Croce e delizia



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Negli anni caldi della contestazione studentesca, era molto diffuso, al posto del crocifisso in aula, un cartello con su scritto “Torno subito”. Al di là della facile ironia, che più di qualcuno potrebbe leggere anche un po’ blasfema, quella frase risulta quanto mai attuale dopo la decisione assunta dalla Corte di Strasburgo di ritenere la presenza del crocifisso una sorta di “ingerenza” non compatibile con la libertà di religione. In sostanza è “sacra” soprattutto la neutralità dello Stato come garanzia di libertà dei cittadini. E il crocifisso costituirebbe violazione alla libertà di religione degli alunni.
Insomma la secolarizzazione, anche attraverso eminenti sentenze, continua nell’opera di estromissione di Gesù Cristo & company – anche nella versione “arredamento” – dalla nostra società civile. In nome – di fatto – dell’ateismo di Stato. Via il Figlio di Dio, ma anche, profanamente parlando, il più originale, effettivo e laico rivoluzionario della storia. Salve invece le foto del presidente di turno della Repubblichetta italiana, che talvolta condivide – per la rabbia degli ultimi monarchici e per l’indifferenza di molti – le pareti scolastiche con il più illustre coinquilino.
Tuttavia – qui sta il problema – giurisprudenza e quotidianità sociale talvolta non vanno d’accordo. E l’assenza “materiale” della carismatica ed emblematica figura religiosa stride con l’onnipresenza endemica nella nostra cultura, richiamata oggi dalla maggior parte dei credenti. Cristo, appunto, se lascia le pareti scolastiche, “torna subito”, seppur nelle pagine di storia dell’arte attraverso un crocifisso di Cimabue, Giotto, Masaccio, Mantegna, Antonello da Messina, Beato Angelico, Michelangelo, Tintoretto, Tiepolo, ecc. (ma anche El Greco, Dürer, Van Dyck, Velázquez, Goya, de Ribera, Rembrandt, fino a Gauguin). O attraverso la letteratura italiana. O ancora attraverso la storia e la geografia. Persino la bandiera europea, con le sue stelle, deriva da un riferimento storico alla madre di Cristo.
La faccenda più seria, semmai, è quanto la spiritualità sia caduta non dai muri, ma dai cuori. Ciò, però, costituisce un altro capitolo.
La querelle sul crocifisso – nell’epoca di Halloween, di trans da prima pagina, di Grandi Fratelli e di radici cristiane continuamente profanate – indubbiamente appassiona. E ciò, in fondo, è un aspetto positivo. Non eludere la questione e affrontarla collettivamente in modo responsabile è uno degli ormai rari segni di civiltà e di democrazia. Che finisce per far bene anche al sentimento religioso.
La sentenza di Strasburgo, nel freddo piano giuridico, è inappuntabile: il diritto dei genitori di educare i figli in linea con le proprie convinzioni è ineccepibile. Certo, sul piano pragmatico si può discutere su quanto un crocifisso possa realmente influenzare l’educazione di un ragazzo o addirittura possa mettere in difficoltà una famiglia nel trasmettere convinzioni ebree o musulmane. Ma ciò appartiene alla sfera delle sensibilità individuali e non alla questione dei diritti e delle libertà universali, fulcro della discussione. Su questo terreno i cattolici allora richiamano, dalla loro, il peso della tradizione millenaria che intreccia religione e sapere (gli odierni valori democratici occidentali sarebbero radicati nel messaggio evangelico) e il principio maggioritario (che in fondo, però, potrebbe valere anche per un busto di Garibaldi a Castelfranco Veneto, indigesto a un bel po’ di padani).
La contrapposizione è quindi complessa per principi, interessi e passioni in gioco. Lo scontro tra Cesare e Dio sembra rinnovarsi anche nella “forza” di una presenza “ornamentale”. Ma con un’ambiguità di fondo: il crocifisso in aula, al di là degli istituti religiosi (dove la legittimità è indiscutibile) nasce non come strumento di valorizzazione religiosa ma, al contrario, come fattore di appropriazione di simbologie di matrice religiosa per consolidare il processo di secolarizzazione del potere da parte degli Stati laici. Un po’ come la Chiesa fece propri i culti pagani e persino priapici preconfessionali.
La mediazione è quindi complessa. Da una parte c’è chi chiede a gran voce di riconoscere in una società laica il diritto a “non dirsi cristiani”. E chi invece è lontano dall’idea di “togliere” materialmente, di “estromettere”, a prescindere dalla valenza religiosa, un’immagine tradizionale, identitaria e universale, un simbolo storicamente specifico, un segno culturale forte di amore universale, nonché una testimonianza di creatività artistica. C’è poi chi va oltre, ritenendo svalutato e annacquato il simbolo del messaggio cristiano come oggetto “culturale” d’arredamento scolastico, rifiutando compromessi di tipo prettamente pragmatico. E ancora chi fa notare come sia avvilente aggrapparsi, per difendere l’affissione, ad un obbligo di legge, che in Italia risale ad un decreto regio del 1926 quando l’insegnamento religioso a scuola diveniva sintesi filosofica e celebrazione dello spirito.
Il vero nodo, al di là delle derive clericali, è nella convivenza di culture e fedi entro un confine nazionale unico, nel bilanciamento tra la salvaguardia della propria identità (sacrosanta nell’attuale disorientamento prodotto da società complesse e globalizzate) e il riconoscimento di quelle altrui. Cristo e ciò che ne consegue storicamente ci appartiene, ma è un patrimonio da condividere con quello altrui. Il punto d’equilibrio è davvero difficile, ma “spogliare” rischia d’impoverire, di traghettare da sponde confessionali ad argini agnostici o addirittura sanfedisti. Meglio, allora, integrare e attualizzare il simbolo millenario, talvolta “impolverato”, con una didattica davvero aperta alla conoscenza di tutte le religioni.
L’antropologo svedese Ulf Hannerz ricorda che nelle società contemporanee la cultura non può essere qualcosa di omogeneo e immutabile, ma è costituita da un flusso eterogeneo di elementi e fonti, che trae forza dai singoli individui e dal loro incontrasi: la forza della convivenza non è tanto assumere la prospettiva degli altri, ma accettare che esistano tante prospettive quante sono gli individui che osservano la realtà da una posizione unica e peculiare.

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