Molise, che macello…



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L’azienda Amadori, che sembrava il “salvatore della Patria” (molisana) dopo lo sgretolamento dell’ex Gam di Bojano e la sua acquisizione tre anni fa (superando la concorrenza del gruppo abruzzese Dasco), ha comunicato di voler rinunciare al “macello” molisano. In sostanza dovrebbe saltare – salvo posizioni di irrigidimento strategico – il tanto annunciato rilancio del “pollo sannita”, con 240 operai che dalla cassa integrazione rischiano di perdere definitivamente il lavoro.
E’ tutto successo al ministero dello Sviluppo economico, a Roma, dove l’azienda, dopo uno scontro con la Regione, ha manifestato l’intenzione di rinunciare ad investire sulla riapertura del macello “perché esisterebbero troppe criticità” sul bando per il secondo lotto. 
Dopo le vicende Arena-Gam di Bojano, lo Zuccherificio a Termoli e la Ittierre a Pettoranello, ciò che resta dell’industria molisana (e del Molise) subisce l’ennesimo colpo da k.o. Stagioni in cui abbiamo assistito ad estenuanti trattative, addirittura condite dagli immancabili consulenti reclutati per suggerire “le migliori” soluzioni ai politici. Ora la frittata sembra fatta.
Tra l’altro il gruppo di Cesena ha ricevuto 3,7 milioni di euro di fondi del Psr, finanziamenti regionali, per garantire la ripresa di un comparto strategico per l’economia molisana. Come ricorda Primonumero, l’azienda Amadori ha una quota di mercato intorno al 30 per cento sul totale delle carni avicole in Italia e può contare sulla collaborazione di oltre 7.600 dipendenti. Nel 2017 ha realizzato 1,2 miliardi di euro di fatturato con un margine operativo lordo di circa 100 milioni di euro.
Il marchio romagnolo nel febbraio 2018 ha iniziato i lavori per ristrutturare il complesso “ex Gam” e inserirlo nell’ambito della sua filiera integrata, composta già da sei mangimifici, sette incubatoi, oltre 800 allevamenti, sei stabilimenti di trasformazione alimentare, tre piattaforme logistiche e 19 centri di distribuzione fra filiali e agenzie, che garantiscono una distribuzione capillare in tutta Italia.
Il Molise si aspettava un investimento di 45 milioni di euro per acquisizione e riqualificazione dell’incubatoio, dello stabilimento di trasformazione e degli allevamenti e soprattutto l’assunzione dei 250 cassintegrati.
Invece, salvo sorprese (che tutti ci auguriamo), dopo il declino potrebbe addirittura arrivare la parola fine a questo ennesimo pozzo di San Patrizio che ha assorbito fiumi di denaro pubblico nel corso dei decenni.
La giunta Toma continua, insomma, a presentare più ombre che luci. Ora occorrerà capire quali iniziative potranno essere assunte perlomeno per tutelare i lavoratori. Ma anche questa vicenda dimostra come il Molise rischi davvero, con incapacità o masochismo, di sgretolarsi su sé stesso.

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