Il flop “mondiale” della Rai



Non sappiamo quanto costino (brutalmente in termine di soldi), a noi erogatori del canone, i siparietti sudafricani offerti da Mazzocchi & company tramite le tecnologie di Mamma Rai. La pattuglia di inviati “made in Italy” ai mondiali di calcio è decisamente folta, tra giornalisti, ex giocatori, allenatori, personaggi dello spettacolo ecc. Ma non è questo il problema. Gli interrogativi più perfidi si accendono sulla qualità offerta più che sulla quantità accumulata: è mai possibile che quotidianamente lievita il totale delle cantonate prese dall’allegra compagnia dei commentatori di casa Rai?
D’accordo, azzeccare la previsione dell’Italia fuori dopo tre partite era (più o meno) roba da oracolo di Delfi più che da cavo orale di Marino Bartoletti o di Fulvio Collovati. Però pretendere con sicumera di profetizzare risultati e poi essere clamorosamente smentiti dal campo ridimensiona lo spessore e la competenza calcistica di certi personaggi. Italia-Slovacchia, dai microfoni Rai, era un “1” all’unanimità. E poi la storia delle sudafricane irresistibili, un tormentone di ogni sera con tanto di cartelli forti di statistiche tutte da discutere: le ultime tre partite hanno dimostrato esattamente il contrario, con Olanda, Germania e Spagna che hanno annullato un intero continente, riscattando l’Europa. E via di questo passo.
Se aggiungiamo che la Rai non è stata in grado di trasmettere tutte le partite del mondiale, nonostante riceva un canone non indifferente dalla maggior parte degli italiani, c’è da domandarsi a cosa servano tutti questi soldi, oltre che a sovvenzionare le baggianate sparate da qualche mezzobusto in videotrasferta dalle latitudini dell’Africa meridionale.

(3 luglio 2010)

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