Altro che biodiversità, bilancio 2010 negativo



Altro che biodiversità, bilancio 2010 negativo

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ROMA – Per il Wwf Italia il bilancio ambientale 2010 del nostro Paese si chiude complessivamente con un segno negativo. A salvarsi, secondo l’organizzazione ambientalista, è il grande sforzo fatto per adeguarsi al contesto internazione sulla Convenzione della biodiversità che ha visto nel 2010 l’approvazione della strategia nazionale (di cui però si attende la cabina di regia Stato-Regioni).
Il primo problema nasce dalla mancata integrazione delle politiche ambientali, e più in generale di una vera e propria strategia di sostenibilità, all’interno dei vari ambiti d’azione del governo.
La questione ambientale sembra separata dal contesto generale e fortemente indebolita per una significativa difficoltà amministrativa e gestionale e quindi di ruolo, in cui è caduto il ministero dell’Ambiente anche a seguito di un taglio di risorse economiche che non trova eguali in alcun altro dicastero.
Gli elementi salienti del fallimento delle politiche ambientali nel nostro Paese trovano un particolare punto di evidenza nell’ulteriore ritardo accumulato nel settore delle politiche energetiche dove l’Italia rimane la nazione più arretrata a livello comunitario nel raggiungimento degli obiettivi di Kyoto.
Inoltre, avendo ormai definito la scelta per il nucleare, si disincentiva ogni forma di crescita di energie alternative e di azioni tese al risparmio e all’efficienza energetica.
La situazione appare poi aggravata dalle linee di sviluppo delle opere infrastrutturali che, sebbene fortemente rallentate per la carenza economica sottovalutata dal governo, rafforzeranno il comparto stradale e quindi non saranno utili alla diminuzione di gas serra provenienti dal settore dei trasporti.
Relativamente all’assetto del territorio, stessa musica: il 2010 non ha segnato alcun passo in avanti. Anche in questo caso la falcidie economica del ministero dell’Ambiente si pagherà pesantemente in termini di mancati interventi nel settore della prevenzione del rischio idrogeologico.
Nel frattempo, osserva il Wwf, assistiamo ad una spaventosa crescita urbanistica, con conseguente nuova occupazione di territorio e consumo di suolo accompagnata da piani casa che hanno contribuito a derogare le normative urbanistiche e paesaggistiche e da piani di concessioni demaniali che ulteriormente hanno contribuito alla cementificazione delle spiagge e all’occupazione delle nostre coste.
Nel settore della tutela della natura, secondo l’organizzazione ambientalista il 2010 ha registrato una grave crisi dei parchi, salvati in extremis da un intervento in finanziaria, e una virulenta ripresa delle lobby venatorie che hanno trovato soprattutto nel contesto regionale un’incomprensibile sponda alle loro richieste. Sulle politiche di conservazione il 2010 ha evidenziato il gravissimo caso del declassamento del parco nazionale dello Stelvio, istituito nel lontano 1935, che rischia di diventare un pericoloso precedente a livello nazionale capace di squilibrare i già difficili rapporti tra Stato, Regioni e enti locali.
Quello che preoccupa il Wwf non è tanto il risultato del 2010 quanto la mancanza di prospettive per il 2011 e per gli anni futuri. Non solo non si intravede la possibilità di una politica ambientale di stampo europeo, che potrebbe essere addirittura insufficiente, ma addirittura si vede ogni azione di tutela e di conservazione sacrificata nel nome di interessi specifici che hanno fatto perdere completamente di vista l’interesse nazionale che la Costituzione mette in capo alla Stato.
E su questi temi a preoccupare non è solo l’azione o la mancata azione di governo, quanto l’incapacità di ogni parte politica di rappresentare in modo adeguato questi valori e, conseguentemente, l’incapacità di svolgere un’azione politica e amministrativa discontinua rispetto a un passato di speculazione e inquinamento che porti il paese sulla strada della sostenibilità.
Tutto ciò avviene in un Paese come l’Italia che, secondo il Wwf, è la nazione più ricca di biodiversità in Europa. Il nostro Paese vanta 57.468 specie animali (8,6% endemiche) e 12mila specie floristiche (13.5% endemiche). Purtroppo, però, molto di questo patrimonio si sta perdendo: attualmente sono a rischio il 68% dei vertebrati terrestri, il 66% degli uccelli, il 64% dei mammiferi e l’88% dei pesci di acqua dolce.
Il 2010 è stato l’anno mondiale della biodiversità voluto dall’Onu. Il Wwf ricorda di essersi impegnato dall’inizio di quest’anno a rendere consapevoli le istituzioni degli impegni internazionali assunti dall’Italia, attraverso incontri con il presidente della Repubblica Giorgio Napoletano, con il presidente della Camera dei deputati Gianfranco Fini e con il coordinamento degli assessori all’ambiente regionali Silvio Greco. Il fatto positivo è che quest’anno il nostro Paese, seppur con un ritardo di 14 anni (nel 1996 c’era stata la ratifica della Convenzione internazionale sulla biodiversità), si è dotato di una Strategia nazionale per la biodiversità, discussa in una conferenza nazionale svoltasi a Roma dal 20 al 22 maggio e poi approvata definitivamente dalla Conferenza unificata il 7 ottobre scorso. Ora la sfida, secondo il Wwf, è che parta effettivamente la cabina di regia voluta dal ministero dell’Ambiente, che coinvolge altri ministeri e le Regioni, allo scopo di determinare le risorse necessarie per rendere operativa la Strategia nelle 15 aree di lavoro individuate, con il contributo dei ministeri delle Politiche agricole e dello sviluppo economico (anche per il miglior utilizzo dei fondi comunitari), e delle Regioni per la redazione di “Piani di azione” che riconoscano pienamente i servizi economici e sociali forniti dagli ecosistemi e dalla biodiversità. Le associazioni ambientaliste, in prima fila il Wwf, hanno dovuto attivarsi per contrastare i tagli di oltre il 42% ai finanziamenti per le aree protette previsti nel disegno di legge sulla “legge di stabilità” e sul bilancio di previsione 2011 del ministero dell’Ambiente, presentati a fine settembre. In questi mesi si sono avuti atti che mettono in discussione la stessa esistenza della rete delle aree protette, denunciati subito dal Wwf, come quelli che hanno riguardato: il Parco nazionale dello Stelvio, esistente da 75 anni (istituito con legge del 1935), declassato a parco interprovinciale (Bolzano e Trento) con un’appendice regionale (Lombardia), con un provvedimento approvato dal Consiglio dei ministri il 22 dicembre; le riserve regionali siciliane in cui sono messi in discussione persino i contratti di gestione esistenti, sottoscritti dalla Regione Sicilia, e quindi la loro stessa esistenza a causa dei tagli previsti dalla regione. Per quanto riguarda i fondi per le aree protette nazionali, a seguito anche della denuncia del 5 novembre scorso da parte del Wwf, emergeva come nella legge di stabilità presentata alla Camera c’era un taglio alle aree protette nazionali nel 2011 rispetto al 2010 del 42% (tra legge di stabilità e bilancio le risorse complessivamente assegnate a questo scopo ammontavano a 35.983.000, mentre nella legge finanziaria 2010 lo stanziamento era di 61.820.668 di euro). Al Senato si è corsi ai ripari stabilendo che, per il 2011 e per il biennio successivo, nella legge di stabilità vengano stanziati 6.868.000 milioni di euro nel 2011 e 7 milioni di euro per ciascuno degli anni 2012 e 2013 per l’attuazione dei programmi; mentre gli stanziamenti per il personale e per il funzionamento delle aree protette si trovano sul bilancio di previsione 2011 del ministero dell’Ambiente e ammontano a 63.394.000 euro nel 2011, e 63.398.000 euro per ciascuno degli anni 2012-2013.
Il Wwf Italia ha dichiarato di condividere la scelta di separare i costi del personale da quelli di gestione, perché questo consente di mantenere i contratti in essere con i dipendenti degli Enti parco. Secondo il Wwf, però, le risorse destinate al funzionamento delle 24 aree protette nazionali continuano ad essere insufficienti per l’espletamento delle funzioni di legge e per garantire il motivo stesso dell’esistenza di un Parco: la conservazione della natura.
La situazione descritta per le aree protette è altrettanto negativa in materia di tutela della fauna selvatica ed attività venatoria. Ancor più grave, visto che il 2010 è stato, appunto, l’anno dedicato dall’Onu alla tutela della biodiversità: gli impegni presi dall’Italia nei confronti della comunità internazionale con la firma della Convenzione internazionale per la biodiversità e l’approvazione della “Strategia nazionale” per contrastare la perdita di natura, riguardano infatti anche la tutela della fauna selvatica ed una seria regolamentazione dell’attività venatoria, poiché questa rientra tra le attività dell’uomo che compromettono la conservazione della biodiversità (soprattutto se non viene esercitata sulla base di criteri scientifici e nel rispetto delle normative internazionali ed europee). La caccia è purtroppo tuttora in Italia uno dei fattori che maggiormente contribuiscono alla perdita di biodiversità (legata ad altri fattori negativi quali il consumo del suolo, gli inquinamenti, i cambiamenti climatici, gli incendi boschivi, etc.) .
L’Italia anche nel 2010 si è distinta negativamente per i tentativi di modifiche peggiorative della legge nazionale sulla caccia (legge 157/92), con proposte parlamentari finalizzate alla cosiddetta “caccia selvaggia” e non sostenibile. Particolarmente negativo è stato l’ennesimo tentativo di inserire nella “legge comunitaria 2009” (la legge approvata ogni anno dal Parlamento per attuare le direttive europee, approvata nel luglio 2010 ), con un vero blitz, una norma che cancellava i termini di inizio e fine della stagione venatoria. La proposta di ampliamento della stagione venatoria è stata ripresentata per tre volte nel solo anno 2009, approvata in Senato e poi cancellata e sostituita alla Camera dei deputati con una norma diversa, questa volta positiva per la tutela della fauna ed il rispetto delle direttive europee.
Il Parlamento quindi, almeno per il 2010, si è “ravveduto”, forse anche tenendo presenti i risultati di un sondaggio (Ipsos, marzo 2010) sull’opinione degli italiani sulle tematiche ambientali, sulla caccia in particolare, con un maggioranza di italiani contrari alle modifiche proposte dal partito di “caccia selvaggia”, ed il 70% degli intervistati che si dichiarano completamente contrari alla caccia.
Non si può invece che bocciare completamente il comportamento delle Regioni che hanno continuato ad ignorare i principi di tutela europei, anche per la stagione venatoria 2010/2011.
Di fatto nessuna delle Regioni italiane ha applicato le nuove importanti norme approvate con l’art. 42 della legge comunitaria 2009 (legge 96/2010, entrata in vigore a luglio), e non hanno tenuto conto dell’importantissimo documento di Ispra “Guida per la stesura dei calendari venatori ai sensi della legge n. 157/92, così come modificata dalla legge comunitaria 2009, art. 42”, inviato a tutte le Regioni il 29 luglio scorso.
Secondo Ispra (l’istituto per la protezione e ricerca ambientale), salvo qualche eccezione, la caccia in Italia dovrebbe aprirsi il 1° ottobre e chiudersi il 20 gennaio; molte specie andrebbero sospese dai calendari venatori; per molte altre specie la caccia potrebbe essere autorizzata solo in presenza di piani di gestione adeguati.
Il Wwf Italia, insieme ad altre associazioni, ancora una volta ha dovuto ricorrere ai giudici dei tribunali amministrativi, dai quali in diversi casi ha avuto ragione. Il comportamento delle Regioni conferma la grande carenza per la tutela della fauna selvatica ed il sostanziale inadempimento di leggi italiane ed europee (nonostante l’anno della biodiversità). Mancano, infatti, ancora: una sistematica ed oggettiva raccolta di dati riguardanti la consistenza e lo status delle specie di animali selvatici; calendari venatori e piani faunistico – venatori regionali che tengano conto di tali dati; controlli più rigidi sul territorio; una seria lotta al fenomeno del bracconaggio ed a ogni forma di caccia illegale in particolare nelle aree protette ed a specie protette; la moratoria o il blocco del prelievo venatorio di specie a rischio; il blocco definitivo di qualsiasi proposta di legge peggiorativa e non finalizzata alla tutela della fauna e della biodiversità. L’auspicio è che per il nuovo anno le istituzioni nazionali e locali cambino rotta ed apportino miglioramenti significativi alle leggi ed alle modalità di gestione della caccia e di tutela degli animali selvatici e dei loro habitat (ad iniziare dai parchi e dalle aree protette dall’Unione europea, come quelle della “Rete Natura 2000”).
Per quanto riguarda i cambiamenti climatici, il ministro dell’Ambiente e quello dello Sviluppo economico, il 17 ottobre scorso, hanno annunciato di aver firmato il decreto per attivare il “Fondo rotativo destinato a finanziare le misure per l’attuazione del protocollo di Kyoto”, cui possono accedere le aziende private, istituito con la legge finanziaria 2007 e previsto da un decreto ministeriale del 25 novembre 2008. Nonostante ciò nella legge di stabilità 2011 non c’è nemmeno un euro destinato al Fondo. Di annunci, osserva il Wwf, questo fondo ne ha visti sin troppi, ora si deve invertire questa tendenza in tempi brevissimi, altrimenti il rilancio dell’economia “pulita” sarà un treno completamente perso per l’Italia. Il governo sembra non valutare che l’11 dicembre a Cancun è stato raggiunto un accordo in cui i Paesi firmatari del protocollo di Kyoto, tra cui l’Italia, hanno ravvisato in modo più fermo la necessità di ridurre le emissioni in misura compresa tra il 25 e il 40% entro il 2020 e hanno riconosciuto che i loro impegni per la riduzione delle emissioni rappresentano solo un inizio ed è necessario fare molto di più per raggiungere l’obiettivo condiviso della limitazione dell’aumento della temperatura a due gradi. Né sembra accorgersi che l’Agenzia europea per l’ambiente reputa improbabile che l’Italia rispetti l’obiettivo di Kyoto, nonostante il calo delle emissioni dovute alla crisi economica, né pare considerare l’obiettivo minimo fissato dal Pacchetto europeo energia-clima per il 2020 (taglio delle emissioni dell’Unione europea del 20% rispetto ai livelli del 1990). Per il clima, nel bilancio di previsione 2011 del ministero dell’ambiente ci sono solo 31,7 milioni di euro nel 2011 per programmi riguardanti la “Convenzione sui cambiamenti climatici” (cui verranno destinati nel 2012-2013 poco più di 35 milioni di euro), con un taglio tra l’altro rispetto al 2010 di 3,7 milioni di euro. Il Wwf osserva che il governo non ha una strategia e un piano operativo per la riduzione delle emissioni di gas climalteranti che intervengano in maniera incisiva sull’apparato produttivo. La delibera Cipe del 2002 per l’attuazione degli impegni di Kyoto è ampiamente superata, ma ben tre governi, succedutesi sinora, non sono riusciti ad aggiornarla.
Anche sull’energia il governo naviga a vista, in assenza sia di un Piano energetico nazionale (pur previsto dalla normativa sul nucleare) che di un processo partecipato per definirlo. L’unico punto fermo è la decisione di ritornare all’atomo, nonostante tale fonte sia estremamente costosa e pericolosa per l’ambiente, la salute e la sicurezza. I ritardi e le divisioni interne alla maggioranza (per esempio sull’Agenzia di sicurezza del nucleare) dimostrano solo la difficoltà di coniugare gli interessi e le lobby coinvolte, mentre è partita la scandalosa campagna pagata coi soldi dei contribuenti. Il nucleare rischia di sottrarre fondi e ritardare enormemente l’avvio dell’economia a basso contenuto di carbonio, che deve necessariamente passare dalle scelte energetiche fondate sul risparmio, l’efficienza e le fonti rinnovabili e pulite: questo tanto più in un periodo di crisi e ristrettezze economiche, in cui le scelte vanno compiute con decisione e oculatamente. Oltretutto, il sistema energetico italiano è fortemente sovradimensionato rispetto alla domanda interna: a fronte di una potenza istallata di 102.000 MW, con un picco di potenza richiesta di 56.822 MW, il governo ha autorizzato 21.742 MW dal 2002 di nuovi impianti termoelettrici e tra questi 2390 MW a carbone. Nel 2010 era prevista l’entrata in funzione di 3220 MW e altri 5568 MW sono attesi per il 2013. Quindi oggi il nucleare non serve, e sarebbe invece necessario prevedere la progressiva sostituzione di impianti a combustibile fossile, a cominciare da quelli maggiormente inquinanti (a carbone e olio combustibile), con le fonti rinnovabili accoppiate a un ambizioso piano per l’efficienza. Ma per farlo, occorrerebbe una strategia che non c’è e un’applicazione seria delle normative europee, inclusa quella sull’Emission Trading.
Per quanto riguarda il suolo, nel dossier presentato dal Wwf all’inizio del 2010, con la collaborazione del professor Bernardino Romano dell’Università dell’Aquila, viene rilevato che nel nostro Paese c’è un territorio quasi saturo, frammentato, cosparso a macchia d’olio di case, strade e capannoni, una sorta di città diffusa che sembra più una metastasi che una città: con oltre 3,5 milioni di ettari, di cui due milioni di terreni agricoli, divorati dal cemento (una superficie grande quasi quanto il Lazio e l’Abruzzo messi insieme, a un ritmo di 244.000 ettari all’anno cementificati e distrutti); oltre 8mila comuni e 8mila piani regolatori diversi, 12,8 milioni di edifici, 27 milioni di unità abitative (per il 20% non abitate).
Il Wwf ha da tempo sottolineato che, dopo l’accordo governo-Regioni sul “piano casa” del primo aprile 2009, le recenti norme approvate dalle Regioni tra il 2009 ed il 2010 sui cosiddetti “piani casa” aumenteranno il consumo di suolo. A ciò contribuiranno anche le ultime riforme, introdotte nel maggio 2010, in materia di Conferenza di servizi e di “Segnalazione Certificata di Inizio Attività”.
Il Wwf Italia ritiene che anche la recente legislazione in tema di federalismo fiscale (il 7 ottobre 2010 il governo ha approvato l’ennesimo decreto), attraverso la riduzione dei trasferimenti dallo Stato agli enti locali, incentiverà il consumo di suolo per via delle entrate che l’Ici (per le seconde case) e gli oneri di urbanizzazione comunque garantiranno alle casse comunali. E poi bisognerà capire cosa succederà con la cosiddetta emersione delle “case fantasma”, voluta da Tremonti nella recente manovra biennale (decreto 78 del 31 maggio 2010).
L’Agenzia del Territorio, attraverso un accurato rilievo aerofotogrammetrico, ha rilevato 1,3 milioni di unità immobiliari prevedendo una corrispondente rendita catastale di circa 627 milioni di euro. Ma la norma, denuncia il Wwf, non fa chiarezza sui cosiddetti “abusi edilizi sostanziali”: quelle costruzioni cioè realizzate in assenza di titolo abilitativo e su aree in edificabili, oppure in eccesso rispetto alla volumetria consentita, o per l’insediamento di destinazioni d’uso non previste dalla disciplina urbanistica o in contrasto con le prescrizioni edilizie di leggi o di regolamenti. Rispetto ai quali non è posto esplicitamente l’obbligo di demolizione, obbligo che è ineludibile, secondo il Wwf.
Capitolo rischio idrogeologico. Per il 2011 nella legge di stabilità le risorse destinate gli interventi di prevenzione del rischio idrogeologico sono praticamente azzerate. Il Wwf denuncia la patologica sottovalutazione di questa voce strategica per la tutela del nostro fragilissimo territorio, considerate ancora una volta le alluvioni che hanno coinvolte lo scorso autunno ben cinque regioni (dal Veneto alla Calabria) e le tragedie susseguitesi nell’ultimo anno (Messina, Ischia, Atrani nella Costiera Amalfitana e Porto Venere). In questa situazione, il ministero dell’Ambiente potrà soltanto dal 2012 attingere all’accantonamento previsto dalla legge di stabilità per 210 milioni di euro, accantonamento che, tra l’altro, comprende non solo la difesa del suolo ma anche per le bonifiche. Le risorse in bilancio specificatamente destinate alle Autorità di bacino e per interventi di difesa suolo ammontano nel 2010 a soli 32,7 milioni di euro e sono in un comparto di bilancio assolutamente risibile. Si ricorda che nel bilancio 2010 del ministero dell’Ambiente erano stati assegnati complessivamente 175 milioni di euro destinati, rispettivamente a: interventi per la tutela del rischio idrogeologico e relative misure di salvaguardia (55.907.997 euro); i Piani strategici di intervento per la mitigazione del rischio idrogeologico (118.885.000 euro) e il monitoraggio e la banca dati sulla difesa del suolo (350mila euro).
“Carte false sulle grandi opere” è intitolato il paragrafo dedicato alle infrastrutture. “Il governo dal 2001 sta attuando una gestione perversa della programmazione, progettazione ed autorizzazione delle grandi opere pubbliche – denuncia l’organizzazione ambientalista. Lo scorso 3 dicembre il Wwf Italia ha presentato un dossier in cui viene evidenziato, sulla base di dati forniti dal Cipe, che solo l’8,1% dei contenziosi in atto, che starebbero bloccando il cantiere Italia, sono attribuibili ad iniziative intraprese da associazioni, tra cui quelle ambientaliste. Infatti, su 259 ricorsi amministrativi e giurisdizionali presentati (al luglio 2009): 176 sono quelli promossi da privati (aziende o singoli cittadini, ad esempio contro gli espropri); 62 sono promossi da enti pubblici; 21 quelli promossi da associazioni (comprese le organizzazioni dei consumatori). Il Wwf ricorda che, mentre il “Primo programma delle infrastrutture strategiche” ha visto un’inarrestabile e ingiustificato aumento dei costi finali (dai 125,8 miliardi di euro del 2001 ai 358 miliardi di euro del 2010, secondo le rilevazioni fornite dal servizio studi della Camera dei deputati), a fronte di un debito pubblico che ha superato il 118% del Pil, ad oggi il governo è stato capace di investire solo pochissime risorse. Dalla delibera Cipe n. 10 del 6 marzo 2009, che presenta una ricognizione sull’attuazione del programma delle infrastrutture strategiche, emerge che dal 2001 ad oggi sono stati erogati per le infrastrutture strategiche, soltanto 2,5 miliardi di euro e sono stati attivati mutui per 8,8 miliardi di euro.
Su tutto c’è l’agonia del ministero dell’Ambiente, a causa di un taglio in tre anni di 2/3 dei fondi destinati a questo dicastero, che tra i ministeri con portafoglio è di gran lunga quello con meno risorse (da 1,5 miliardi di euro stanziati dalla legge finanziaria 2008, ai 554 milioni di euro previsti nel 2011). La situazione economico-finanziaria del ministero dell’Ambiente è drammatica, ha denunciato il Wwf il 5 novembre 2010: i tagli sono talmente gravi da mettere in discussione il ruolo stesso di questo dicastero, la possibilità materiale di incidere nelle politiche, di contare nei contesti internazionali, di guidare ed indirizzare le azioni settoriali d’interesse nazionale anche in ambiti delicati dove si gioca la vita delle persone come quelli della difesa suolo e dell’assetto idrogeologico. Nel 2011 il bilancio complessivo del ministero dell’Ambiente, secondo la denuncia Wwf, ammonterà a circa un terzo di quanto stanziato nel 2008 dal governo Prodi: 554 milioni di euro il prossimo anno, contro 1,5 miliardi di euro stanziati con la legge finanziaria 2008. Il taglio previsto nel 2011 prevede una diminuzioni di risorse del 64%, rispetto a quanto stanziato dallo stesso governo Berlusconi con la legge finanziaria 2009 (554 milioni nel 2011, contro l’1,2 miliardi del 2009) Ed è un bilancio che subirà ulteriori tagli negli anni a venire per complessivi 21 milioni: andando a 545 milioni circa nel 2012 per scendere poi a 538 milioni circa nel 2013.

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