Il futuro può attendere



Il futuro può attendere

L’ottimismo ha abbandonato anche i pragmatici tedeschi. Uno studio dell’istituto demoscopico Infas, su incarico della prestigiosa fondazione Bertelsmann, conferma con risultati “bulgari” le serie preoccupazioni del popolo teutonico sul futuro economico. In particolare sul fronte lavoro e pensioni.
Il binomio benessere e stato sociale vacilla anche nella nazione che ne ha fatto una bandiera. In territori dove la solidità delle esperienze scandinave socialdemocratiche – anch’esse in crisi da qualche stagione – hanno riscosso maggiori simpatie rispetto all’ultraliberismo alla Thatcher o alla Reagan.
La combinazione mercato e welfare rischia di sbriciolarsi nel paese di Ludwig Erhard, il politico ideatore dell’economia sociale di mercato, o dell’economista Wilhelm Ropke, padre dell’umanesimo economico. Veri e propri monumenti del pensiero rispolverati da tempo soprattutto dal nostro Giulio Tremonti infervorato da quei modelli tedeschi che fecero uscire la Germania dal disastro del secondo conflitto mondiale.
Il nostro ministro dell’economia, che negli anni ottanta scriveva sul quotidiano “Il Manifesto” con lo pseudonimo Lombard, esprime oggi vicinanza al pensiero “ordoliberista” partorito dalla scuola di Friburgo. Così chiamato da “Ordo”, la rivista di riferimento. Con esponenti quali Walter Eucken, l’iniziatore, lo stesso Roepke, ma anche giuristi come Franz Böhm e Hans Grossman-Dörth. Una classe di pensatori vista con interesse da Benedetto Croce in Italia e, in tempi recenti, da James Buchanan, l’ultranovantenne economista americano, premio Nobel nel 1986.
L’antica ma rafforzata conversione al pensiero social-liberale da parte del nostro ministro economico e da tanti suoi epigoni (per lo più sulla via di Damasco) promuove teorie che sposano la fusione tra individualismo e solidarietà, ambiscono alla visione di una dimensione istituzionale intonacata da esigenze etiche, coniugano il fondamento costituzionale con il paradigma liberista.
Bacchettando il capitalismo rampante, disordinato e destrutturato, il “credo” rilancia una “terza via” dove la centralità economica promuova valori umanistici (ma con immancabili discrasie tra teoria e pratica), sussidiarietà (con inevitabili accezioni di tradizione cattolico-liberale, alla Antonio Rosmini) e piccola impresa (quale motore dell’iniziativa privata). Un mercato dove gli eccessi dovrebbero in sostanza essere stemperati dall’intervento dello Stato.
In un quadro occidentale accomunato dalla paura del futuro, dove si sono frantumate le attese legate alle grandi privatizzazioni di settori del sistema economico o all’introduzione di meccanismi di flessibilità nel mercato del lavoro, dove il “nuovo che avanza” viene visto come elemento destabilizzatore cui rispondere con spinte localiste, egoismi nazionali e destre al potere, dove la riduzione degli spazi di una politica svuotata di contenuti ideologici e di risorse pubbliche lascia campo libero a fenomeni estemporanei dalla forte componente estetica, le idee fatte proprie dal ministro più autorevole del governo Berlusconi – talvolta accreditate anche su un terreno internazionale – trovano schiere di adepti sempre più estese. In casa nostra, dai federalisti padani ai post-missini della destra sociale, dagli irredentisti cattolici ai laici di sinistra, da settori dell’ambientalismo ai berluscones disillusi.
Ma sul piano pratico, l’azione del ministro dell’economia passa per obiettivi ben noti. Ad esempio, la riforma degli articoli 41 e 118 della Costituzione, facendo diventare la libertà dell’impresa una sorta di “must”. Oppure per le liberalizzazioni nelle municipalizzate, per sgravare l’Irap nel Mezzogiorno, per assicurare premi fiscali a innovazione e ricerca, per rilanciare l’edilizia dopo la delusione per il piano casa (puntando, ad esempio, al “social housing”), lavorando alla riforma fiscale.
Sarà, insomma, il “social-liberismo” tremontiano ad andare a colmare quel post-berlusconismo di cui s’ignora soprattutto la data di nascita? O ne rappresenterà la sua naturale prosecuzione?

(Giampiero Castellotti)

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