoguerra e al quale è stato imposto lo stesso nome del partigiano ucciso (celebre doppiatore), è tornato in Molise per presenziare alle celebrazioni.
Mario Oberdan Brusa Romagnoli è stato insignito medaglia d’argento al valor militare. Le sue spoglie, come quelle dei due fratelli, riposano in una piccola tomba nel cimitero di Villamiroglio, Monferrato casalese.
Il 25 aprile, giornata della memoria, vogliamo ricordare il coraggio di Mario Oberdan Brusa Romagnoli, molisano in Piemonte. Caduto, come tanti giovani come lui, per la nostra libertà.
Il 25 aprile, alle ore 9,30, un gruppo di molisani andrà davanti alla sua casa natale a Guardiaregia, in via Ospedale, per portargli un fiore. Idealmente ci saremo anche noi.

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