Ora ci mancava anche il Belgio. Dove il rischio di una scissione – anche politica – tra valloni e fiamminghi è sempre più reale. Ultimo tassello di una geografia europea che negli ultimi anni, specie dopo il crollo del comunismo, ha subito radicali sconvolgimenti tanto ad est, dove la disgregazione dell’impero sovietico ha dato vita ad una miriade di Stati autonomi, ma anche più a sud, ad esempio nell’ex nazione jugoslava.
Per non farci mancare nulla, anche nel nostro Paese le spinte localiste stanno ormai acquisendo una sorta di “credibilità” e di legittimazione. Quando, alla fine degli anni Ottanta, Gianfranco Miglio, uno degli ideologi della prima ora della Lega, parlava di federalismo, tutti – da destra a sinistra – reagivano con sdegno. Oggi, viceversa, il quadro politico sembra essere diventato coralmente federalista. Anzi, il federalismo economico viene visto come la sola panacea per combattere la crisi (ma sarà così?). L’esempio del tracollo greco offre nuova linfa alla ricetta in salsa leghista.
C’è di più. L’occasione del 150° anniversario dell’unità d’Italia, anziché rappresentare un momento di condivisione di alcuni valori fondativi della Repubblica, offre l’opportunità a numerosi storici per ribaltare ciò che credevamo assestate persuasioni sull’esperienza risorgimentale. “La Padania”, organo dei lumbard, monta continui paginoni centrali da cui si evincerebbe che Garibaldi era un mezzo delinquente, Mazzini una sorta di tangentista da prima Repubblica e molti altri eroi del periodo personaggi da cui stare alla larga. Teorie supportate, talvolta, da firme prestigiose.
Se la spinta nordista, fino a ieri incanalata in una sorta di avanspettacolo, oggi gode di un ampio consenso popolare, al Sud l’emulazione è più forte dello sdegno. Il web è ormai pieno di siti che si richiamano alla Repubblica partenopea o, addirittura, all’esperienza borbonica, fino ai comitati delle Due Sicilie.
Il recente libro intitolato “Terroni”, scritto da Pino Aprile, già direttore di Gente e collaboratore di Sergio Zavoli all’inchiesta televisiva “Viaggio nel Sud”, mette carne sul fuoco. Ricorda come il Regno delle due Sicilie fosse al terzo posto nel mondo (dopo Gran Bretagna e Francia) ed addirittura al primo in molte innovazioni tecniche e libertà civili, prima di abusi e soprusi dei “nordisti”. Tesi peraltro non nuova e che anche su “Forche Caudine”, già agli inizi degli anni Novanta, trovò molti autorevoli sostenitori.
Il libro di Aprile cita Mongiana, il più ricco distretto minerario e siderurgico dell’Italia intera, situato in Calabria. Soppresso poi proprio dal governo unitario perché abile concorrente con l’industria del Nord. L’acciaio di Mongiana rese autonomo il Regno nella produzione di travi per la costruzione di ponti sospesi in ferro e per la cantieristica della seconda flotta mercantile al mondo, dopo quella inglese. Ed ancora: l’arsenale di Castellamare era il più grande del Mediterraneo, l’industria ferroviaria napoletana di Pietrarsa produceva anche motrici navali d’eccellenza. In Ciociaria, aggiungiamo noi, era fiorente l’industria tessile. In Molise furono proprio le leggi piemontesi a mandare in crisi il distretto dell’acciaio lavorato, con Frosolone secondo centro della regione.
Il libro di Aprile affonda il coltello. Ricorda che la chiusura della calabrese Mongiana, dove lavoravano 1.200 operai, non fu proprio indolore. Riemergono episodi drammatici: i piemontesi saccheggiarono città, stuprarono donne, rasero al suolo e bruciarono paesi, fucilarono senza processo e senza condanna tanti contadini, incarcerarono donne e bambini, aprirono al Nord campi di concentramento e sterminio dove tormentarono e fecero morire tanti italiani del Sud squagliandoli poi nella calce viva, vennero trafugate le opere d’arte dei ricolmi musei. Una delle immagini più drammatiche di quel periodo riguarda l’esposizione, in una teca di vetro, di tre teste mozzate di contadini molisani come monito per i rivoltosi. L’impoverimento del Meridione per arricchire il Nord, osserva più di qualcuno, non fu la conseguenza, ma la ragione dell’Unità d’Italia.
Se la Germania, rischiando, ha tratto nuova forza dalla propria unione, l’Italia rischia di alimentare la propria cronica crisi con le proprie querelle storiche. Eterni guelfi e ghibellini.
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